Il caso Tav e la polvere sotto il tappeto

febbraio 18, 2006


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

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Preoccupa il merito, e anche il metodo

Le polemiche seguite all’omissione, nel programma dell’Unione, del riferimento esplicito all’alta velocità Torino- Lione sono state stroncate con chiarezza e decisione da Romano Prodi, Piero Fassino, Francesco Rutelli: la Tav si farà. Questione chiusa? Ovviamente sì. Per la questione specifica, nessuno può mettere in dubbio dichiarazioni così perentorie.

Ma sono le giustificazioni di Ferdinando Targetti e di Andrea Papini (Corriere della Sera del 14 febbraio), cioè rispettivamente dei coordinatori del tavolo di sviluppo economico, e della cabina di regia del programma dell’Unione, ad aprire rilevanti problemi generali di metodo e di trasparenza, che vanno molto oltre il già non irrilevante fatto. Ammette Targetti: «la mia colpa è stata quella del non avere enfatizzato il fatto sulla Tav, che a quel tavolo era lasciato in pregiudicato». Ma poi si difende («quel passaggio sul corridoio 5 c’era») e si rammarica solo di non avere avvisato la cabina di regia: «avremmo evitato fraintendimenti». Quanto a Papini, che conferma di aver tolto lui il riferimento alla Torino-Lione, ammette che «il problema è se non si fosse raggiunto un accordo sulla Tav», si difende: «nessuna omissione […] ma una cosa in più, che è quella dell’integrazione delle grandi reti europee». E si stupisce di chi ha sollevato «problemi pretestuosi». Pure lui.
Il programma dell’Unione sarà, in campagna elettorale, sottoposto a ogni sorta di radiografie. In 281 pagine, con una coalizione in cui sono presenti forze con identità diverse, alcune molto diverse, di argomenti controversi se ne troveranno un bel numero. Saranno guai seri, se prevarrà il riflesso di cacciare i problemi sotto il tappeto, anziché di discuterne apertamente. Questa vicenda è un esempio da manuale: di come si è valutato il problema, e di come si è cercato di risolverlo. «Il fatto sulla Tav» come lo chiama Targetti, è clamoroso di suo, senza bisogno di essere “enfatizzato”. Sul piano dell’ordine pubblico, blocchi stradali, scontri con le forze dell’ordine, perfino il dirottamento della fiamma olimpica. Sul piano della politica, la sinistra al governo di regione e comune contro sindaci e assessori di sinistra dei comuni della Valle, rottura dell’alleanza con Rifondazione che regge il comune di Torino. Che si sia pensato di “risolvere” il problema senza dire chiaramente che posizione si prende su una questione così divisiva, è stupefacente. Che si sia pensato di farlo giocando con le parole è intollerabile. La protesta in Val di Susa non è contro il corridoio 5, purché fosse realizzato modificando l’attuale tracciato e allargando l’attuale tunnel: è contro la Tav, contro il nuovo tunnel.
Non ci sono “fraintendimenti” tra i No Tav, anzi i loro intendimenti sono chiarissimi. Se un Papini gli espone il «concetto di reti europee [che tenga] dentro tutto», la protesta in Val di Susa non eccepisce, purché sia chiaro che per loro nel «tutto» entra il tunnel vecchio, non entra il tunnel nuovo. Si dice: ma anche sui Pacs si continua a discutere. Paragone mal posto: un tunnel non è una legge, non ha a che fare con questioni semantiche (che cosa è matrimonio) o giuridiche (validità verso terzi di diversi strumenti di legge). Non si ha avuto chiaro che protesta in nome di interessi locali, e giudizio tecnico-economico sulla validità dell’opera, sono due cose distinte, e che il bandolo della matassa sta nel tenerli separati. Agli studi, simulazioni, valutazioni compiute dai governi succedutisi in Italia, in Francia, in Europa, e conclusi riconoscendo la validità dell’opera, ci si può opporre solo con altri studi, valutazioni, priorità. Con le comunità locali invece si deve discutere, cercare il punto di equilibrio tra interessi locali e obiettivi nazionali. Chi vede “fraintendimenti” o “problemi pretestuosi” dimostra di non aver capito nulla.
«I programmi sono tipici dei sistemi maggioritari», scriveva Marcello Sorgi sulla Stampa del 15 febbraio, «nel sistema proporzionale invece dominano la politica assoluta e le formule di governo, vivendo di infinite mediazioni, senza decidere, e rinviando, talvolta, perfino le emergenze».
Vero, purtroppo. Ma in campagna elettorale i voti si chiedono sui propri propositi, e la trasparenza continua a essere una condizione essenziale. Che nell’Unione convivano anime con diverse “sensibilità politiche” – come pudicamente si dice – non è una novità. Scrivere un programma è complicato e faticoso, le 281 pagine servono anche a comporre una piattaforma comune da questa varietà di posizioni. Lavorando insieme, si riesce ad avvicinare le posizioni, a trovare compromessi, lasciando magari a momenti futuri la definizione dei dettagli. E pazienza se il quadro risulta “non finito”, se alcune parti sono solo abbozzate.
Ma c’è un limite oltre al quale esso diventa inintelleggibile o falso, e non solo in quella parte, ma tutto intero. Per questo, a oltrepassare questo limite si fa il danno della propria parte politica. A ben vedere, ed è ancor peggio, della politica in generale.

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