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Tv via cavo e Enel: due casi emblematici

Pubblicato il 01/04/1995 @ 12:40 in Varie


Liberalizzazione della TV via cavo e assetto del settore dell’energia elettri­ca: questi i due temi che mi hanno particolarmente impegnato in questi mesi. Due temi che solo superficial­mente possono apparire specialistici, mentre sono di straordinario interesse per tutti e non solo perché tutti, priva­ti e imprese, paghiamo le bollette della luce e del telefono, o perché guardiamo la televisione. Vediamo perché.

  • CASO ENEL: Si è deciso di privatizzarla fin dall’epoca del Governo Amato. Ma come? Una strada è quella di venderne le azioni, mantenendo l’azienda così come è; l’altra è quella di approfittare della privatizzazione per modificare la struttura del settore, cercando di intro­durre quanto è possibile di concorren­za. Nel sistema elettrico si distinguono tre fasi: la produzione, la trasmissione sulle grandi dorsali dell’alta tensione, e la distribuzione locale. Nella produzione il problema è facile: basta che ci siano un certo numero di aziende produttrici, di dimensioni ana­loghe, in modo da suscitare concorren­za tra loro. La trasmissione deve restare unica: non si può certo immaginare di raddoppiare gli elettrodotti che già deturpano il paesaggio. Più complicato il caso della distribuzione, dove la concorrenza può solo nascere dal confronto tra i costi oggi questi sono a Napoli circa il triplo che a Milano. Il problema presenta numerosi risvolti non sempli­ci: come far si che il diritto a comprare energia dal produttore più efficiente (magari al Nord) non aumenti gli svan­taggi del Mezzogiorno? Come concilia­re prezzi diversi alla produzione con tariffe uguali su tutto il territorio? Problemi che richiedono l’istituzione di un’Autorità di settore, che appunto è prevista dalla legge sulle privatizzazio­ni (e di cui quindi pure mi sono occu­pato).
  • CASO TV VIA CAVO. L’Italia, sola con Grecia e Portogallo, non dispone di reti cavo, molto diffuse invece in Germania, Francia ed Inghilterra, per non parlare degli USA dove collega la maggioranza delle case. Questo per­ché ad oggi è proibito realizzarli. Per tutti tranne che per Stet. Presento una proposta di legge che dà ai Comuni (non più quindi al Ministero delle Poste, che dal 1991 non ha ancora provveduto ad emettere il regolamento di una legge che avrebbe dovuto libe­ralizzare un poco il settore) il diritto di rilasciare le concessioni. Ma l’operatore cavo deve poter fornire anche il servi­zio telefonico, in concorrenza con Stet. Proposta che da noi è rivoluzionaria, ma che in Inghilterra ha funzionato perfettamente: in pochi anni si sono rilasciate 136 concessioni, che danno diritto ad allacciare oltre 14 milioni di utenti, e si è ridotto il costo della bolletta telefonica; e tutto con capitale privato. Concorrenza, si sa, vuol dire per l’uten­te possibilità di premiare con la propria scelta il fornitore più gradito, attivando così l’unico stimolo che funziona per avere migliori servizi a minori costi. Ma l’importanza dei due temi di cui stiamo parlando va ben oltre quella di rendere concreti i diritti dei consumatori: per una serie di motivi cui cercherò di accennare.

1. Cultura del mercato.

Era un impegno della mia campagna elettorale. L’Italia, è stato detto, per l’ab­norme dimensione di attività economiche sotto controllo pubblico, è il più grande paese socialista dell’Occidente. Questa presenza non ‘sottrae solo campi di attività all’iniziativa privata; se in un settore industriale c’è solo una grande azienda monopolista, anche i suoi forni­tori possono avere un solo cliente, verso il quale si trovano in condizioni di sudditanza. Si genera allora una cul­tura dell’intervento statale, che è l’altra faccia della medaglia dell’assistenziali­smo. Le Aziende di Stato sanno che possono contare su fondi di dotazione illimitati, e per assicurarseli, cercheran­no il favore dei politici, o si metteranno a fare politica.

