Intervista di Aldo Cazzullo a Carlo De Benedetti
L’imprenditore: «Questo conflitto si sovrappone a una recessione molto severa con effetti catastrofici. No all’invio di armi, serve una soluzione negoziale»
Carlo De Benedetti, qualche sera fa da Lilli Gruber sul La 7 lei ha detto: «La pace è finita, comincia la fame». È così pessimista?
«No: vedo solo ciò che sta accadendo. Una guerra che si sovrappone a una recessione molto severa, come quella cui stiamo andando incontro, è assurda, senza senso. Le conseguenze sarebbero catastrofiche».
Vale a dire?
«Carestia e fame in Nord Africa e in larga parte dell’Africa australe. Costretti a scegliere tra morire di fame e rischiare di morire in mare, gli africani rischieranno di morire in mare. Altro che 500 al giorno; arriveranno a decine, a centinaia di migliaia. La nostra priorità assoluta dev’essere fermare la guerra».
La guerra l’ha scatenata Putin.
«Io parto da due pietre miliari. La prima: non giustifico Putin; lo detesto. Putin è un criminale e un ladro, che con altri trenta ladri ha rubato la Russia ai russi. La seconda: sono e sarò eternamente grato agli angloamericani per averci liberati dal nazifascismo. Ma oggi noi europei non abbiamo alcun interesse a fare la guerra a Putin».
Ripeto: è stato Putin a cominciare la guerra.
«Certo, la colpa è sua. Ma gli interessi degli Stati Uniti d’America e del Regno Unito da una parte, e dell’Europa e in particolare dell’Italia dall’altra, divergono assolutamente. Se Biden vuol fare la guerra alla Russia tramite l’Ucraina, è affar suo. Noi non possiamo e non dobbiamo seguirlo».
È contrario all’invio delle armi agli ucraini?
«Sì. Biden ha fatto approvare al Congresso un pacchetto di aiuti da 33 miliardi di dollari, di cui 20 in armi: una cifra enorme, per un Paese come l’Ucraina. Questo significa che gli Stati Uniti si preparano a una guerra lunga, anche di un anno. Per noi sarebbe un disastro».
I russi stanno commettendo atrocità contro la popolazione civile.
«E lei crede che le armi servano a fermare queste atrocità? No: l’unico modo per fermare le atrocità è trovare una soluzione negoziale».
Ce l’ha anche lei con la Nato?
«La Nato è sorta in un contesto completamente diverso: non esisteva l’Unione Europea; non era sulla scena la Cina. Dobbiamo essere grati alla Nato per il ruolo svolto durante la Guerra fredda; ma ora non ha più senso. La Corea del Sud chiede di entrare nella Nato: ma cosa c’entra con l’Alleanza atlantica?».
Quale soluzione propone allora?
«Serve un esercito europeo. E siccome per avere una forza di difesa occorrono dieci anni, bisogna prendere quella che già c’è. A questo punto, tanto vale che gli Stati Uniti escano dalla Nato, e che gli europei assumano la responsabilità della propria sicurezza».
Lei sa bene che la Nato senza l’America non esisterebbe. Si scrive Nato, si legge Usa.
«È proprio questo che dobbiamo superare. Oggi l’Europa va in ordine sparso: la Francia investe 80 miliardi di euro sui superbombardieri Rafale, la Germania annuncia il riarmo da cento miliardi. Ma l’Europa ha un interesse comune: fermare la guerra, anziché alimentarla. Se gli Usa vogliono usare l’Ucraina per far cadere Putin, che lo facciano. Se i russi vogliono Putin, che se lo tengano. Cosa c’entriamo noi?».
Ma i russi non sono liberi di scegliere.
«Nella sua millenaria storia, la Russia non è mai stata una democrazia. Non siamo più al tempo delle crociate. Noi non siamo qui per combattere il Male, ammesso che si tratti del Male e il nostro sia il Bene. L’interesse dell’Europa è trovare la propria collocazione nel mondo come il continente della più grande ricchezza, dei più grandi consumi, delle più grandi tradizioni di pensiero, di arte, di cultura: perché la cultura occidentale è tutto quello di cui il mondo si nutre».
