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Archivio per il Tag »Wall Street«

→  luglio 28, 2018


Al direttore.

Quali possono essere le ragioni della perdita di 120 miliardi di $, la più grande in un giorno nella storia di Wall Street, che ha subito giovedì il titolo Facebook?

Ci saranno di certo quelli che vi avranno la “giusta punizione” per il comportamento incauto (o doloso) con cui Facebook si appropria dei nostri dati e li vende a chi ne approfitta per farci  comprare cose di  cui non abbiamo bisogno e farci esprimere valutazioni politiche che mai avremmo liberamente prese. Ma si dovranno rassegnare: dopo il tonfo di  giovedì, la quotazione di Facebook ha recuperato tutta la perdita seguente allo “scandalo” di Cambridge Analytica, ed è più alta dell’85,% degli ultimi 12 mesi.

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→  maggio 3, 2009

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E’ ormai scontato che il mondo finanziario dopo la crisi avrà regole più restrittive e regolatori più intrusivi. Con meno regolatori, meno specializzati e dotati di più poteri si pensa che sarà più difficile per gli operatori fare arbitraggio regolatorio scegliendosi da chi farsi controllare, ed eventualmente “catturarlo”. Ma anche i regolatori hanno la loro agenda, dove la priorità sembra essere quella di non farsi “catturare” dai loro omologhi. Così in Europa incontrano difficoltà l’istituzione di una vigilanza unica e l’adozione di procedure unificate per gli interventi di risanamento.

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→  febbraio 21, 2009

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di Francesco Giavazzi

Ci siamo infilati in una situazione assurda. I prezzi delle attività finanziarie, e quindi la ricchezza delle famiglie, sono precipitati, quasi che le economie del mondo fossero state tutte rase al suolo da un bombardamento globale, come la Germania nel 1945. In pochi mesi nel mondo è stata bruciata ricchezza per un valore di circa 40 mila miliardi di dollari. In una settimana Wall Street ha perso il 13 per cento; in poco più di un anno il valore delle azioni americane si è dimezzato. Ma non c’è stato alcun bombardamento: le aziende sono ancora tutte lì, anche le case, anche le nostre risorse naturali e i lavoratori hanno la medesima esperienza oggi che avevano ieri. È la sfiducia che ha trascinato il mondo in questa situazione assurda ed è da lì che occorre partire. La prossima sarà una settimana cruciale.

Se la caduta di Wall Street non si arresta, il vortice rischia di accelerare: un’ulteriore caduta della ricchezza delle famiglie americane rallenterebbe ancor più i consumi e cancellerebbe gli effetti dello straordinario piano fiscale approvato la scorsa settimana dal Congresso. Che fare? Innanzitutto non dimenticare che (grazie alla globalizzazione) mai il mondo era cresciuto tanto rapidamente quanto nel decennio precedente la crisi. E non solo i Paesi ricchi: per la prima volta anche l’Africa sub-sahariana aveva cominciato a crescere. Certo, c’erano molte debolezze: il prezzo delle abitazioni in qualche Paese era salito troppo; negli Stati Uniti ad alcuni immigrati recenti erano stati concessi mutui che non potevano permettersi; le banche si erano illuse di aver diversificato il rischio e invece spesso non lo avevano fatto; la regolamentazione faceva acqua; il Congresso aveva consentito che Fannie Mae e Freddie Mac, istituzioni che avrebbero dovuto essere dei semplici fondi di garanzia, si trasformassero in speculatori aggressivi, trasferendo il rischio su contribuenti ignari.