2. Innovazione tecnologica

    Questa riguarda in particolare il settore delle telecomunicazioni.

    Digitalizzazione del segnale, nuovi servi­zi telefonici, satellite, ma soprattutto l’in­terattività, la possibilità cioè di usare il televisore non solo come ricevitore pas­sivo di programmi, ma anche come postazione da cui rimandare dei coman­di: per ordinare la visione di un film all’ora voluta, per svolgere attività finan­ziarie, per fare acquisti da grandi magaz­zini, per la formazione a distanza ed il lavoro da casa.

    Ma i governi sono dei pessimi gestori dell’innovazione tecnologica. Questa invece vive bene nel mercato, che è rapidissimo nel selezionare, con le pro­prie scelte, l’innovazione vincente: lasciando che sia l’investitore a rischiare i propri soldi. Se il compito di cablare n’Aia fosse lasciato alla Stet, non soltanto consegneremmo un altro monopolio a chi già detiene il monopolio telefonico (e sarebbe già un motivo sufficiente per opporvisi), non soltanto leveremmo la possibilità di far nascere dei concorrenti nella telefonia, ma dovremmo prendere delle decisioni tecniche su scala nazio­nale, pagate o con le nostre tasse o con la bolletta telefonica.

    Se invece si danno tante concessioni locali, le soluzioni tecnologiche migliori emergeranno dalla loro competizione. Si parla tanto di autostrade informatiche, e delle meravigliose opportunità che ci offriranno, ma in concreto le autostrade informatiche sono le reti in fibra ottica che entrano in tutte le case. Incominciamo a costruirle, pezzo per pezzo, città per città: ci sono nel mondo investitori pronti ad anticipare i soldi per costruirle.

    Penseremo poi a come collegarle tra di loro, e ad estenderle a tutto il territorio nazionale.

    3. Il problema della televisione.

      Qui non abbiamo un monopolio, ma uno strano oligopolio, tra l’impresa pubblica (la RAI) ed un’impresa priva­ta (la Fininvest). Il motivo di fondo è che il numero dei canali televisivi che si possono trasmettere via etere è limi­tato, quindi logico che ci sia una guer­ra accanita per contenderseli.

      Il fatto poi che 3 (o sei?) di questi siano di proprietà del leader di uno schieramento politico rende scottante il problema. Il cavo può invece tra­smettere 100 (ma in alcuni casi fino a 500) canali: è ovvio che in questo caso nessuno se li può accaparrare tutti, il pluralismo è assicurato.

      Mentre gli altri paesi vanno verso il mondo dell’abbondanza, noi stiamo accanitamente combattendo la batta­glia per il controllo di risorse scarse, una battaglia di retroguardia, che diffi­cilmente darà soluzioni soddisfacenti. Non solo, ma la grande capacità trasmissiva dovrebbe anche favorire la nascita di molti fornitori di program­mi, quindi rilanciare l’attività creativa, con interessanti risvolti occupazionali.

      4. Le realtà locali.

        Tutti, a parole, sono per il federali­smo, che ha risvolti istituzionali e fiscali complessi. Ma il federalismo richiede che si formi un rapporto diverso, più stretto, tra autorità locali, ambiente economico, realtà sociale. Articolare localmente iniziative indu­striali vuoi nel campo della TV via cavo, vuoi in quello della distribuzio­ne dell’energia elettrica, consente il formarsi di questi rapporti, stimola il senso di appartenenza, un sano orgo­glio competitivo tra città. Non esistono solo le attività industriali che hanno interesse a promuovere i loro prodotti su tutto il territorio nazionale, ci sono anche attività commerciali che si avvantaggiano di uno stretto rapporto con le realtà territoriali. Enel e TV via cavo: due settori in evoluzione, due settori in cui realizzare concretamente l’impegno, che avevo preso con gli elettori, di utilizzare la mia esperienza d’azienda per introdurre concorrenza, per ridurre la nostra distanza dall’Europa, da una cultura basata su mercati da stimolare e da regolare.

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