Durante le carneficine è meglio non "cambiare idea"

aprile 10, 2004


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

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Crisi Irak. La risposta di Franco Debenedetti a Peppino Caldarola

Caldarola sceglie di “cambiare idea” rispetto a quanto aveva sostenuto qualche settimana fa: e chiede di venir via subito dall’Irak.
La cosa sorprende, perché invece oggi la sinistra riformista può sostenere di restare in Irak senza “cambiare idea” sui fatti del 2003. Quella di oggi è infatti una situazione diversa rispetto a quella del 2003, e non ne consegue deterministicamente.

Per la sinistra riformista, con poche eccezioni – quorum ego, proprio sul Riformista – quella in Irak era una guerra sbagliata e illegittima, così come sbagliata (e per alcuni illegittima) era la presenza dei nostri soldati: ma alla luce degli ultimi avvenimenti, si può sostenere che non dobbiamo ritirarci dall’Irak, né nell’immediato, né alla fatidica scadenza del 30 giugno, senza che questo comporti “cambiare idea” sui fatti del 2003. Si può continuare a pensare che, pur con una media di 350 morti per ogni giorno del suo regime, quello di Saddam non fosse uno stato terrorista; e riconoscere, come pure fa Caldarola, che oggi l’Irak sia un ascesso infetto di terrorismo.
Le carneficine e i rapimenti levano ogni alibi per giustificare con la condanna di allora la richiesta di disimpegno oggi. Il “via subito dall’Irak” di oggi significa convertirsi al “senza se e senza ma” che la sinistra riformista ha rifiutato ieri. E’ un “cambiare idea” neppure più ammantato dell’idealismo che tanti aveva sedotto allora: perché oggi non è più possibile separare etica della responsabilità ed etica della convinzione.
Infatti, che significato e che conseguenze ha il “venir via dall’Irak”? Costringere gli americani a ritornare a casa, e far posto ad un’Onu che mai andrebbe in Irak senza la loro protezione? Isolare politicamente l’America? Per il fine umanitario di lasciare gli irakeni scannarsi tra di loro, o per il fine politico di iscrivere un socio in più al club degli stati terroristi? Per portare a casa i nostri ragazzi, o per sperare di essere colpiti per ultimi dal terrorismo internazionale?
“La situazione oggi in Irak è diversa da quella di marzo di un anno fa e richiede un nuovo approccio” ha detto l’arcivescovo Giovanni Laiolo, sostituto del segretario dei rapporti con gli Stati del Vaticano al Giornale “gli stati hanno il dovere di prevenire gli attacchi terroristici”.
“Perché mai gli Stati Uniti d’America si trovano quasi da soli nel portare questo fardello e ad assumersi il rischi che sono in gioco per il mondo?” si chiede John Kerry a Milwaukee. “Io sostengo che dovremmo decidere di fare un appello coraggioso, chiaro e di cristallina onestà al mondo perché consideri l’interesse di tutti in un Irak stabile”.
“Questa è la strada da battere” riconosce pure Romano Prodi “ridare la parola alla politica e restituire prestigio all’Onu”.
Di fronte al materializzarsi del pericolo è in atto un mutamento delle posizioni politiche: bisogna cogliere questo momento per “rispondere alla mondializzazione del terrore con una multilateralizzazione che costringa tutti – Onu e USA, democrazie europee e paesi islamici – a fare la propria parte” come scrive Vittorio Emanuele Parsi sull’Avvenire. Bisogna farlo subito, entro pochissimi giorni.
La sinistra di governo può far propria questa iniziativa, in coerenza con le coraggiose decisioni prese quand’era al governo e senza rinnegare le posizioni assunte dai banchi dell’opposizione. Cogliendo così una grande opportunità. Il paese è preoccupato per l’andamento dell’economia, vede lucidamente gli aspetti più indifendibili di questo governo, giustizia e informazione. La sinistra ha la possibilità di far “cambiare idea” all’elettorato moderato che aveva creduto in Berlusconi, dimostrandosi forza di governo proprio sul terreno in cui finora è apparsa più oscillante e meno risoluta.

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