Le rigidità del sindacato, vincolo per una sinistra di governo

febbraio 9, 1999


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali


Penserà pure in francese Bruno Trentin, come scrive il Corriere di ieri, ma non é l’ esprit de finesse che parla in lui quando di flessibilità é il discorso: in quel caso, con geometrica precisione rivolge il tiro su chiunque nomini il vocabolo-tabù.

“Nessun mercato sui diritti dei lavoratori” tuonò sull’Unità nel luglio 97 in risposta al disegno di legge da me presentato sulla base delle idee elaborate da Pietro Ichino; ora indirizza il tiro su D’Alema, che “non svegli i demoni del capitalismo” (Repubblica dal 29 Gennaio). Allora fummo accusati di “perfidia, volontaria o involontaria”; oggi tocca agli imprenditori che avrebbero “nostalgia dei padroni delle ferriere”(Corriere dell’8 Febbraio): privilegi di licenze sessuali inclusi.
Pietro Ichino ed io proponevamo di sottrarre la definizione del “giustificato motivo oggettivo” – già previsto dallo stato dei lavoratori – alla discrezionalità del giudice e ai tempi lunghi del giudizio; e di sostituirla con un indennizzo, definito per legge. Inserivamo la nostra proposta in un disegno complessivo organico volto a redistribuire le tutele tra tutte le categorie dei lavoratori, volevamo “abbassare le mura ed allargare le porte della cittadella che protegge i diritti degli insider”. Ora D’Alema ci ha provato con una spallata: ma i problemi non risolti ritornano, anzi si moltiplicano.
Liberalizzazione del mercato elettrico: il sindacato é rigidamente schierato a difesa dell’Enel integrata, la sua quota di mercato minima protetta “ope legis”.

Parità scolastica: il sindacato rigidamente difende la scuola pubblica contro la libertà per gli studenti di avere la formazione di propria scelta, e per i docenti di insegnare secondo le proprie scelte.
Previdenza: il sindacato rigidamente antepone i diritti acquisiti degli insider all’equità intergenerazionale; accetta la previdenza integrativa, non quella individuale e “portabile”, ma solo quella in cui gli si riconosce il ruolo di tutore verso i lavoratori e di interlocutore verso le imprese.
Ovunque rigidità. Ha ragione Trentin, la parola flessibilità ha un “significato magico”, ad essa é legata una “superstizione”. Ma è il sindacato stesso ad esserne la prima vittima; tabù é ormai la parola in ogni suo significato, e non solo come sinonimo politically correct di “licenziamento”.
Un moderno partito di sinistra può anche accogliere chi, come Trentin, considera “dolorosa” la crisi del socialismo, chi giudica “la visione statalista-illuminista dello sviluppo” non un colossale errore ma la contempla come un temporaneo eclissarsi di astri. Il problema vero – sopratutto se si hanno responsabilità di governo – é il rapporto con il sindacato, per i vincoli di rigidità che esso impone. Vincoli che diventano tanto più forti quanto più è irrinunciabile il sostegno delle minoranze organizzate.

Le discussioni sulla nuova sinistra, sulla terza via, sulle politiche di destra fatte dalla sinistra, su “what is left”, tutta la psicoanalisi o la terapia di gruppo della sinistra postcomunista – di cui parla Trentin – devono a un certo punto fare i conti con il problema del rapporto con il sindacato. Si guarda con ammirazione ed invidia alle fortune del New Labour: ma anche per Tony Blair preliminare é stato far sì che la politica si riappropriasse della propria indipendenza rispetto agli interessi rappresentati. Interessi magari legittimi, ma parziali.

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