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Archivio per il Tag »Dong Energy«

→  marzo 9, 2016


articolo collegato di Cinzia Meoni

Le utility non sempre sono la risposta giusta allo sviluppo della rete nelle tlc. L’Enel punta, come noto, a posare e gestire una rete in fibra ottica. Ma non tutto è così semplice come sembra. Lo dimostra il caso di Dong Energy (Danish oil and natural gas). Il colosso dell’energia danese controllato dal governo di Copenaghen, proprio 12 anni fa aveva provato a percorrere la strada della sinergia tra i due business, quello delle utility e quello delle rete tlc, forte della prospettiva dei numerosi vantaggi teorici. Il modello di business, quello infrastrutturale, è in effetti simile, quanto meno in apparenza. Le reti richiedono sempre forti investimenti, garantiscono ritorni prevedibili, generano consistente cassa e vantano una diffusa capillarità, presupposto per possibili vendite trasversali di servizi.Su queste basi, nel 2004, Dong Enegy ha deciso di sfruttare la propria capillare infrastruttura di rete per entrare nel mercato dell’Ftth (ovvero fiber to the home). Tempo tuttavia cinque anni e l’esperimento è stato ufficialmente dichiarato chiuso, con la vendita delle attività di rete di Dong Energy a Tdc. Un’uscita mesta, attraverso cui la multi-utility ha recuperato meno della metà degli investimenti effettuati per posare 5,5mila km di rete e raggiungere 220mila immobili (ma solo 15mila famiglie). Nonostante le attraenti premesse, i vantaggi teorici di cui Dong Energy avrebbe dovuto beneficiare, erano rimasti solo sulla carta, dimostrando che il business tlc non è solo questione di fibra. Proprio mentre in Italia tornano di attualità simile tematiche, il caso Dong Energy, come evidenziato da uno studio di Diffraction Analysis – società di ricerche di business – insegna che saper trasportare energia non significa, necessariamente, saper far utili attraverso le autostrade delle telecomunicazioni. A Dong è mancata, secondo gli esperti, la creazione di un’economia di scala che permettesse al gruppo di ottenere efficienze e riconoscibilità del brand, anche attraverso accordi con altri operatori. Non solo. Uno dei grandi errori è stato quello di non prevedere né una chiara politica di prezzi comprendente oltre all’accesso alla rete anche i servizi, né un’allettante proposta di contenuti premium tali da spingere i danese a sottoscrivere contratti.