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Archivio per il Tag »corriere delle comunicazioni«

→  febbraio 17, 2014


Intervista di Federica Meta a Tommaso Valletti

L’economista smonta il mito degli obiettivi europei: “Portare a tutti 30 mega è costoso e non sono chiari i benefici effettivi”. E sui fondi per le reti dice: “L’Italia persegua la strada dell’efficienza”

“Un ottimismo fuori luogo”. Tommaso Valletti ordinario di Economia all’Imperial College London e all’università Tor Vergata di Roma, spegne gli entusiasmi accesi dal rapporto Caio sulla banda larga.

L’ottimismo di Caio  nasce dalla possibilità di raggiungere gli obiettivi della Digital Agenda europea (Dae) fino al 2017. Lei non condivide?
I dati di partenza non sono incoraggianti, soprattutto sul versante banda ultralarga che è il vero tema. In Italia la banda ultralarga larga non è abbastanza diffusa, anzi lo studio precisa che siamo buoni ultimi in Europa sulle reti Nga e che siamo ben lontani dagli obiettivi dell’Agenda europea. Ecco perché l’ottimismo mi sembra fuori luogo.

Effettivamente lo studio evidenzia che gli operatori non hanno piani per la copertura al 2020. Che fare per recuperare il ritardo?
Non dimentichiamoci che gli obiettivi dell’Agenda europea hanno più che altro una valenza politica. Non danno indicazioni tecniche, anche se può sembrare così. Cosa succederebbe se si raggiungesse il 90% della popolazione a 30 mega e non il 100% come l’Agenda vorrebbe? Oppure, ancora, se si raggiungesse la copertura desiderata a 25 e non 30 mega? Nulla ovviamente: non riesco ad immaginare procedure di infrazione nei confronti dei paesi inadempienti. Semmai la domanda da fare è un’altra.

Ovvero?
Hanno senso degli obiettivi siffatti, considerando che è molto costoso  portare 30 mega a tutti? E soprattutto quali sono i benefici di questi target?  Non ci sono risposte esaurienti a questi interrogativi, salvo alcune previsioni – spesso fantasiose – che ci dicono che tutto andrà bene quando la banda ultralarga arriverà fin nelle zone più remote. Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha dato una nuova centralità all’Agenda ma senza dire quale potrebbe essere la strada da percorrere: si cambia la struttura proprietaria della rete Telecom oppure il governo si impegna a investire risorse proprie per sovvenzionare, ad esempio, la domanda con la consapevolezza che questo andrebbe a scapito di altri investimenti?

Caio giudica credibili i piani delle telco. Lei che idea si è fatto?
Spetta solo agli azionisti a giudicare se i piani di investimento siano redditizi o meno. Il giudizio da parte di altri soggetti può arrivare solo se sussistano comportamenti anticompetitivi da parte di un operatore o azioni regolatorie non più efficaci rispetto agli obiettivi di diffusione della banda larga. Dire genericamente agli operatori di investire di più fa sorridere perché non identifica l’eventuale problema né offre soluzioni pratiche. Da questo punto di vista, il rapporto Caio è molto “supply-side” ovvero fotografa la situazione attuale, dando un’indicazione sui possibili andamenti degli investimenti, senza dire nulla sulla domanda: perché gli utenti si dovrebbero abbonare a reti ultraveloci? E a quali costi? E sotto quali regole imposte dall’Agcom? Domanda per i servizi e quadro regolatorio devono essere parte integrante di un’analisi previsionale.

Uno dei punti fondamentali riguarda il monitoraggio dei piani degli operatori a livello di governo con l’obiettivo di controllarne lo stato di avanzamento. Chi dovrebbe farlo, a suo avviso?
Non mi sembra ci sia bisogno di monitoraggio aggiuntivo, c’è già il regolatore indipendente che lo fa. Anche perché, come accennavo prima, non si possono ai soggetti imporre piani di investimento; si  può solo intervenire se si rilevano comportamenti abusivi o se si pensa che la banda ultralarga abbia caratteristiche di servizio universale per cui l’obbligo di “coprire” rientra per norma. In questo senso, spero proprio non si faccia l’ennesimo gruppo di lavoro per monitorare il raggiungimento di obiettivi mal definiti.

