→ giugno 17, 2010

di Mario Pirani
L’economia non possiede regole eterne. È accaduto, peraltro, in diverse fasi della storia, che milioni di uomini abbiano creduto nella loro immutabile valenza, tanto da farne articolo di fede. Quando ciò è avvenuto ne sono spesso derivati sconquassi catastrofici. Questa riflessione, di cui sono convinto da tempo, in particolare dopo il crollo del comunismo, mi ha stimolato qualche suggerimento in seguito alla lettura di due articoli di grande interesse, l’uno sul nostro giornale (6 giugno) di Joaquìn Navarro-Valls (“La marea nera e i falsi ambientalisti”), l’altro (“Corriere” del 6 giugno) di Claudio Magris su “I limiti (e i pregi) del capitalismo”.
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→ giugno 15, 2010

di Pietro Ichino
Mi sembra che un rifiuto di sottoscrivere l’accordo proposto dalla Fiat a Pomigliano dovrebbe trovare motivazioni diverse rispetto a quelle che vengono addotte dalla Fiom-Cgil, fondate essenzialmente sulle clausole in materia di malattia e di sciopero: clausole che mi paiono entrambe molto ragionevoli e comunque non contrastanti con la legge oggi vigente in Italia.
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→ giugno 14, 2010

di Pietro Ichino
Caro Direttore, quale che sia il risultato finale della partita che si sta giocando in queste ore alla Fiat di Pomigliano d’ Arco, essa costituisce l’ ennesima conferma della grave inadeguatezza del sistema italiano delle relazioni industriali rispetto alle sfide dell’ economia globale. L’ immagine del sindacato italiano che questa vicenda dà al mondo è la stessa che diede due anni fa l’ inconcludente trattativa con Air France-KLM per il futuro di Alitalia: quella di un sindacato profondamente diviso, ma anche incapace di darsi le regole necessarie per evitare che la divisione generi paralisi. In un sistema ispirato al principio del pluralismo sindacale, deve considerarsi normale che nella valutazione di un piano industriale a forte contenuto innovativo le associazioni sindacali si dividano.
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→ giugno 13, 2010

di Alessandro De Nicola
Con la Rai non ti sbagli mai. Ogni volta che politici, amministratori e giornalisti intervengono sulle reti televisive pubbliche c’è la quasi automatica certezza di assistere allo scontro tra due torti. Capisco l’esasperazione di Luca di Montezemolo all’effluvio di notizie su Santoro sì, Santoro no, Dandini forse, ma quando si parla della governance di una società pubblica che ha ricavi per 3 miliardi abbondanti di euro si affronta un problema che è un po’ lo specchio dei mali che affliggono il paese.
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→ giugno 11, 2010

di Cesare Salvi
Al direttore
Due osservazioni “in punto di diritto” sulla lettera di Franco Debenedetti a proposito dell’art. 41, 138 e dintorni.
1) L’art. 41 non è di matrice “catto-comunista”. Le costituzioni di quel periodo contengono tutte norme simili. Temo che il mio amico Franco resterebbe inorridito leggendo l’art. 14 della Costituzione tedesca, tutt’ora vigente, che fu scritto sotto occupazione anglo-americana. Il fatto è che in quel periodo Keynes e Beveridge piacevano più di von Hayek. Legittimo pensarla diversamente, ma Dossetti e Togliatti (con il dovuto rispetto per queste due grandi figura) non c’entrano molto.
2) Da tempo la Corte Costituzionale ha dedotto dall’art. 139 (quello contro la monarchia) che vi sono principi supremi della Costituzione che non possono essere modificati né attraverso l’art. 138 né dall’Unione Europea, e nemmeno dal Concordato. La clausula sociale in materia economica fa parte di questi principi supremi? La Corte Costituzionale tedesca ha detto di sì, nella sua sentenza dell’anno scorso sul Trattato di Lisbona, con riferimento allo stato sociale. La nostra Corte italiana non si è ancora pronunciata al riguardo.
La risposta di Giuliano Ferrara
La Costituzione è repubblicana, per il resto si può innovare, sennò è faraonica.
ARTICOLI CORRELATI
Il bollino del “fine sociale”
di Franco Debenedetti – Il Foglio, 10 giugno 2010
→ maggio 31, 2010

di Aldo Cazzutto
Tremonti: i rilievi del Quirinale? Dettagli tecnici, nessun problema
ROMA—È una domenica decisiva per la manovra e per il futuro del governo. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti nega che ci siano stati contrasti con il Quirinale – «c’è solo qualche dettaglio tecnico» – e spiega il decreto nel contesto di un’analisi della situazione economica e finanziaria globale.
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