Un’impresa davvero spaziale

giugno 25, 2004


Pubblicato In: Giornali, La Stampa

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SpaceShipOne tutta privata

Il volo di SpaceShipOne, che il 22 Giugno ha superato i confini dell’atmosfera, raggiungendo i 100 km di altezza, per poi atterrare sano e salvo alla base, é stata un’impresa eccezionale. Non certo per la caratteristiche tecniche della missione, oggettivamente ben più modesta di quella degli shuttle.

Ma a queste abbiamo fatto l’abitudine; la costruzione della stazione orbitante non fa più volare la fantasia; abbiamo archiviato presto anche i film delle esplorazioni dei robot su Marte; non ci vorrà molto e saliremo con indifferenza sull’Airbus a due piani da 800 persone. Tutte imprese ciclopiche, realizzate da diecine di migliaia di persone, con stanziamenti finanziari che eccedono le capacità di singoli stati che non siano gli USA. Invece quella di SpaceShipOne é opera di un’azienda relativamente piccola, che per realizzare l’impresa si é inventata tutto ex novo, l’aereo madre, la navicella, la sua aerodinamica, il modo di rientro nell’atmosfera. Ma soprattutto é opera di un’azienda privata, con soldi di privati.
Non si fa che parlare di investimenti, di ricerca, di innovazione, di necessità di spostarsi verso produzioni che per i loro contenuti di tecnologia e originalità non rischino di essere spiazzate da concorrenti con costi minori dei nostri; discorsi tutti uguali, sovente fondati sugli stessi dati che rimbalzano da un convegno all’altro. Io penso allo SpaceShipOne, e mi domando: perché questo non é avvenuto in Italia? Tecnologia? é nota e disponibile. Laboratori? non ci mancano in Italia, nè in Europa. Soldi? Era appena di 20 mio di $ il finanziamento di Paul Allen, neppure 40 miliardi delle vecchie lire, come ama dire il Presidente del Consiglio, una cifra dell’ordine del costo di un megayacht, o del cartellino di un giocatore famoso. Perché da noi mancano i Burt Ruton? Senza nulla levare alla sua genialità, non credo che ci facciano difetto i progettisti. E allora: perché questo da noi non é avvenuto?
Ad essere sinceri, in questo improbabile caso, saremmo stati noi i primi a stupircene: e questa é forse la risposta alla domanda. Siamo diventati un paese in cui ci sono meno persone che hanno fiducia nel futuro, e meno soldi che hanno fiducia nelle persone. Un paese in cui la preoccupazione per assicurare una protezione a chi ne ha bisogno ha voce assai più forte che quella per garantire un premio a chi se lo merita. E ci siamo abituati a questo stato di cose come se fosse una legge di natura, e non, come invece è, il risultato di scelte sulle priorità.
Il discorso non riguarda solo pensioni o servizio sanitario nazionale; riguarda anche il mondo dell’industria e della finanza. Gli assetti proprietari di un grande giornale, su cui si sono confrontati a lungo i nostri maggiori imprenditori, saranno pure un fatto importante; la sopravvivenza di squadre di calcio, di cui si occupano alcune banche, anche. Ma è dall’insieme delle loro scelte che dipenderà se riusciremo a superare, se non i confini dell’atmosfera, i limiti di cui soffriamo.

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