Cablatura, largo ai privati

maggio 31, 1996


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


«Quantum mutatus ab illo» vien da esclama­re leggendo le considerazioni di Stefano Pecori, con­sigliere comunale di San Giulia­no Terme (Pisa) “Sulle reti cabla­te sfida dei Comuni” (si veda «Il Sole-24 Ore» del 27 maggio). Al­la base del disegno di legge che avevo presentato nella scorsa le­gislatura e che, opportunamente aggiornato, intendo riproporre, sta infatti l’idea che i Comuni possano mettere a gara il diritto di cablare il loro territorio, di­ventando cosi protagonisti della rivoluzione tecnologica e di con­sumi conseguenti all’impiego di reti a larga banda. Mentre ora si legge che i Comuni, anziché rivendicare il ruolo di “dominus”, dovrebbero accontentarsi di un “potere di condizionamento”, per “evitare l’uso distorto a fini pre­valentemente commerciali” o “definire accordi di programma che prevedano l’applicazione di una tassa ridotta a condizione che i servizi non a fine di lucro abbiano allaccio gratuito”.

Proprio su questi argomenti si basa l’offensiva promozionale che il monopolista pubblico sta conducendo verso i Comuni per coronare con la loro gratitudine la sua annessione di un secondo monopolio nel momento in cui quello originario sta per cadere per effetto delle norme comuni­tarie sulla concorrenza. Stiamo cioè assistendo alla svendita, da parte di molti Comuni, anche non minori, di autonome capaci­tà decisorie nel promuovere nei loro territori la nascita di impre­se e l’afflusso di capitali privati. in cambio di vaghe promesse o di servizi che il monopolista sareb­be comunque in obbligo e fin in­teressato a fornire. Il consigliere Pecori ha l’onestà di dichiararsi nemico della privatizzazione del­le telecomunicazioni, ma sa che prima o poi, in un modo o nel­l’altro, Stet sarà privatizzata. Pensa che il suo ruolo sia solo quello di negoziare con un monopolista, pubblico o privato, ma comunque senza alternative, una tassa di concessione del suolo pubblico un po’ più elevata, o “tariffe d’uso sociali”?

Conviene ricominciare dacca­po: la combinazione cavo in fi­bra ottica-cavo coassiale è, per ora, il principale sistema per le connessioni a larga banda ed in­terattive. La banda larga è neces­saria per trasmettere grandi quantità di dati, quindi anche immagini in movimento; l’inte­rattività è necessaria per dare al­l’utente la possibilità di scegliere (e di pagare) il programma che vuole vedere, di fare transazioni commerciali, di trasmettere a sua volta dati. La cablatura ha l’in­conveniente che costa cara (e qui bisogna segnalare la meritoria iniziativa del Comune di Bolo­gna che sta mettendo a punto un sistema che. utilizzando la rete fognaria, riduce il costo e il di­sturbo ai cittadini per la posa dei cavi secondo i metodi tradiziona­li): chi la paga? Anche il consi­gliere Pecori sarà d’accordo che la deve pagare chi la usa: saprà che in tutto il mondo c’è gente che oggi è già disposta a pagare per poter scegliere una più ampia gamma di spettacoli e, nello stes­so tempo, avere servizi telefonici a prezzi non di monopolio: e gente che domani dovrà pagare qualcosa quando va su Internet, oltre alla trasmissione quasi gratui­ta di messaggi ed informazioni, si faranno in modo più esteso transazioni commerciali. Ci sa­ranno anche usi “sociali” della rete, ed è doveroso provvedere affinché essi non discriminino i cittadini. Solo che per ora i relativi programmi o non sono di­sponibili o non vanno oltre servi­zi per i quali il monopolista è già tenuto a fornire le infrastrutture, senza null’altro dover chiedere in cambio.

Esiste dunque una domanda privata, ed esiste un’offerta di ca­pitali privati per soddisfarla. Ci sono dunque le premesse perché i Comuni possano scegliere i pro­pri interlocutori e definire le condizioni: così creando un ambiente di servizi concorrenziali e quindi a più basso costo, che attragga imprese e offra opportunità ai cittadini. Se invece in cam­bio del piatto di lenticchie dell’allacciamento di qualche computer, o di qualche chiosco di informazioni, i Comuni consentono a Telecom Italia di estendere il proprio monopolio alle nuo­ve infrastrutture urbane, saranno sempre in condizioni di inferiori­tà; perderanno la possibilità di scegliere, e il Paese perderà l’occasione di avere concorrenza an­che nella telefonia urbana.

I Comuni non possono che operare a legislazione vigen­te: è compito del legislatore definire il quadro concorrenziale del settore, il solo che può garantire ai Comuni il ruolo di protagonisti del proprio sviluppo. Il Comune di Roma, ad esempio, non può attendere i tempi parlamentari per offrire, in occasione del Giubileo, servizi multimediali (ma quali saranno?): e possiamo solo augurarci che saprà resistere alla probabile richiesta di usare, come è avvenuto troppe volte in Italia, questa occasione in modo estensivo. e che assegne­rà a Telecom Italia il monopolio delle infrastrutture solo nei limiti  strettamente necessari per speci­fici programmi.

Ma i Comuni, soprattutto i maggiori, debbono saper preservare i loro interessi oltre le lusinghe immediate. e pretendere con forza dal Parlamento di non essere messi nell’alternativa tra ritar­dare a fornire servizi ai cittadini ed essere spogliati del loro diritto di scelta.

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