Letta ha brandito l’arma dello scorporo delle rete se gli operatori non continuano ad investire. Può essere efficace?
L’affermazione di per sé mi sembra assolutamente fuori luogo: lo scorporo è un’opzione, ma solo se ben motivata e non può essere oggetto di una boutade che serve solo a fare titolo sui giornali.

Il rapporto riconosce al pubblico un ruolo fondamentale su due fronti:  quello di un ottimale utilizzo dei fondi Ue nelle zone a fallimento di mercato e quello della definizione di un piano industriale per la banda larga. Finora l’Italia non si  dimostrata all’altezza di questo ruolo. Cosa fare?
È un fatto che abbiamo utilizzato male le risorse comunitarie e, quindi, bisogna perseguire la strada di uno sfruttamento efficiente. Sul versante politica indistriale io dico che, più che su questo, bisognerebbe insistere su un’efficace azione regolatoria. Bisogna prendere decisioni di fondo: prezzi più bassi oppure investimenti più alti? Sarebbe bello avere alta qualità a prezzi bassi per tutti, ma è un’affermazione, ahimé, solo populista. A meno che lo Stato ci metta la sue risorse ma non rilevo questa volontà.  A rigor di logica, vista l’enfasi messa sugli investimenti, andrebbero allentati vincoli regolatori sulle reti Nga. Ma è un’azione che va annunciata e perseguita in modo chiaro. L’alternativa è quella di optare per  prezzi più bassi che vuol dire, però, reti meno veloci.

→  ottobre 28, 2013


Intervista di Federica Meta a Tommaso Valletti

Secondo l’economista “agitarsi” attorno al tema della sicurezza e dell’occupazione “è tipico di un mondo che vuol conservare lo status quo e vuole trovare pretesti da dare in pasto al grande pubblico”. Le operazioni fatte in difesa dell’italianità “servono solo a trasferire risorse”

L’italianità della rete? Un grimaldello. Lo scorporo? Avrebbe un vantaggio per il Paese, a patto che avvenga in un quadro di regole certe. Tommaso Valletti, ordinario di Economia all’Imperial College London e all’università Tor Vergata di Roma, analizza gli scenari economici e industriali legati all’operazione Telefonica.

Come giudica l’operazione Telefonica su Telco?
Per analizzarla vanno considerate tre questioni diverse tra loro: i debiti di Telco, il prezzo pagato da Telefonica e le conseguenze per Telecom Italia.

Andiamo nel dettaglio.
I debiti ci sono da oltre dieci anni, in parte per via dei giochi di potere tipici del nostro capitalismo, le famose “operazioni di sistema”. Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo che nel passato si erano prestate volentieri a questo gioco, ora non sono più disposte ad investire. Per cui c’erano poche alternative alla salita degli spagnoli. Sul prezzo pagato, Telefonica ha fatto un buon affare dato che ha acquisito il controllo di Telco con pochi spiccioli. Ma questo lo consente la legge italiana sull’Opa che non tutela affatto gli azionisti di minoranza.

Le conseguenze per Telecom quali saranno a suo avviso?
La compagnia dovrà probabilmente dismettere, per motivi antitrust, le attività in Sud America. Ovviamente queste operazioni non avranno ricadute dirette sull’Italia, trattandosi di mercato separati. Ma comunque spiegano l’interesse di Telefonica per Telecom. Analizzando il mercato italiano, invece, non mi aspetto grandi cambiamenti: Telefonica, dal punto di vista industriale, è una società simile a Telecom Italia, più grande forse, ma con un volume di indebitamento simile. Le sinergie tra mercati sono poche, visto che le due società operano su mercati con connotazione geografica molto spinta. Semmai, se il mercato riconoscerà a Telefonica un minor rischio rispetto a Telecom Italia, il costo del capitale potrebbe diminuire e gli investimenti crescere un pochino.