Della nostra cultura fanno parte anche la democrazia e la difesa dei diritti umani. E l’Ucraina è un Paese democratico aggredito da una dittatura.
«Ma davvero pensiamo ancora di poter esportare la democrazia con le armi? Gli americani ci hanno già provato. Si sono inventati le armi di distruzione di massa per giustificare la guerra in Iraq. Ebbene: non funziona. La democrazia si esporta con il successo sociale ed economico delle società organizzate democraticamente. Non con le armi».
Come finirà la guerra, secondo lei?
«Questa guerra non la può vincere nessuno. Non la può vincere Zelensky. Ma non la può vincere neppure Putin, perché gli Usa vogliono a tutti i costi che perda. L’unica soluzione è un compromesso».
Quale?
«L’Ucraina perderebbe i territori russofoni e russofili, e avrebbe in cambio la garanzia americana e britannica di pace e prosperità».
Ma si creerebbe un precedente. Putin sarebbe incoraggiato a nuove conquiste.
«E cosa può fare Putin? Lei crede veramente che possa ricostituire l’impero sovietico? La Russia ha 140 milioni di abitanti e un Pil — tolte le risorse energetiche — inferiore a quello della Spagna. Pensavamo avesse almeno l’esercito; che ha dato prova di un’inefficienza spaventosa. Un amico che lavora al Pentagono mi ha raccontato che Putin, dopo aver perso 600 carri armati in due giorni, ha cominciato a dare ordini direttamente ai comandanti sul terreno: è saltata la catena di comando. Disorganizzazione assoluta. La Russia è ridotta a sparare missili; ma le guerre non si vincono con i missili, si vincono con la fanteria. Tutti sappiamo bene che non è la Russia il vero pericolo».
Qual è allora?
«Per gli americani, la Cina. È come quando Atene capì che, con l’ascesa di Sparta, la guerra era inevitabile. Allo stesso modo, il confronto tra gli Stati Uniti e la Cina è inevitabile».
La Cina attaccherà Taiwan?
«Dipende anche da come finirà in Ucraina».
Vede allora che anche opporsi a Putin è inevitabile.
«Se l’America vuol fare la guerra a Putin, la faccia; ma non è l’interesse dell’Europa. Non è una mia opinione personale; è quello che pensano in Germania».
Non la impressiona l’eroismo della resistenza ucraina?
«È un nazionalismo ammirevole dal punto di vista patriottico; ma alla fine è un danno per il mondo. Non ci guadagna nessuno tranne gli Usa, che fanno soldi a palate vendendo le armi e il gas, senza subire conseguenze. Vede, la politica non ha nulla a che vedere con la morale. Noi, ad esempio, non abbiamo gli stessi interessi dei Paesi baltici: loro temono i russi; noi la fame e l’immigrazione».
La politica serve interessi, e nulla più?
«La politica serve a fermare la guerra. E io sono una delle ormai poche persone che la Seconda guerra mondiale l’ha vista. Mi ricordo i bombardamenti di Torino del novembre 1942, quando sfollammo a Revello, in provincia di Cuneo, dalle suore. Mi ricordo la rocambolesca fuga in Svizzera, e due anni di vita da rifugiato. Mi ricordo le prime immagini dei lager nazisti, che mio padre mi costrinse a ritagliare e incollare su un quaderno, e quando gli chiesi perché mi rispose: perché un giorno qualcuno dirà che tutto questo non è successo. Ebbene, tutto questo io non lo voglio più. Basta guerra».
