→ luglio 12, 2017

Habent sua fata libelli, e non solo loro: quando, un anno fa, il gruppo di economisti, sociologi ed attuariali raccolti e guidati da Nicola Rossi, riprendendo precedenti suoi studi, iniziarono a formalizzare il progetto che ora porta il nome di “25xtutti”, nessuno di loro poteva sapere quando esso sarebbe stato terminato e quali sarebbero stati i rapporti numerici e programmatici tra le forze politiche. Deve considerarsi una fortunata combinazione che quel momento sia venuto in piena campagna elettorale, quando cioè le parti politiche mettono a punto le piattaforme con cui si presenteranno agli elettori. Il fatto che ora si sappia che la campagna elettorale durerà diversi mesi, dà la profondità di prospettiva in cui collocare progetti di grande respiro.
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→ luglio 7, 2017

Due secoli fa Sismonde de Sismondi parlava del timore che “le roi d’Angleterre, en tournant constamment une manivelle, fasse produire par des automates tout l’ouvrage d’Angleterre”. Meno di cent’anni dopo fu il timore che i telai meccanici rendessero disoccupati i tessitori; poi che i trattori facessero lo stesso con i contadini; cinquant’anni fa, che il bancomat decimasse gli impiegati di banca allo sportello. Se l’aumento della produttività sia un pericolo per l’occupazione è questione ancora dibattuta tra gli economisti. Altre potrebbero esserne le conseguenze, l’aumento del terziario, la divaricazione tra le dotazioni personali di competenze. Altre le cause: ad esempio se Trump applicasse un aumento del 10% delle tariffe doganali, le aziende americane reagirebbero installando più robot; li comprerebbero in Germania e in Giappone, aumenterebbe il deficit commerciale degli USA che i dazi avrebbero dovuto ridurre.
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→ giugno 23, 2017

La querelle per la banda larga in aree a “fallimento di mercato” rivela un tic ostile alla concorrenza.
Al direttore.
Sunt nomina consequentia rerum. Davvero “i nomi sono conseguenti alle cose”? E se invece fosse vero il contrario, cioè che le res dipendono dai nomina? Ovvero che valga anche per i fatti quel che comunemente si dice delle persone, che nomen omen?
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→ giugno 20, 2017

Il Ministro De Vincenti minaccia di chiedere i danni a TIM. Il sottosegretario Giacomelli preannuncia l’intervento del Governo per evitare il danno pubblico che l’azienda provocherebbe investendo in banda ultra larga nelle aree svantaggiate (tecnicamente, zone bianche) per le quali il governo ha stanziato risorse da assegnare con gara. Nella storia della telefonia italliana si sta per scrivere un nuovo capitolo.
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→ giugno 14, 2017

di Franco Debenedetti e Nicola Rossi
Un sentiero stretto ma molto, molto virtuoso”: si parla di finanza pubblica, e a leggerlo sul Foglio del 30 maggio c’è da trasecolare. E invece è quello che “dimostra” il professor Marco Fortis: basta sommare crescita e avanzo primario, e noi tra le grandi economie siamo secondi solo alla Germania. Se cresciamo meno è solo perché facciamo meno spesa pubblica, non avessimo quel debito potremmo spendere quanto spende la Germania e cresceremmo come lei. Miracoli della germanofobia!
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→ giugno 9, 2017

Pregiudizio anticapitalistico e terrorismo ambientalista all’origine degli errori di gestione della vicenda Riva
La vicenda ILVA, dopo cinque anni, sembra avviata a compimento. Se, come pare, lo stesso sarà per Alitalia e MPS, ci saremo liberati di tre ingombranti macigni. Ma una cosa è il sollievo, altra è la soddisfazione: che in questo caso è del tutto fuori luogo. Perché mentre Alitalia perdeva soldi fin da quando era dell’IRI e turbava i sonni di Prodi; mentre non c’era ancora l’euro quando la singolarità di una banca municipale nel mondo della finanza globalizzata suscitava i sarcastici commenti di Massimo D’Alema; l’ILVA privatizzata produceva acciaio e generava profitti, l’uno e gli altri in apprezzabile quantità. In cinque anni, dall’ordinanza del GIP di Taranto, Patrizia Todisco, che a luglio 2012 ordinava il sequestro dell’area a caldo dell’ILVA, “senza alcuna facoltà d’uso degli stessi a fini produttivi”, la società ha perso circa 4 miliardi e ad oggi restano da fare alcuni miliardi di investimenti ambientali e industriali, che il nuovo acquirente si è impegnato a eseguire; svaniscono alcune migliaia di posti di lavoro; non abbiamo più la nostra voce nel club degli acciaieri europei, dove si spartiranno i vantaggi derivanti dai dazi imposti dall’Europa sull’acciaio cinese. Un bilancio così costoso esige almeno di chiedersi se non si poteva far di meglio, e capire perché non lo si è fatto.
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