“Un azionista di controllo non ha bisogno di incentivi, né di stock option”

ottobre 11, 2000


Pubblicato In: Giornali, Il Foglio


Al Direttore.

Per la vittoria sui turchi, sigillata con la pace di Carlowitz, Leopoldo I diede come premio al Principe Eugenio, il grande condottiero sabaudo ai suoi servizi, grandi possedimenti tra la Drava e il Danu­bio. Ma a nessuno verrebbe in mente di chie­dersi quale terra si fosse assegnata in premio Leopoldo I: sfido, controllava già tutto l’im­pero! Spero che il riferimento glorioso e la prospettiva storica mi consentano di sfidare l’impopolarità presso parenti, amici e cono­scenti, e di porre una domanda: è logico pre­vedere una stock option a favore di chi con­trolla un’azienda?

Nelle società ad azionariato diffuso gli azionisti vogliono evitare che chi gestisce l’impresa compia atti a vantaggio proprio più che loro: per esempio, che si allei con i di­pendenti in strategie che gli diano sicurezza e potere in cambio di posti di lavoro o di al­largamento del perimetro aziendale, a scapi­’ to della redditività del loro capitale. Le stock option servono ad assicurarsi la fedeltà del management e ad allineare gli interessi di chi gestisce con quelli degli azionisti, a cui preme solo l’aumento del valore del loro in­vestimento. Trasferendo l’istituto della stock option in un contesto diverso da quello per cui era stato originariamente pensato, sorge la domanda che si diceva: quale obiettivo economico si intende perseguire dando in­centivi a chi già controlla un’azienda perché ne massimizzi il valore per gli azionisti, dun­que in primo luogo per se stesso? Dopotutto i viennesi liberati dall’assedio dei turchi non hanno regalato possedimenti all’imperatore.

Gli azionisti di minoranza di tutto il mondo sanno benissimo che chi controlla trae bene­fici maggiori di quelli che gli spetterebbero in base alle quote di possesso: se così non fos­se non ci sarebbe il premio al controllo. Quando investono in società, come alcune tra le maggiori in Italia, punto o poco scalabili perché protette da strutture a cascata, o da patti di sindacato, lo fanno proprio perché pensano che chi detiene il controllo farà il proprio interesse e quindi il loro. Conviene prevedere un ulteriore incentivo?

Qui non c’entrano né la legge né l’etica. C’entra solo la convenienza e l’arbitraggio, è un problema di concorrenza tre varie opzio­ni di investimento. Ma, a onta di tanto parla­re di globalizzazione, nei portafogli degli investitori italiani i titoli di Piazza      sono enormemente sovrarappresentati, l’arbitrag­gio è molto meno diffuso di quanto dovrebbe essere secondo gli schemi degli economisti: colpa di imprinting culturali e di costo del­l’informazione. A superare gli uni e ad ab­battere gli altri sono all’opera gli investitori istituzionali. Non sono turchi e non assedia­no Vienna: e a fermarli non varranno né l’im­peratore Leopoldo né il Principe Eugenio.

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