Traditi dal (poco) libero mercato

maggio 6, 2012


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Recensione di Alberto Mingardi

Le linee di faglia sono quelle fratture che rivelano il movimento fra le due masse tettoniche che separano. Lo sforzo di questo libro di Raghuram Rajan è proprio quello di non fermarsi al racconto del terremoto, ma di ripercorrere i movimenti delle zolle. Uscito nel 2010, Fault Lines si è conquistato il plauso quasi unanime dei recensori. La crisi finanziaria aveva già movimentato l’industria editoriale: il lavoro di Rajan era il saggio più complesso, più generoso nelle sfumature, più ambizioso nel tentativo di superare spiegazioni unilaterali e semplicistiche. Chi lo leggesse con la mente aperta non ripeterà più la bestialità per cui la crisi non si dovrebbe ad altro che all’avidità degli attori di mercato. L’edizione italiana è corredata di una nuova introduzione, scritta ad hoc, e da una postfazione che risale alla ristampa del 2011.

Forse il maggiore elemento di originalità del libro di Rajan sta nel fatto che l’autore prova a mettere assieme due “grappoli” di spiegazioni altrimenti concorrenti, circa lo scoppio della crisi finanziaria: quello che focalizza l’attenzione sugli squilibri dei flussi finanziari, e quello che punta i fari sulle politiche monetarie americane. Per Rajan, si tratta di problemi strettamente correlati. Di fatto, egli considera gli Stati Uniti un esportatore netto, nel mondo della globalizzazione. Ma gli Usa esportano beni e servizi ad alto valore aggiunto, e importano beni a basso valore aggiunto. L’una cosa e l’altra aiutano i ricchi a diventare più ricchi e riducono reddito e opportunità per i più poveri. Il problema della crescente diseguaglianza americana viene “stratificato” da alcuni fattori (in primis, scuole allo sbando e un welfare che crea perversamente dipendenza) che ostacolano e non agevolano la mobilità sociale. Questo per Rajan è un cambiamento “strutturale” degli Usa, che per la prima volta hanno un ascensore sociale che viaggia ormai appena più veloce di quello europeo. La politica americana che ha incentivato “a ogni costo” la proprietà immobiliare, anche fra coloro che non potevano nei fatti ragionevolmente ripagare i mutui contratti, è stato un tentativo, disastroso, di ricucire lo strappo.
Non è fare un torto al pensiero di Rajan sostenere che le tre linee di faglia che egli identifica e poi raggruppa coincidono grossomodo con questi tre punti: 1. gli Stati Uniti risparmiano troppo poco; 2. altri Paesi (specialmente la Cina) risparmiano troppo; 3. il sistema educativo statunitense “serve” malissimo la parte più povera della popolazione. La prima questione è esaminata con grande attenzione alle variabili politiche. «Il problema centrale del capitalismo fondato sulla libera impresa in una democrazia moderna è sempre stato quello di riuscire a bilanciare il ruolo del governo e quello del mercato». L’essenza della crisi è il gigantesco errore nella valutazione dei rischi da parte del settore finanziario. Questo errore di valutazione è influenzato sia dalla politica monetaria, sia dall’operato dei regolatori, sia – soprattutto – dalla ragionevole aspettativa che un paracadute pubblico sia a disposizione, in caso le cose vadano male. La prima colpa dello Stato è «aver ostacolato l’azione disciplinante del mercato».
Forse il capitolo più prezioso del libro di Rajan è quello dedicato a come «Riformare la finanza». La rotta indicata è dissonante rispetto a quella oggi più popolare. Per Rajan, la crisi non è riconducibile alla troppa libertà di scelta e diminuire le opzioni a disposizione degli operatori economici sarebbe una forma di paternalismo: politicamente popolare ma alla prova dei fatti controproducente. È invece importante superare la logica dei salvataggi limitando quindi l’azzardo morale, e immaginare nuove norme che riducano al minimo il potere discrezionale dei regolatori. Per avere una migliore presa dei rischi, bisogna «abbandonare l’idea di un intervento governativo, per quanto è possibile».
Alle linea di faglia identificate da Rajan, Franco Debenedetti ne aggiunge altre nella sua prefazione, saggio-nel-saggio che mira ad aggiornare un libro del 2010 alla crisi dell’euro. Due sono le principali, sulle quali si producono frizioni destinate a sconvolgere il nostro continente: l’idea di Europa, intesa alternativamente come un «cartello di Stati» oppure come un’area comune di libero scambio, e il disegno e il finanziamento dei sistemi di welfare. Nelle primissime pagine della sua introduzione, Rajan racconta con lo sbigottimento del senno di poi il modo in cui venne ricevuto, al convegno di banchieri centrali a Jackson Hole, un suo paper nel quale individuava con due anni d’anticipo sul crac i fattori di instabilità legati ai mutui subprime. La reazione, racconta, fu quella di chi preferisce non vedere. È nell’atteggiamento delle classi dirigenti, che terremoto americano e terremoto europeo si assomigliano. Drammaticamente.

Terremoti finanziari.
Come le fratture nascoste minacciano l’economia globale

di Raghuram G. Rajan
Prefazione di Franco Debenedetti
Einaudi, 2012
pp. 200

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