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di Federico Rampini – Mondadori, marzo 2022 – 252 pp
Franco Debenedetti
2 annoe fa
Carlo fa due errori.
per espllcita (mi pare) dichiarazione di Putin qui in gioco è il risultata della caduta della cortina di ferro. Appena caduta, chi era dentro, appena ha potuto ha scelto l’Occidente, se del caso la Nato (Enrico Berlinguer era già dentro e quindi ha solo potuto dire che era bene così)..
L’operazione speciale è per decidere se l’Ucraina è una democrazia occidentale liberale, o una dittatura sorrette da censure ecc.
L’Europa non è in grado di sostenere questa posizione contro qualcuno che non esita ad ammassare centinaia i migliaia di soldati e centinaia di carri armati per far capire di che cosa sta parlando. Non può farlo perchè non vuole spendere i soldi necessari e perchè non ha (e per fortuna) le migliaia di bombe nucleari e i sistemi per lanciarle, che rendano cedibile la sua determinazione a non lasciarsi invadere da un “invasore seriale” (Cecenia, Siria, DonBass, Crimea) (La force de frappe di De Gaulle è appena la risposta a chi vuole andare anche lui allo zoo comunale).
E allora? non schiacciamoci sugli USA, d’accordo, ma non dimentichiamo che chi ci vorrebbe schiacciare è un altro.
FR
2 annoe fa
Se un attacco nel cuore dell’Europa ci ha colto impreparati, è perché eravamo impegnati nella nostra autodistruzione. Il disarmo strategico dell’Occidente era stato preceduto per anni da un disarmo culturale. L’ideologia dominante, quella che le élite diffondono nelle università, nei media, nella cultura di massa e nello spettacolo, ci impone di demolire ogni autostima, colpevolizzarci, flagellarci. Secondo questa dittatura ideologica non abbiamo più valori da proporre al mondo e alle nuove generazioni, abbiamo solo crimini da espiare. Questo è il suicidio occidentale. L’aggressione di Putin all’Ucraina, spalleggiato da Xi Jinping, è anche la conseguenza di questo: gli autocrati delle nuove potenze imperiali sanno che ci sabotiamo da soli.
Sta già accadendo in America, culla di un esperimento estremo. Questo pamphlet è una guida per esplorare il disastro in corso; è un avvertimento e un allarme.
Gli europei stentano ancora a capire tutti gli eccessi degli Stati Uniti, eppure il contagio del Vecchio continente è già cominciato. Nelle università domina una censura feroce contro chi non aderisce al pensiero politically correct, si allunga la lista di personalità silenziate, cacciate, licenziate. Solo le minoranze etniche e sessuali hanno diritti da far valere; e nessun dovere. L’ambientalismo estremo, religione neopagana del nostro tempo, demonizza il progresso economico e predica un futuro di sacrifici dolorosi oppure l’Apocalisse imminente.
I giovani schiavizzati dai social sono manipolati dai miliardari del capitalismo digitale. L’establishment radical chic si purifica con la catarsi del politicamente corretto. È il modo per cancellare le proprie responsabilità: quell’alleanza fra il capitalismo finanziario e Big Tech pianificò una globalizzazione che ha sventrato la classe operaia e impoverito il ceto medio, creando eserciti di decaduti. Ora quel mondo impunito si allea con le élite intellettuali abbracciando la crociata per le minoranze e per l’ambiente. La questione sociale viene cancellata. Non ci sono più ingiustizie di massa nell’accesso alla ricchezza. C’è solo «un pianeta da salvare», e un mosaico di identità etniche o sessuali da eccitare perché rivendichino risarcimenti.
In America questo è il Vangelo delle multinazionali, a Hollywood e tra le celebrity milionarie dello sport. In Europa il conformismo ha il volto seducente di Greta Thunberg e Carola Rackete. Le frange radicali non hanno bisogno di un consenso di massa; hanno imparato a sedurre l’establishment, a fare incetta di cattedre universitarie, a occupare i media. Possono imporre dall’alto un nuovo sistema di valori. La maggioranza di noi subisce quel che sta accadendo: non abbiamo acconsentito al suicidio.