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Vivendi? Viva il capitalismo con capitali che salva il nostro capitalismo

Pubblicato il 17/12/2016 @ 12:25 in Giornali,Il Foglio


Al direttore.

Succede un fatto che suscita emozioni e preoccupazioni; si chiede al potere pubblico di porvi rimedio; e i mezzi con cui si chiede di farlo sono quelli che, usati in passato, ne sono stati la causa. Succede anche nella vicenda Mediaset-Vivendi: anch’essa riguarda il presente ma non può dimenticare il passato, e per questo “non è legata semplicemente alla conquista di una delle più grandi aziende italiane”, come scriveva giovedì il direttore. Si determinano quindi due ambiti di discorso, che conviene tenere separati: uno dei fatti che “semplicemente” sono, e uno di quelli che “non semplicemente” potrebbero essere e forse saranno: e del perché lo sono. Il discorso del “semplicemente” è quello che sta facendo il presidente Gentiloni, e di cui è doveroso dargli atto: questa operazione, ha detto a Class Cnbc, non coinvolge lo Stato.

Infatti il governo deve solo parlare di certezze e dare sicurezza: che questo è un paese che segue la rule of law; e che questo governo è guidato solo dall’impegno a rispettare le regole. Ci sono state manipolazioni del mercato? Abbiamo magistrature preposte al suo corretto funzionamento. Opa ostili? Sono normate da apposite leggi. Aziende strategiche? Una legge definisce quali si possano considerare tali.

Il governo tutelerà i diritti delle aziende che operano in Italia e assicurerà che lo siano quelli di chi vuole investire in Italia: a Segrate come a Siena, alla Bicocca come in piazzetta Aulenti. Nel “semplicemente” c’è anche il non detto: che si tratta di iniziative di operatori europei, anzi dell’Eurozona; e che tout se tient, microeconomia delle imprese e macroeconomie degli stati, libertà di movimento dei capitali e delle persone, banking union e transfer union. Visti toni e sostanza di altre dichiarazioni governative, e di come sono state accolte dai giornali, la precisazione sembra non proprio fuori luogo. Il “non semplicemente” riguarda invece quello che ancora non è un fatto, e cioè un possibile disegno che partendo da Telecom, crescendo in Mediaset, arriva a Mediobanca e di lì tenta l’assalto alla preda più ambita del reame, Generali.

Un disegno non è un gioco deterministico, di cui è già scritto il risultato: analizzarne percorsi e snodi, individuare le strategie possibili e i consensi necessari, è utile per capire che cosa sta succedendo, per individuare percorsi alternativi, per giudicare le eventuali conseguenze. Il “non semplicemente” riguarda anche le cause, e la singolare ricorsività per cui le contromisure invocate per difendersi dall’”attacco” sono proprio quelle che, adottate in passato, hanno prodotto le “debolezze” che oggi lamentiamo. Scrivendo per coerenza attacco e debolezza tra virgolette.

Ricorsiva è l’idea dei campioni nazionali: quanti miliardi si sono bruciati tra l’altezzoso rifiuto a Air France e il sospirato arrivo di Etihad? E in Telecom Italia, quanto ci sono costati i tanti no che abbiamo pronunciato, quanto ingessare l’azienda in improbabili accrocchi solo per “difendere” (sempre tra virgolette) l’italianità? Fa un certo effetto leggere (su Repubblica di giovedì) dell’eterno ritorno di un tema vintage, lo scorporo della rete, stavolta perché di lì passano le “comunicazioni più delicate” della Difesa. (Ah, se Hillary avesse usate le nostre infrastrutture anziché i suoi server, quanti fastidi si sarebbe evitata!). Lamentiamo che Telecom sia la preda anziché il cacciatore: mentre il solo fatto che sia ancora viva, che investa, che guadagni in un mercato iperconcorrenziale, che sia perno di un progetto sovranazionale di unione tra chi produce contenuti e chili trasmette, copia in scala ridotta del mega-deal At&t-Time Warner, è dimostrazione dell’esistenza del dio mercato.

Mediaset, alla cui difesa vengono chiamati i “massimi livelli istituzionali” (Repubblica) non è che venisse considerata di valore strategico dai ministri della sinistra democristiana del governo Andreotti che si dimisero per protesta contro la legge che le consentiva di esistere. Né che tale venisse considerata dai proponenti della sterminata serie di iniziative di Parlamento e autorità volte a limitarne l’attività, serie culminata nel disegno di legge del 16 ottobre 2006 a firma proprio dell’attuale presidente del Consiglio, che chiede di porre un tetto al suo fatturato pubblicitario pari al 45 per cento del totale dei ricavi dell’intero settore televisivo.

In Mediobanca assistiamo a una sorta di legge del contrappasso: fu infatti per proteggere le “sue” aziende da invasioni politiche che Cuccia portò in consiglio i francesi (di Lazard e Lehman); fu per consentire a un “capitalismo smidollato” (copyright Cingolani) di far da contrappeso al partito stato che Cuccia inventò innumeri schemi di incroci, partecipazioni, piramidi, tutti con Mediobanca al centro, che oggi potrebbero esser usati per conquistarla dall’interno. Le cause, a cercarle, ci sono: ma invece di considerarle, va in scena l’eterno autodafé del nostro capitalismo senza capitali.

La risposta del Direttore

Viva il capitalismo con i capitali che rimpolpa il capitalismo in cerca di idee e di capitali (Vivendi con Mediaset). Ma viva anche uno stato che mostra di saper difendere non l’italianità di un’azienda (sciocchezza) ma l’interesse nazionale di alcune realtà (penso per esempio a Generali) senza le quali un paese funzionerebbe persino con maggiore fatica rispetto a oggi. Ma ne riparleremo.


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