L’operazione ha riacceso il dibattito sull’italianità della rete. Secondo lei ha un senso difenderla?
Assolutamente no. Gli spauracchi che si agitano sulla sicurezza e sull’occupazione sono tipici di un mondo che vuol conservare lo status quo e trova pretesti da dare in pasto al grande pubblico. È talmente ovvio che tutte le operazioni per difendere l’italianità che abbiamo fatto sino ad oggi – Alitalia in testa – non hanno comportato altro che il trasferimento di risorse dalla tasche dei cittadini a quelle di qualche gruppo privato.

Ma perché ci ricaschiamo ogni volta, allora?
Ci deve essere un errore di comunicazione o di informazione. Nel caso specifico non cambia nulla sulla sicurezza delle rete, checché ne dica il Copasir. Voglio dire che se la rete era già poco sicura, lo rimane. E poi mi pare che la memoria sia corta: problemi di sicurezza ce ne sono stati durante la gestione dell’italianissimo Marco Tronchetti Provera.

Altro tema sotto i riflettori è lo scorporo della rete. Ha ancora un senso strategico e/o economico?
Lo scorporo non ha un senso strategico per TI perché è l’asset non replicabile più importante che possiede, anche se ovviamente tutto dipende dal “prezzo”: se venisse “strapagata” la rete, ovvio che gli azionisti ci guadagnerebbero. Potrebbe avere un senso economico per il Paese: senza separazione vi è il rischio che l’operatore integrato verticalmente metta in atto comportamenti anti-competitivi nei confronti dei rivali a valle; cosa puntualmente sanzionata dall’Antitrust. Con la separazione invece questi comportamenti verrebbero meno. Detto questo, i problemi che vedo legati allo scorporo superano i vantaggi.

In che senso?
Bisogna chiedersi chi stabilisce il prezzo? A chi spetta il controllo della rete separata? Sotto quali regole di accesso? Domande regolarmente eluse nel dibattito attuale, perché tacciate di mera “tecnicalità”, ma talmente importanti da non poter avviare alcuna discussione altrimenti. Uno scorporo così vago non lo considero altro che un modo di ripianare debiti privati con risorse pubbliche – nel caso il pubblico si presti a partecipare in qualche modo, lasciando eventualmente il controllo effettivo della rete nelle mani di TI – senza risolvere alcun collo di bottiglia. Le operazioni di scorporo sono delicatissime e hanno bisogno di tempo, esperienza e risorse di altissima qualità. Non mi sembra ci siano i presupposti nel nostro paese.

I sindacati chiedono di non fare lo spin off, ma di puntare ad un aumento di capitale, anche riservato a Cdp. La proposta può avere un senso?
Non credo che la Cdp abbia le competenze per gestire una rete nazionale. E mi si perdoni il leit motiv: Cdp è esattamente il canale che serve alla classe politica affamata di spazi da occupare e nomine da controllare.

È partito l’allarme occupazione. C’è il rischio di perdere posti di lavoro?
Dipende dagli investimenti: se questi salgono, anche l’occupazione ne potrà risentire positivamente. Non mi aspetto molto da Telefonica, ma sono leggermente ottimista. Non posso dimenticare che gli investimenti di Telecom negli ultimi anni son stati sotto la media europea, quindi spero che si possa invertire questo andamento. Basta prendere statistiche “neutrali”, e non di parte: secondo la Digital Agenda Scoreboard 2013 della Commissione Europea, l’Italia è ultima come rapporto Capex/ricavi tra i 18 paesi analizzati (12,2%, la metà del Regno Unito ndr). Siamo anche ultimi come copertura della Nga e sempre nella parte molto bassa della classifica per la penetrazione della banda larga. Solo nel mobile ce la caviamo bene.

Governo e Parlamento stanno lavorando – rispettivamente – alla golden power e alla revisione della legge sull’Opa. La strategia scelta per stoppare Telefonica la convince?
La legge sull’Opa andrebbe cambiata, a prescindere dall’operazione Telefonica. Sulla golden power il mio giudizio è negativo. L’interferenza politica è una delle cause dei nostri mali. Ma mette tutti d’accordo: capitalisti indebitati che non rischiano di proprio, sindacati che proteggono le proprie posizioni, il grande pubblico male informato che cerca rassicurazioni. Arriva la politica che fa da deus ex machina e salva l’italianità Un copione già visto. La golden power, dunque, non fa altro che guadagnare del tempo per cercare di trovare anche questa volta la “soluzione di sistema”.

