I paletti al Governo

ottobre 16, 2002


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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L’entrata dello Stato nel capitale Fiat sarebbe un errore: se l’obbiettivo é quello di risanare l’auto italiana, per poi stabilizzarla con l’integrazione con un partner straniero, sarebbe un’iniziativa inutile e controproducente.

La crisi dell’auto Fiat è gravissima. Ha perso quote di mercato in Italia e in Europa, dove pure il mercato é un poco cresciuto. Perde a livello operativo qualcosa tra i 120 e i 150 milioni di euro al mese. Il settore soffre di sovrapproduzione, oltre alla Fiat in crisi anche Ford è in difficoltà.
Per rilanciare la FIAT occorrono 3 anni, 10 miliardi di euro, e un management capace. Però la Fiat auto é un marchio centenario, ha un quarto del mercato italiano, l’8,5% di quello europeo; ha una provata capacità nel segmento delle utilitarie e coglie successi nel segmento sportivo. Ha stabilimenti moderni, un indotto efficiente. Nel distretto industriale dell’auto ci sono aziende come Pininfarina , che progetta le vetture della Peugeot,, e come l’Italdesign di Giugiaro, il padre della Panda e della Golf. L’azienda non ha una struttura di costo sbilanciata, non sta in questo peggio dei suoi concorrenti: la sua crisi é dipende dai suoi modelli, che il mercato non mostra di apprezzare.
Tutto questo ha un valore: se il progetto di rilancio é valido, se c’è un management credibile, ci sarà al mondo qualcuno che é disposto a finanziarlo. Forse non tanto da pareggiare i debiti e il costo della ristrutturazione: se c’è da coprire la differenza, dovranno provvedervi chi ha finora controllato l’azienda, e porta la responsabilità della situazione in cui é finita; e le banche, per proteggere la loro esposizione.
C’è un interesse pubblico ad avere una grande industria manifatturiera in Italia, che giustifica un intervento del governo: ma purché sia un intervento nell’ambito suo proprio, volto cioè creare condizioni esterne più vantaggiose per l’azienda. Ma il governo, nel valutare un piano e la sua redditività futura, non ha maggiori informazioni di quelle disponibili sul mercato; un suo intervento diretto può solo produrre opacità, introdurre elementi di valutazione estranei ai criteri economici di gestione dell’impresa. Questa distorsione nei meccanismi di mercato é la prima ragione per cui l’intervento dello stato azionista é nocivo.

Chi mette i soldi, e chi gestisce il processo? L’azionista vorrebbe mettere un management di sicura fede, per gestire la separazione dell’auto dalla holding, la definizione del perimetro e di tutte le partite infragruppo. Ma poiché sembra chiamarsi fuori e non voler contribuire in alcun modo, in tal caso non può essere lui a nominare il management. Ciò farebbe ricadere tale onere sulle banche, che hanno concesso alla Fiat il credito per attuare un piano che la portasse fino all’appuntamento con GM.
Tuttavia, concentrate come esse sono, comprensibilmente, innanzitutto al recupero dei propri crediti, resta da vedere se la lor scelta, in tali condizioni, sarebbe la più lungimirante in una logica di sviluppo industriale. GM aveva interesse a un’operazione in due tempi, agli italiani il dirty work della ristrutturazione, a lei l’integrazione con Opel dei pezzi migliori. Da ieri, ha anche formalizzato che, in caso di cambiamento nel controllo, cade il patto stipulato a marzo 2000. Si é creato un corto circuito.
L’offerta al governo di entrare nel capitale di rischio, l’inevitabile sottinteso che sia esso ad avere l’ultima parola sui manager, nasconde in realtà un obbiettivo che é comune ai diversi attori: scaricare sulla mano pubblica il costo dell’operazione, guardare al governo come prestatore di ultima istanza. In altre parole, il conflitto di interessi tra obbiettivi pubblici e piani aziendali rende il governo ricattabile dai dipendenti e dai soci, produce un costo aggiuntivo che si scarica sulle spalle dei contribuenti. E qui sta la seconda ragione per cui l’intervento dello stato azionista é nocivo: perché aumenta il costo dell’operazione.

Ma soprattutto si tratta di un intervento controproducente: perché é proprio l’avere per anni recuperato sul tavolo della politica il calo dei margini che subiva sul mercato, facendo valere l’influenza della sua dimensione e della sua leadership in Italia, la causa delle difficoltà in cui si trova l’azienda oggi. Intervenire oggi direttamente nel capitale, dunque nella gestione dell’azienda e nei suoi processi decisionali, significa reintrodurre la politica nella gestione. Le difficoltà della Fiat derivano da troppo poco mercato e concorrenza: l’intervento dello stato equivarrebbe a curare la malattia con i virus che l’hanno prodotta.
L’uscita dello stato dalla gestione dirette dell’economia é un processo che ha conosciuto lentezze e battute d’arresto, ma che negli ultimi 10 anni non si é mai invertito. L’entrata dello stato nel capitale della Fiat sarebbe la sconfessione di una politica. Non ci si illuda di poterlo nascondere o giustificare con l’emergenza: Il segnale che arriverebbe ai mercati sarebbe chiaro: é finita una stagione, si ricomincia.
La Fiat avrà comunque bisogno di un partner. Ma perché questo sia il migliore possibile, per difendere il meglio di una lunga e prestigiosa tradizione automobilistica italiana, al Governo non spetta fare un inopinato ritorno al passato, bensì dimostrare che l’Italia é un paese in cui si produce e si vende secondo le regole del mercato.

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