Il restauro dell’Iri sarebbe una vera sconfitta

novembre 10, 1996


Pubblicato In: Giornali, Il Messaggero


Domani Ciampi andra’ a Bruxelles. Formalmente si discutera’ della proroga al famoso accordo del 1993 sul rientro dei debiti IRI: in sostanza si decidera’ della futura distribuzione del potere reale in Italia nei prossimi anni. La scena politica e’ occupata dai problemi di finanza pubblica, la finanziaria e l’entrata in Europa; dai dibattiti sulle riforme e quindi su nuovi equilibri politici. Temi importantissimi, certo: ma cio’ che poi conta sara’ chi possiede che cosa.

All’osso: vendere Stet cosi’ com’e’ non si puo’, non tanto per il veto di Bertinotti e di altri soggetti politici, quanto per l’obbiezione di Andreatta: i mercati finanziari valutano le conglomerate meno delle loro aziende operative.A questa obiezione, e semplificando alquanto, rispondono due diverse soluzioni. La prima e’: “spezzatino” e IRI in liquidazione. Vendere cioe’ le societa’ operative di Stet, senza ingorgare i mercati finanziari, rientrando nell’accordo Andreatta Van Miert. E soprattutto ponendo le condizioni per un obbiettivo ancora piu’ di fondo: liquidare l’Istituto di Via Veneto, per decenni il principale protagonista dell’intervento dello stato nell’economia: e che va una volta per tutte consegnato al passato.
A questo si obbietta che cosi’ si distrugge Stet, uno dei pochi grandi gruppi industriali del paese. Non e’ vero. Delle sue partecipazioni minori, Seat si e’ gia’ deciso di venderla; Sirti e’ una societa’ di impiantistica in Italtel, Siemens ha maggioranza e tecnologia. Telespazio funge da regolatore nell’allocazione dei trasponder sui satelliti: un’indebita appropriazione di ruolo ministeriale, analogo a quello di Alitalia con Civilavia, contro cui ha protestato Amato. MMP, la concessionaria pubblicitaria dal Manifesto a Famiglia Cristiana, certo importantissima per guadagnare consensi , tramite sovvenzioni piu’ o meno occulte, e’ un brutto capitolo da chiudere al piu’ presto. Resta TIM, che gode dei proventi di un monopolio, destinato a finire per legge, nella telefonia analogica, il TACS, ed e’ concorrente di Omnitel in quella digitale, il GSM.
La vendita separata di TIM ha il vantaggio che puo’ essere fatta subito, senza i veti di Bertinotti, e che il mercato sembra dare grande, forse eccessivo, valore alla telefonia mobile. Se si vende TIM e si da’ a Telecom la licenza per rifare un’altra azienda di telefonia mobile, si fa cassa, si accelera la concorrenza, ed in un anno Telecom e’ di nuovo operante anche in quel settore.

C’e una seconda strada: Superstet e IRI forever. E’ la strada di sempre: il controllo delle imprese non sia deciso dalla competizione, ma da chi in quel momento ha il potere politico. A questo fine si rinvia la vendita di Stet ( grazie, Bertinotti!), si accontenta Van Miert con le Autostrade ( che van vendute “a prescindere”). Per superare l’obbiezione Andreatta si rispolvera il vecchio progetto Superstet, fondere cioe’ in Stet le societa’ operative. Il boccone e’ troppo grosso per il mercato? Meglio, si vende un po’ per volta: non lo fanno anche tedeschi e francesi? A tempo debito, visti i mesi necessari per le operazioni tecniche, si porra’ il problema del nocciolo duro: in cui magari, a seconda di chi comandera’ allora, inserire IMI e le banche delle fondazioni. Non sono private, e’ vero, ma e’ quello che passa il convento.
Resta Mediobanca. Il gioco di comperare Stet cosi’ com’e', dunque a prezzo “scontato” non le e’ riuscito. Per questo dalla scorsa estate e’ contraria alla vera soluzione di mercato– il break-up–ed e’ oggettivamente convergente con la soluzione Superstet alla quale tendono i manager pubblici e chi li riconferma.
La strada e’ cosi’ spianata per il restauro dell’IRI. Il primo tentativo di apportare la ricca GEPI e’ abortito, determinando acuta tensione tra Tesoro e Palazzo Chigi. Ma, tolta la Stet, chi a Bruxelles potra’ opporsi a che il Tesoro concentri in IRI altre sue partecipazioni? Alla nuova IRI si apre cosi’ un novello destino: la Cassa del Mezzogiorno del 2000! Investimenti strutturali, sussidi all’occupazione, zone depresse: plaude il sindacato. E si ricomincia.
Questa e’ la posta in gioco della partita che deve giocare Ciampi. Forzare la soluzione di mercato significa compromettere gli equilibri che gli consentono( forse) di coronare il suo sogno, portare l’Italia in Europa. Arrendersi alla realpolitik degli interessi significa portare in Europa il paese di sempre. Non sarebbe solo la sconfitta politica dei pochi che si battono per il mercato, ma della classe imprenditoriale del paese, che su questi problemi ha mostrato un’eccessiva propensione al silenzio.

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