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Tre F per lo sviluppo: Fisco, Flessibilità, Finanza. La sinistra di fronte alla nuova Confindustria

Pubblicato il 29/03/2004 @ 17:35 in Giornali,Il Riformista

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Industriali – A Milano un convegno contro il declino

Venerdì e sabato a Milano Confindustria fa il punto sullo stato di salute delle imprese italiane di fronte alla sfida dello sviluppo. E’ l’ultima grande manifestazione organizzata da Antonio D’Amato prima del cambio della guardia con Montezemolo: vi parteciperanno anche Berlusconi e Fini.

Parlando di rapporti tra politica e Confindustria, la mente va subito al famoso convegno di Parma del marzo 2001. In piena campagna elettorale, di fronte a 3000 imprenditori (in maggioranza) esultanti, Silvio Berlusconi proclamò l’identità tra il programma di Confindustria e il suo programma di governo. Non fu captatio benevolentiae, purtroppo. Berlusconi ha vinto, ma anche ora o mostra di continuare a crederlo o crede che sia utile mostrarlo. Oggi, molti imprenditori, penso, riconoscono che per un governo il modo di essere vicino o amico degli imprenditori è invece di mirare all’interesse generale.
La sinistra non corre il pericolo di scadere nella captatio benevolentiae: in primo luogo perché è all’opposizione. La sinistra, va subito messo in chiaro, non cerca in Confindustria una sponsorizzazione per vincere le prossime elezioni politiche, ma un interlocutore per far crescere il paese. La sinistra di governo di un paese a capitalismo radicato (si esita a scrivere “avanzato”), non deve avere rapporti privilegiati neppure con le associazioni che rappresentano lavoratori, pensionati, consumatori: e anche questo va messo in chiaro.
Nel campo degli imprenditori, la sinistra ha avuto, tradizionalmente, come interlocutore privilegiato i grandi gruppi. Anche in tempi recenti, si pensi solo a Dit e Superdit. Forse per il perdurare, sorprendentemente lungo, del mito dell’economia di scala, supporto ideologico che faceva della fabbrica fordista il corrispondente di mercato del kombinat sovietico. Perché grande fabbrica equivale a grande sindacato; perché si continua a ritenere che solo la grande industria produca innovazione, ricerca, cultura, occupazione, industrializzazione del mezzogiorno, ecc.
Miti da archiviare: si legga il saggio di Giuseppe Berta sul primo numero del Mulino di quest’anno, dove la fase che attraversa il nostro sistema industriale viene letta non come un declino, ma come una metamorfosi economica e produttiva che tiene conto dei nuovi soggetti imprenditoriali e getta luce su nuove prospettive di sviluppo. E’ esemplare, nota Berta, che proprio nel Nord Ovest della crisi della grande industria, l’occupazione industriale non sia caduta. Lì un aggregato di oltre 1500 società dotate di un fatturato compreso fra i 13 e i 260 milioni di euro e un numero di occupati tra 50 e 500 crescono in numero e in dipendenti e volume d’affari. «Puntare sulle medie imprese come nuova nervatura economica e industriale del paese [...] richiede uno schema inedito di interazione tra processo economico e istituzioni [...] capacità di rappresentanza a livello intermedio, realizzazione di reti infrastrutturali, nuove cornici di regolazione giuridica». La sinistra, abbandonati preconcetti e miti (compreso quello troppo enfatizzato dei distretti), ha interesse a incontrarsi con Confindustria pragmaticamente per cogliere questi spunti di novità.
Non solo la Fiat, come ricordava l’avvocato Agnelli, anche l’associazione degli industriali è «governativa per definizione». Più che illustrare programmi da governo, è utile esibire principi di governo. Tre esempi: Fisco, Flessibilità, Finanza.
Fisco. Il livello dei servizi è sceso oltre il tollerabile, nella sanità si sta aprendo un buco enorme, la scuola non ha soldi, non siamo in condizioni di ribellarci al patto di stabilità: lo sappiamo. Ma sappiamo anche che, come dimostra un recente studio di E.C. Prescott per la Commissione europea, il cuneo fiscale è del 46,2% (Germania 50,7%, Francia 48,3%, Uk e Usa circa 30%). Dobbiamo dichiarare che l’aumento delle imposte non è una opzione praticabile.
Flessibilità. Bisogna limitarsi, lo riconosce a malincuore chi scrive, ad attuare tutto il potenziale del libro bianco di Marco Biagi. Bisogna ora attuare un’altra flessibilità, quella del decentramento della contrattazione.
Finanza. Le banche devono assumere un ruolo attivo nel selezionare e finanziare le buone idee. Questo oggi non avviene, prevale il sistema di multiaffidamento che risparmia alle imprese il peso di essere controllate e fa risparmiare alle banche l’onere di controllare. Serve maggiore concorrenza tra le banche, compresa quella per i diritti di proprietà.
Si è molto parlato ultimamente della necessità di uno “scatto” per ridare slancio all’economia italiana: forse sarebbe meglio parlare di un cambio di passo, per dar l’idea di uno sforzo prolungato e costante. Di strappi, nel fisco, nella scuola, nella costituzione, il paese ne ha avuti fin troppi, non ne sopporterebbe più: dovremo acconciarci ad attuare, adattandole, norme anche molto diverse da quelle che avremmo voluto.
Scatto di reni o cambio di passo, è agli imprenditori che il discorso è in primo luogo rivolto: e gli imprenditori investono secondo la convenienza che percepiscono. Non servono gli incentivi, che alterano i calcoli di convenienza; serve la fiducia, che modifica la percezione della convenienza. A far da freno sono le tante corporazioni che oppongono gli interessi di minoranze organizzate a quelli di maggioranze di individui, nessuno dei quali ha singolarmente interesse a far sentire la sua voce. Non è una divisione netta, ciascuno di noi appartiene di volta in volta all’uno e all’altro campo. Gli industriali, come categoria, forse meno di altri. E questo può costituire una base di impegno comune.

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