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Tasse e rigore da Prodi a Tremonti

Pubblicato il 08/03/2009 @ 18:21 in Giornali,Il Sole 24 Ore

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Ricette anticrisi

In tutto il mondo, mentre i governanti si affannano sui modi con cui affrontare una crisi sempre più dilagante, altri guardano oltre, al “come eravamo” che l’ha causato, e al “come saremo” che avrà prodotto. Appartiene a questo filone di riflessioni il discorso tenuto mercoledì e giovedì scorso da Romano Prodi alla Taylor Institution di Oxford.

Prodi non é stato solo Presidente del Consiglio di due legislature, ha guidato l’IRI per 8 anni, da Ministro dell’Industria ha legato il suo nome a leggi sul modo di affrontare le crisi di imprese: la sua lunga esperienza nelle istituzioni ne fa quindi un osservatore particolarmente autorevole per approfondire questi temi.

Prodi individua la prima emergenza del Paese nell’incapacità di selezionare una valida classe dirigente, mentre un tempo “parrocchie e cellule erano una scuola di formazione severa, attenta, efficace”. Ma che vantaggio ne abbiamo avuto, se la classe dirigente che esse hanno selezionato é quella che ha prodotto “le follie degli anni Ottanta” che ci hanno lasciato i “settantamiliardi di euro da pagare ogni dodici mesi per interessi”? La classe dirigente uscita da quel processo di selezione ha continuato a governare il Paese ben oltre, senza interruzioni fino al 2001, salvo la parentesi di un anno, quello del primo Berlusconi: é stato così potente quel breve periodo per radicare anche da noi il pensiero unico del “mercato [che] si autoregolamenta”? E lì, é allora che si é formato “il giro degli economisti” che hanno escluso quanti non la pensano a quel modo?

“L’antitrust é alla base della democrazia” dice Prodi, con evidente riferimento all’anomalia italiana del conflitto di interessi in capo a Silvio Berlusconi. In effetti mercato e concorrenza sono il terreno in cui può radicarsi la riscossa che, al momento buono, ci porterà fuori dalla crisi. Oggi si sentono venti di protezionismo e di aiuti di Stato; Prodi per anni ha gestito il più grande kombinat del mondo occidentale, e ha il merito di averlo in gran parte smontato nel suo primo Governo. Nessuno meglio di lui può rendere testimonianza di quanto negative siano le politiche di campioni nazionali e quanto duraturi i loro effetti sulla struttura del Paese. Su quella economica, e su quella democratica, e questa proprio nel senso richiamato da Prodi: non c’entra per nulla la RAI?

“ Nel nostre banche non si parla inglese”, dice Tremonti per rassicurarci che esse, forse per il loro provincialismo, non hanno commesso i peccati di quelle degli altri Paesi, e quindi non hanno bisogno che lo Stato intervenga iniettando nel capitale soldi dei contribuenti. Una tesi sostanzialmente avvalorata da Prodi: “ Se andavate a Sassuolo a parlare di subprime, osserva, vi prendevano a frustate”. Che il Ministro dell’Economia abbia ragione, é lecito dubitarlo; ma Sassuolo, che c’entra? Le aziende chiedono finanziamenti per produrre, non mutui per consumare. E quanto ai subprime, semmai é probabile che proprio quelle di Sassuolo ci abbiano guadagnato: dopotutto, più case si fanno, più piastrelle si vendono.

“ Dio sa quanto voti ho bruciato sulle tasse” dice Prodi. Ma rivendica la sua coerenza per il passato, e ritiene che anche per il futuro le sole politiche praticabili per uscire dalla crisi siano gli avanzi primati (“fare le formichine per un decennio”) e la severità fiscale (“intelligenti politiche di riequilibrio”). Chi scrive é convinto che si esca dalla crisi solo ritrovando il sentiero della crescita della produttività, sostanzialmente piatta per oltre un decennio, cosa che fa di noi i fanalini di coda delle economie importanti; che per questo sia necessario ridurre la pressione fiscale; che chi rimanda la riduzione delle tasse al momento in cui avrà avuto successo nella politica antievasione, dimostra di essere il primo a non crederci. Nel governo Prodi, Tommaso Padoa Schioppa resta il simbolo di una politica di bilancio rigorosa, di stretta osservanza europea, di resistenza a chi, da destra o da sinistra, chiede di finanziare in deficit interventi keynesiani. Una lezione non andata perduta, e che oggi qualcuno prosegue con coerenza: si chiama Giulio Tremonti. Singolare che Prodi non voglia intestarsi una parte del merito di una vittoria postuma.

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