→  giugno 7, 2013


Intervista di Federica Meta a Tommaso Valletti

L’economista: “La Cassa non è in grado di gestire lo spin off, soddisfa solo gli appetiti della politica”. E sull’operazione: “Se mal fatta può avere effetti disastrosi”

La separazione della rete Telecom, in teoria, può avere effetti benefici sull’azienda e sul comparto Tlc. Ma se “mal fatta” ne può avere altrettanto di disastrosi. Tommaso Valletti, ordinario di Economia all’Imperial College London e all’università Tor Vergata di Roma, membro della Competition Commission britannica, evidenzia luci e ombre dell’operazione di spin off.

Entriamo nel dettaglio degli effetti su Telecom Italia e sul mercato.
In via di principio lo scorporo potrebbe avere un buon effetto. Una rete totalmente separata dai servizi garantisce più equità e annulla le asimmetrie tra i concorrenti. Il settore delle Tlc – i consumatori in particolare – potrebbero beneficiarne e gli investimenti potrebbero finalmente ripartire. A livello industriale, però, Telecom perderebbe un asset strategico a causa di motivi finanziari – l’eccessivo debito – e politici – il possibile “appetito” della politica di tornare in pista, nelle utilities ad esempio. In questo contesto tutto dipenderà da come si farà la separazione: se mal fatta può essere disastrosa per tutti. E comunque – questo va ricordato – non ci sono purtroppo evidenze empiriche rilevanti a livello internazionale per giudicare gli effetti dello spin off sulla base di esperienze altrui.

Lei dice che dipende molto da come si fa l’operazione, quindi dalle regole. A suo avviso quale sarebbe il quadro regolatorio più propizio?
Facciamo un passo indietro. Se la regolamentazione di open access fosse efficace, che bisogno ci sarebbe di dover separare la rete se non per i motivi politico-finanziari detti sopra? Di fatto open access ha funzionato solo parzialmente. Di recente Telecom Italia è stata multata dall’Antitrust per abuso di posizione dominante nelle forniture dei servizi all’ingrosso agli operatori alternativi. I dettagli della regolazione non sono ancora noti e non posso pronunciarmi senza conoscerli. Sento dire, però, che Telecom voglia tenersi le componenti attive della rete, per cui continuerebbe a gestire i servizi all’ingrosso e gli abusi potrebbero continuare. Vedremo quello che succederà, ma oggi affermare di essere favorevoli o contrari all’operazione è decisamente prematuro così come trovo sterile il dibattito su cosa sia meglio – stato o privato.

Quale ruolo può giocare la Cassa Depositi e Prestiti?
La Cdp sembra essere uno dei pilastri di questa operazione. Ma, personalmente, non vedo in essa le competenze tecniche per gestire e comprendere un’operazione di tale portata. La Cassa Depositi e Prestiti appaga, invece, pienamente la ricerca di posizioni di potere della nostra classe politica. Il mio è un giudizio negativo, ma spero di sbagliarmi.

→  luglio 29, 2007


Forum Corriere Comunicazioni-Thinktel. Debenedetti, Curzi, Guerci a confronto sul futuro televisivo

Va a rilento alla Camera la discussione sul disegno di legge Gentiloni. Tanto che, per evitare lo stallo, il ministro potrebbe spostare con un decreto la data dello switch-off. Ma rischia di essere la tecnologia la vera bomba che farà scoppiare gli equilibri del mercato tv in Italia. Debenedetti e Guerci: troppo dirigismo statalista nella legge del ministro. Curzi: il servizio pubbli­co va tutelato. Emilio Pucci direttore di e-Media Institute: “I contenuti premium non bastano più a trainare lo switch-over”. Antonio Sassano direttore della Fondazione Bordoni: “Dal Dtt una grande occasione: meno spettro, più canali”.

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