Blockbuster e altri: episodi di una storia che si ripete

gennaio 1, 2014


Pubblicato In: Giornali, Huffington Post


Chi si ricorda del Betamax Sony? Dove è finito Blockbuster? Sono episodi di una storia che si ripete. La stabilità di una posizione dominante è l’opportunità per un’innovazione che riesca ad aggirarla; chi se ne vede minacciato -allora erano i fornitori di contenuti – usa il proprio potere per soffocarla nella culla; se ci riesce, innovatori e innovazione finiscono nel dimenticatoio; se no, nasce un nuovo modello di business. Alla fine, a guadagnarci, possono essere anche quegli stessi che si sentivano attaccati. Pochi giorni fa un post su Techcrunch* faceva la ricostruzione di questa storia. Vale la pena ripercorrerla.

Tutto inizia nel 1977 quando tal George Aktinson apre a Los Angeles il primo negozio dove noleggiare video: 50$ l’abbonamento annuale, 10$ al giorno la cassetta. Un successo strepitoso, 40 negozi aperti in meno di due anni: era stato inventato il mercato del consumo domestico dei contenuti a pagamento. Notare che allora il lettore costava l’equivalente di 6.100$ di oggi (non è un errore, seimila cento), e che ci sarebbero andati otto anni, fino al 1983, perché la penetrazione nelle case americane raggiungesse il 10%.

L’industria dei contenuti contrattacca su due fronti: quello giudiziario, facendo causa alla Sony; quello politico, cercando di far mettere al bando dal Congresso tecnologia e modello di business. Su fronte legale Sony vince in primo grado nel 1979, perde in appello nel 1981, ricorre alla Corte Suprema. Questa nel 1984, prima si pronuncia contro la Sony, poi a favore: quello dei fornitori di contenuti, dice la sentenza, è un improprio tentativo di estendere il copyright oltre i limiti stabiliti.

Sul fonte politico, i fornitori di contenuti scatenano le loro lobby in Congresso e riescono a fare approvare il divieto di noleggiare musica e SW. Ma non di noleggiare film, il Congresso teme la reazione popolare. Quando di un prodotto son stati venduti 2,3 milioni di pezzi nel mondo, non c’è più la possibilità di bandirlo. Nel 1985 Blockbuster apre il suo primo negozio, nel 2000 diventano 10.000: si è formata una nuova posizione dominante.

Che però ha il suo punto debole: quando Reed Hastings si vede chiedere 40$ per aver reso la cassetta di Apollo 13 con pochi giorni di ritardo, pensa che si possa battere Blockbuster con un nuovo modello di business: si può tenere il disco quanto si vuole finché arriva il disco nuovo che è stato richiesto. Era il 1997, era nata Netflix. Nel 2002 è il primo cliente delle poste quanto a crescita, nel 2010 è il maggior originatore di traffico web nelle ore di picco alla sera. Blockbuster dichiara fallimento.

L’industria dei contenuti aveva fatto bandire il noleggio di musica e quello di SW per computer, aveva fatto imporre una tassa “privata” su cassette e CD, aveva fatto fallire (nel 2003) il produttore di Rio, il precursore dell’ iPod. Ma non era riuscita a proibire il noleggio di film, il VCR e i suoi successori, DVD, Blue Ray ecc.

“Quando ci saranno 20, 30, 40 milioni di questi VCR nel Paese, aveva detto al Congresso Jack Valenti, CEO della Universal che aveva fatto causa alla Sony, saremo invasi da milioni di parassiti che si mangeranno il cuore e lo spirito del copyright”. Invece nel 1986, due anni dopo la sentenza della corte, i ricavi, tra supporti e noleggi, ammontavano a 4,38 mio $, superando quelli del box office. Nel 2012 la spesa per home video era salita a 18 mld$, più di Netflix e Blockbuster. E adesso è tutto un gran scaricare e registrare, da Chili a CuboVision a Infinity, da iTunes a XBox Video.
Avanti un altro!

* techcrunch.com/2013/12/27/how-the-content-industry-almost-killed-blockbuster-and-netflix/?ncid=tcdaily. L’autore è Derek Hanna (Twitter@DerekHanna); scrive regolarmente per The Atlantic, National Review, Forbes.

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