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→  agosto 23, 2018


Caro Direttore, quando ci si chiede perché si sono fatte le privatizzazioni (Marcello Sorgi, Quegli affari tra ombre e tragedie, La Stampa 20 agosto) e si prova a giudicare se sono state fatte «bene» o «male» (ma che cosa significa, di preciso?), giova ricordarsi che l’Italia nel 1993 era il Paese Occidentale con la maggiore presenza dello Stato, circa il 50% dell’economia industriale. Monopoli, di legge o di fatto, erano i principali settori industriali; la Borsa valori era di modeste dimensioni, spiazzata dai titoli del debito pubblico; non esistevano i fondi di investimento istituzionale, tutte le grandi banche erano di proprietà dello Stato, tassello cruciale della Prima Repubblica e del sistema dei partiti.

È difficilissimo creare mercato dove c’era statalismo: ben lo sanno i tanti Paesi che, dopo il fallimento dell’economia di piano, imboccarono quella strada. L’Italia però riuscì a trovare, in pochi anni, capitali e volontà imprenditoriali per trasformare il nostro Paese in un’economia di mercato aperto alla concorrenza. È stata una svolta storica per il nostro Paese, di cui va reso merito a Ciampi e Prodi. Certo, privatizzare serviva a scongiurare il rischio che i debiti delle partecipazioni statali diventassero debiti della Repubblica, certo i proventi valevano a dimostrare che si era imboccata la strada per raggiungere i famosi parametri di Maastricht: ma l’Europa è stata costruita come spazio economico aperto al mercato ed alla concorrenza, e per entrare in Europa era necessario fare quella scelta senza esitazioni.

«Occorre riconoscere con modestia», scriveva Mario Draghi nel 1999, «che non esiste una teoria delle modalità ottime per privatizzare una società»: e descriveva il processo per cui «il Tesoro governa il primo passaggio di proprietà, il mercato governerà i successivi».

Le privatizzazioni italiane sono state fatte «male» o «bene», dunque? Il problema è il punto d’osservazione. Una volta che un’impresa è privata, alla collettività non deve interessare se è «ben gestita» ovvero l’andamento del titolo. Ma la qualità del servizio per i consumatori.

Il caso di Telecom è emblematico: non essendosi formati imprenditori esperti nei settori da cui erano stati preclusi, Prodi dovette impegnarsi personalmente per convincere Fiat a fare il primo passo; il secondo lo fece l’opa di Colaninno: di lì un’alternanza per il controllo. Ciò che si rileva, per tutti, è che ora il settore telefonico è animato da una vivacissima concorrenza: ci sarebbe stata senza privatizzazione?

Le imprese possono fare sbagli: ma se sono private non possono permettersi di non correggersi presto, quindi il costo è minore e a pagare sono gli azionisti, non i contribuenti. Altrimenti arriva, implacabile, la sanzione del mercato. Quale è l’equivalente nel pubblico? Una promessa di commissariamento?

Forse la cosa che ha funzionato meno «bene» nelle privatizzazioni italiane è lo Stato. Che fatica a imparare a fare un nuovo mestiere. Continua a fare come se ne fosse ancora proprietario, intervenendo nelle scelte aziendali, come è avvenuto a ripetizione nel caso di Telecom. La privatizzazione richiede anche all’amministrazione pubblica una nuova competenza, quella di prescrivere livelli di servizio e di eseguire controlli. Dopo la tragedia di Genova, che senso ha proporre di affidare la gestione dell’azienda a un’amministrazione accusata, forse a ragione, di «distratta carenza di controlli»?

Ci sono certo molte cose da cambiare nella Seconda Repubblica, quello che è certo che questo non è un motivo per ritornare alla prima: sarebbe un suicidio.

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di Marcello Sorgi – La Stampa, 20 agosto 2018

Tutti gli affari dei compagni
di Gianni Barbacetto – Il Fatto Quotidiano, 24 agosto 2018

→  agosto 17, 2018


È stato un disastro tremendo, fa angoscia pensare agli ultimi terrificanti istanti delle vittime. La mente va ad altre sciagure, terremoti, slavine, crolli di scuole. Ma non è indignandosi, o minacciando, o parlando a vanvera che si commemorano degnamente i morti, che si consolano i parenti, che si riducono i danni materiali che il crollo ha provocato. Come invece hanno fatto il Governo e, in particolare, i ministri Cinque Stelle. Compito del Governo è assicurare che si faccia giustizia e si ponga rimedio alle conseguenze; è dare ai cittadini la sicurezza che questo avverrà in tempi brevi.

