Un’occasione sprecata

febbraio 21, 2002


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


L’opposizione e l’articolo 18

Fa infuriare un ministro tanto da fargli esautorare con ignominia un sottosegretario, per giunta del suo stesso partito; spacca il Governo, divide la maggioranza seminando veleni tra gli ortodossi e la fronda centrista; provoca crepe sotto l’intonaco del muro dei sindacati; in Confindustria, riapre vecchie ferite tra grande e piccola industria.

Tutto questo riesce a combinare la proposta di modifica, oltretutto parziale e sperimentale, dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, quello sui licenziamenti.

E pensare che, da quando ne proposi quattro anni fa una modifica ben più incisiva, in ogni dibattito mi sono sentito dire che i casi di imprese effettivamente condannate a reintegrare il lavoratore licenziato per giustificato motivo economico sono ormai poche diecine l’anno, che il problema non interessa neppure più di tanto le imprese che hanno ormai trovato altre strade per la flessibilità che vogliono; e che dunque questa era solo una battaglia di principio su cui incaponirsi era inutile per tutti: esconveniente per un parlamentare di sinistra.

Il terremoto a cui stiamo assistendo sarebbe dunque un caso di parossistica amplificazione, di macroscopica sproporzione tra effetti pratici ed effetti politici del provvedimento in discussione? No, dicono i sindacati, e invocano i diritti, su cui non si discute. No, dice il Governo, e ricorda la limitatezza della proposta, ribadisce i fini “virtuosi” che si propone

Sono pochi e isolati a indicare i motivi di fondo per cui la modifica dell’art. 18 è effettivamente lo snodo cruciale di una riforma che ha il potenziale per cambiare la faccia al nostro welfare ed al nostro sistema di relazioni industriali. Per quanto riguarda il welfare, passare dal modello “mediterraneo” di tutela del posto di lavoro a quello “nordico” delle tutele nel mercato del lavoro, e dunque creare più diritti e più importanti di quelli che si sopprimono.

Per quanto riguarda le relazioni industriali, restituire al contratto di lavoro a tempo indeterminato, liberato che sia da onerosità e rigidità eccessive, il ruolo che gli compete di contratto cardine, come quello che più di ogni altro produce efficienza organizzativa delle imprese e promuove gli investimenti in capitale umano dei dipendenti.

Sembra un’occasione unica per l’opposizione per incalzare il Governo, dimostrando che le sue proposte sono da respingere perché, volendo essere limitate nella portata, sono in realtà modeste nel loro orizzonte; e perché invece di perseguire l’ambizioso disegno di una nuova costruzione che accolga anche chi oggi è escluso, cerca il meschino risultato di fare un buco nella diga sperando che poi crolli. Un’occasione per far capire al mondo delle imprese che dalla riforma dell’art. 18 passa il riconoscimento “etico” dell’impresa come soggetto il cui compito primario è quello di produzione della ricchezza, dato che distingue il ruolo dell’impresa dal ruolo dello stato nel fornire le tutele dei lavoratori.

Un’occasione per ricordare, aldilà dei sorrisi di circostanza e dei superficiali entusiasmi, quanto radicale e onerosa sia la reale portata della politiche del welfare realizzate da Tony Blair, una riforma che investe il sistema assistenziale- previdenziale- fiscale, gli istituti di formazione, istruzione e assistenza nel mercato del lavoro.
Un’occasione per indicare la contraddizione insita nella filosofia politica di chi si propone di guidare il paese come se fosse un’azienda: dato che proprio questa vicenda dimostra come solo la gestione di ciò che sta fuori dalle aziende e dalle logiche aziendali è ciò che consente di liberare le aziende da vincoli impropri.
E invece l’opposizione sta sprecando questa occasione. Una parte perché vuole farsi forte della forza del sindacato, e guarda al suo leader. Una parte da sempre attenta a non contrastare il sindacato e oggi anche timorosa di farsi svillaneggiare da registi e professori. E qualcuno sotto sotto penserà che, trattando ancora un po’, si riesca ad avere con un costo modesto un grosso argomento per scatenare proteste e muovere indignazione.

Per riempire le piazze o per organizzare un girotondo.

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