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Archivio per il Tag »Colajanni«

→  giugno 13, 2005

La polemica

Se avessi avuto dubbi che Sandro Bondi é molto impegnato, il suo articolo di ieri (Ma è pronta la sinistra italiana a scegliere una Ue modello Blair? ) me li avrebbe levati. Infatti si vede che ha letto affrettatamente sia la mia intervista (sul Corriere della Sera dell’8 giugno), a cui risponde, sia quella di Giddens (su La Repubblica dell’8 giugno), che ampiamente cita. E soprattutto che non ha trovato il tempo di modificare il suo articolo alla notizia della scomparsa di Napoleone Colajanni: almeno in questi momenti, una grande persona e un uomo coraggioso, quale indubbiamente Colajanni è stato, merita un giudizio per quello che ha fatto nella sua vita, e Bondi, che è persona leale, non l’avrebbe usato a fini di una polemica contingente.

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→  giugno 10, 2005

Risposta a Franco Debenedetti

di Sandro Bondi

Caro direttore,
Franco Debenedetti, in un’intervista al Corriere della sera, ha proposto una via d’uscita dalla crisi del modello europeo, che è anche una crisi della percezione positiva dell’Europa da parte dei popoli. Debenedetti afferma che la prossima presidenza britannica guidata da Londra costituisca un motivo oggettivo di ripensamento degli schemi ideologici europeisti a favore di una soluzione politica e strategica della odierna e realissima crisi dell’Europa. E’ necessario rendersi conto che i responsi referendari francese e olandese non possono essere trascurati. Anzi, la Francia e l’Olanda aprono, di fatto, una salutare crepa all’interno della roccaforte ideologico-burocratica che ha dettato finora il pensiero unico dell’«europeismo». Giustamente Debenedetti parla di una potente «euroretorica» che certo non giova all’analisi dei problemi esercitata con la lente della razionalità critica. Blair, secondo Debenedetti, produce l’effetto spiazzante che ricolloca il confronto tra il modello del capitalismo renano, così caro a Prodi, e quello anglosassone. Il primo, di impronta neosocialista e socialdemocratica, ha fatto il suo tempo, non tiene più il confronto con due fenomeni centrali nel XXI° secolo: il mercato mondiale e la società della conoscenza. Entrambi i fenomeni considerano non tanto lo sviluppo delle forze produttive e la redistribuzione del reddito, bensì la crescita economica fondata sulla valorizzazione del capitale umano e del capitale sociale. In questo nuovo spazio dell’economia-mondo, non c’è spazio per il welfare neokeynesiano e neppure per degli aggiustamenti strutturali dello stesso. Questa è una storia finita e non più recuperabile. Lo sa bene anche Debenedetti e da tempo, insieme al quotidiano Il Riformista, è alle prese con l’idea-forza di un neo-laburismo blairiano anche in chiave europeista. Con questa chiave economico-politica, l’Europa, così sostiene Debenedetti, può recuperare un modello sociale compatto e fondato sul welfare, ma non più in un’ottica neokeynesiana. Naturalmente, tutto ciò può essere fatto se e solo se si produce tanto e bene, ovvero se e solo se c’è una crescita economica effettiva. Blair ha fatto crescere l’Inghilterra; l’Europa è invece al palo, anzi rischia il ristagno. Allora, questo è infine il punto-chiave: la crescita. La domanda che, in questo orizzonte politico, emerge è allora necessariamente la seguente: è davvero in grado la sinistra di ricollocare su un’asse di crescita l’Europa? E’ davvero in grado la sinistra italiana di ripensare l’Europa e, con essa, se stessa? Debenedetti pensa bene le questioni di fondo legate alla crisi dell’Europa e dell’europeismo, come parimenti pone lucidamente la questione dell’«euroretorica», e purtuttavia sfugge ancora una volta il cuore della vicenda politica attuale: la sinistra italiana non pensa mai a Blair come a un modello politico da seguire e capace di ridefinire la sua fisionomia politica, ma lo pensa sempre come un «eretico» al quale si concede la patente di «uomo di sinistra» solo perché si trova nel Labour, tutto qua.
Anche Napoleone Colajanni ha affermato che non può esistere nessun programma di riforme vere del sistema socioeconomico senza crescita economica e che, dunque, non esiste la cosiddetta redistribuzione delle risorse economiche a favore dei ceti meno abbienti senza crescita; solo che poi, all’atto pratico, la risposta è ancora neowelfaristica e dunque legata ad un uso massiccio di quel «modo di governare attivo», come ha scritto Giddens in un articolo pubblicato su La Repubblica, dunque, niente di nuovo sotto il sole. In realtà, non è vero che «la socialdemocrazia – cito ancora Giddens – differisce dal liberalismo, poiché considera di vitale importanza l’elemento “sociale”». Tant’è vero che oggi Fukuyama, in America, sta costruendo un nuovo paradigma di statualità liberale che si fonda per la gran parte sul capitale sociale, intendendo con ciò valorizzare appunto l’elemento sociale del liberalismo. La cultura politica della sinistra non è quella di Debenedetti, ma è quella di Giddens e Colajanni, nella migliore delle ipotesi. E’ una cultura politica che non riesce a comprendere che, per risolvere la crisi del modello-Europa, non occorre soltanto adottare astrattamente il modello anglosassone, ma è anche necessario ripensare il patto di stabilità, riconnettere l’idea di Europa ai mondi vitali dei cittadini europei, rilanciare gli investimenti produttivi fortemente centrati sul disegno strutturale delle economie avanzate del XXI° secolo, vale a dire la conoscenza e l’innovazione. Queste sono le nostre proposte.
Soltanto la politica e l’etica della responsabilità di una classe dirigente a favore dell’Europa senza tracce di «euroretorica» ci farà uscire da questo imbarazzante guado nel quale i risultati referendari della Francia e dell’Olanda ci hanno collocati. Ha ragione Debenedetti quando, alla fine della sua intervista, afferma: «Servono scelte». E’ qualcosa che la sinistra italiana, a cominciare dal maggiore responsabile di questa grave crisi del modello-Europa, Romano Prodi, dovrebbe sempre mantenere come punto di vista. Ma la strada è ancora lunga, per la sinistra italiana, e sulla sua storia pesa, oltre all’«euroretorica», anche un’altra distorsione ideologica da sempre diffusa nelle sue fila: il miraggio del «sociale». Da quando Blair l’ha abbandonata, è riuscito non soltanto a vincere, ma anche a costruire un vero modello sociale competitivo. E così, in Italia, ha soltanto un interlocutore da lui considerato adeguato: Silvio Berlusconi.

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