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→  agosto 8, 2018


Impegni elettorali e rischi reali

n milione per cento è l’inflazione annuale prevista per il Venezuela: è come se con i 10mila euro con cui oggi si acquista un’utilitaria, tra un anno si potesse comprare solo un espresso. Sarà perché ricordo i racconti di chi frequentò la Germania durante la Repubblica di Weimar, o quelli di chi, in Italia, vide i redditi falcidiati e i patrimoni dissolti dopo le due guerre mondiali; sarà perché ho constatato di persona come l’inflazione distorca la contabilità interna, perturbi gli scambi internazionali, e influisca negativamente sulle decisioni imprenditoriali: considero l’iperinflazione uno dei fenomeni più disastrosi che può colpire un Paese. Non induca in errore la bassa inflazione in Europa di questi anni, e l’insistenza con cui si è cercato di farla salire: quando l’iperinflazione parte è una guerra senza bombe.

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→  luglio 25, 2018


Governo del Cambiamento, si è voluto chiamare: e le occasioni per dimostrarlo, più in un modo che in quell’altro, certo la maggioranza non se le è fatte mancare. Non così nel caso della Cassa Depositi e Prestiti: lì, se poniamo mente non alle persone che ricopriranno le posizioni apicali, ma alle politiche che verranno perseguite, è prevedibile che il governo giallo-verde si ponga in linea di continuità con quelli precedenti. Per ragioni che risulteranno chiare esaminandone l’attività caso per caso.

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→  luglio 12, 2018

Sul tema Giovanni Pons ha pubblicato un articolo, a cui ho risposto con un mio testo e con il rimando a un articolo di Carlo Bastasin

L’Italia nel vicolo cieco del debito pubblico. Nessuno sa come uscirne, urgono proposte nuove
di Giovanni Pons – Business Insider, 1 luglio 2018

Non passa giorno che qualcuno, sia esso un politico al governo o un economista con la ricetta in mano, dica la sua su come si può superare l’ostacolo del debito pubblico italiano, arrivato a oltrepassare i 2.300 miliardi di euro e il 132% del Pil (prodotto interno lordo). Ma nessuno sembra avere il bandolo della matassa in mano, la ricetta giusta per rientrare nella normalità e mettere il paese al riparo dalle oscillazioni del suo indice di fiducia, lo spread. Proprio domenica 1 luglio è arrivata l’ultima dichiarazione di Carlo Cottarelli, ex funzionario del Fondo Monetario Internazionale e dunque parzialmente allineato alla dottrina liberista che ha permeato quell’istituzione: “E’ impossibile ridurre il rapporto tra debito e Pil – ha detto – attraverso manovre espansive. Non esistono precedenti in nessun paese”. Ma poco più in là assistiamo alla visione opposta del sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri che insiste nel proporre una manovra espansiva da 70 miliardi che includa Flat tax, riforma della legge Fornero e Reddito di cittadinanza. E se lo spread balzasse improvvisamente a 500 punti di fronte una prospettiva del genere Siri propone una soluzione inedita e per così dire ‘sovranista’: “Le famiglie italiane che hanno 5000 miliardi di liquidità tornino a riprendersi quelle quote del debito, pari a 780 miliardi, collocata presso investitori stranieri, che sono quelli che fanno girare la giostra dello spread”.

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→  luglio 5, 2018


L’autodafé per il mancato autodafé, a questo si è finora sostanzialmente ridotto il dibattito nella sinistra: non essere andati alle cause delle sconfitte, del 4 Marzo, e prima del 4 Dicembre, e prima ancora della rottura del patto che ne fu la causa; non averne tratto le conseguenze nella leadership del partito. Col posizionarsi in vista di primarie, congresso, nomina del segretario, dovrebbe iniziare la fase nuova, di definizione della piattaforma politica. Sarà, dato che l’opposizione attualmente non può che coincidere con la sinistra, la piattaforma politica dell’opposizione al governo Salvini-Di Maio. Per farlo è necessario individuarne scenario, orizzonte temporale, target.

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