Una legge che ritarda il futuro

ottobre 21, 2006


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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Per ridurre il peso di Mediaset, il progetto di legge Gentiloni pone limiti alle due attività di una TV generalista: trasmettere programmi e vendere pubblicità. La limitazione dei programmi ha ratio politica, il pluralismo come principio, le sentenze della Corte come quadro normativo. La limitazione della pubblicità ha ratio economica, la concorrenza come principio, l’antitrust come riferimento.

La Corte distingue tra pluralismo interno, dato dalla diversità delle voci culturali e politiche nei programmi di ogni operatore, legato al servizio pubblico e alla par condicio; e pluralismo esterno, assicurato dalla molteplicità delle imprese. Nessun soggetto, dice la sentenza 240 del 1994, può esercire più del 20% delle reti disponibili, dunque 2, il totale essendo 12. Oggi il digitale terrestre è ricevuto da 3 milioni di famiglie, e i programmi satellitari quasi da 4 milioni. Al momento dello switch over, se tutte le frequenze dell’analogico venissero usate per il digitale, sarebbero possibili circa 100 programmi. Invece il mondo a cui guarda Gentiloni è solo l’analogico, e il digitale non è una nuova tecnologia per lo stesso business, come è stato per telefonia e fotografia, per musica e cinema, è un altro business. Il suo vero obbiettivo è normare il passato, non disegnare il futuro: prima mettere a posto l’end game dell’analogico, dopo sarà un altro gioco, col Governo a dar le carte e controllare l’andamento. Pur di rallentare l’avvento del digitale, le prova tutte: sposta in là la data dello switch over; non vincola alla nuova tecnologia le reti forzosamente trasferite; leva risorse a RAI e Mediaset, che hanno l’onere principale della costruzione delle infrastrutture; produce incertezze negli operatori, che così frenano gli investimenti, e nei consumatori, che così rinviano l’acquisto del decoder. E perché il rinvio si trasformi in rinuncia, con l’ulteriore limite di due reti per ogni soggetto nel sottoinsieme dell’ analogico, rende impossibile a Mediaset e Telecom trasmettere i programmi che avevano promosso la diffusione del digitale: Sky diventa monopolista della Tv a pagamento, calcio compreso.

La limitazione alla vendita della pubblicità televisiva consiste in un tetto ai ricavi pari al 45% del totale: facendo riferimento in modo del tutto improprio a principi antitrust. Le Autorità, deliberano alla fine di un dibattito pubblico tra i portatori di interessi, non di un voto politico: per questo sono indipendenti,. Nemmeno contro AT&T, nemmeno contro Microsoft si è intervenuti con lo strumento della legge. Nessuna disciplina antitrust persegue il fine di mercati “equi”, nessuna autorità ha posto limiti quantitativi ai fatturati raggiunti per crescita interna. Il punto di riferimento è l’interesse dei consumatori, in questo caso gli inserzionisti. Razionando l’offerta, nell’attesa che se ne formi di nuova, i prezzi della pubblicità aumentano. Buone notizie per i concorrenti, i giornali e le televisioni locali. Hanno accusato Mediaset di fare prezzi troppo bassi, ma quando mai si è mai vista un’impresa usare la sua posizione dominante per abbassarli? Imponendo un limite, il Governo distorce il mercato, imponendolo solo a chi deriva tutti i propri ricavi da vendita pubblicitaria (Mediaset) e lasciando indenni i concorrenti che hanno ricavi da un’imposta di scopo ( RAI) o da abbonamenti (Sky).

In conclusione, il progetto Gentiloni quando limita la capacità di trasmettere programmi, dice di farlo in nome del pluralismo, ma fa di tutto per ritardarlo. Quando limita la capacità di raccogliere pubblicità, dice di farlo in nome di principi di mercato, ma danneggia i consumatori. Le ratio non reggono, restano solo i danni: alle due principali industrie culturali, RAI e Mediaset, i cui ricavi vengono decurtati; alle imprese che usano la pubblicità, i cui costi aumentano; a operatori e consumatori, che in ritardo fruiranno della nuova tecnologia. Inevitabile ricordare il divieto della TV a colori, che per anni negò al Paese i vantaggi della nuova tecnologia e mise al tappeto un settore produttivo.

E tutto questo solo perché il risultato di un processo di mercato viene trovato dal Governo non consono a come secondo lui dovrebbe essere.
L’obbedienza che predendevano i tanto criticati “piani regolatori” – magari fino al “confessionale” – era ex ante: qui si vogliono correggere ex post esiti che non dipendono né solo dall’abilità di un imprenditore né certo da scorrettezze che nessuno ha contestato all’azienda. Questi esiti sono il risultato di una storia che dura da trent’anni. Una storia in cui c’era – eccome se c’era! – la RAI e in cui c’erano gli editori. La storia di un sistema industriale diviso tra aziende di Stato avviate alla sclerosi e aziende di beni di consumo che spingono per crescere, di una società che vuole avere più libertà di scelta; e di una politica incapace di dare risposte alle domande, sia delle imprese sia della società. Oggi, la Rai è sempre quella, il sistema industriale fatica, il sistema sociale protegge sempre solo gli insider. Nel mondo, l’informazione digitalizzata modifica i modelli di business e ne propone sempre di nuovi. IBM è oggi uno dei tanti fornitori di soluzioni di sistema. Microsoft deve innovare per non diventare fornitore di commodity. YouTube, fondata un anno e mezzo fa, è acquistata da Google a 1,3 miliardi di $. Per il Governo Prodi l’importante è regolare il traffico sul viale del tramonto della televisione analogica.

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