Ma tutto questo non giustifica l’abisso in cui siamo caduti. I mutui negli Stati Uniti oggi non valgono praticamente più nulla e tuttavia il prezzo delle case è sceso del 20-30%, non si è azzerato. Nelle città americane le abitazioni non sono scomparse, sono ancora tutte lì: varranno meno di due anni fa, ma dubito che non valgano più nulla. Come riportare il mondo alla ragionevolezza, come arrestare questa spirale perversa? È possibile e potrebbe non costare nulla. Il vortice in cui sono entrate le Borse dipende dalle banche: in una settimana Citigroup ha perso metà del suo valore e un’azione oggi vale meno di due dollari (ne valeva 50 un anno e mezzo fa). Ma la banca non è fallita: lo sarebbe se davvero pensassimo che le case e le aziende americane non valgono più nulla, ma così non è. Per far uscire i mercati dal vortice della sfiducia il governo americano dovrebbe garantire tutte le attività finanziarie collegate al mercato immobiliare, cioè impegnarsi ad acquistarle a un prezzo prefissato, superiore all’attuale prezzo di mercato.

Una simile garanzia rialzerebbe immediatamente i prezzi e con essi la ricchezza delle famiglie. Risolverebbe anche i problemi delle banche. Come per Citigroup, se le banche americane siano, o meno, fallite, dipende dai prezzi delle attività che hanno in bilancio: se il prezzo di questi titoli è zero sono tutte fallite; se il prezzo è ragionevole non lo è nessuna (ieri il governatore Draghi ha proposto garanzie pubbliche non sullo stock di attività oggi detenute dalle banche, ma sui nuovi prestiti, un intervento che va nella medesima direzione e aiuterebbe a far ripartire il credito alle nostre aziende). A quale prezzo dovrebbero essere offerte queste garanzie? Certo non ai prezzi precedenti la crisi, ma nemmeno ai prezzi di oggi, che per molti titoli sono prossimi a zero. Una possibilità è usare i prezzi precedenti il fallimento di Lehman, cioè quando i mercati già scontavano la crisi, ma prima del crollo.

E quanto costerebbero le garanzie ai governi? È probabile che su alcuni titoli il governo perda, cioè che i prezzi di realizzo siano inferiori al valore della garanzia. Ma per la maggior parte — quando il mondo tornerà alla ragionevolezza — il prezzo salirà ben oltre il valore della garanzia: in questi casi si potrebbe tassare la plusvalenza. Non solo le garanzie potrebbero non costare nulla: per i contribuenti potrebbero rivelarsi un grande affare. In questo fine settimana a Washington si è fatta strada anche un’altra idea: essa pure potrebbe spegnere il vortice senza costare nulla. Sul Washington Post Ricardo Caballero, economista del Mit, ha proposto che il governo si impegni ad acquistare fra due anni il doppio delle azioni delle quattro maggiori banche al doppio del prezzo di oggi. Il primo effetto sarebbe quello di raddoppiare il capitale delle banche tramite fondi privati.

Nello stesso tempo il prezzo delle azioni salirebbe immediatamente vicino al livello della garanzia pubblica, sollevando tutto il mercato. Anche questo provvedimento non costerebbe nulla ai contribuenti, a meno che davvero pensiamo che l’economia americana sia come la Germania del ’45. Il vantaggio rispetto alle garanzie sull’attivo delle banche è che in questo caso basta un annuncio: potrebbe accadere già domani. Delle garanzie sull’attivo delle banche ci sarà comunque bisogno, ma per quelle c’è un po’ più di tempo (qualche giorno, non qualche mese). Ciò che invece accelera il vortice è parlare di nazionalizzazioni. Nazionalizzare una banca significa azzerare (o almeno diluire) il capitale degli azionisti: non c’è da sorprendersi se questo rischio fa crollare le Borse. Fortunatamente ieri l’amministrazione Obama ha preso le distanze da chi chiede nazionalizzazioni.

Nella scena più famosa di Mary Poppins, Mr Dawes, l’anziano impiegato di banca, spaventa il piccolo Michael tentando di sottrargli un penny. La gente non capisce, si impaurisce e travolge la banca. È per evitare questi panici che sono nate le garanzie pubbliche sui depositi bancari. La prossima settimana il mondo potrebbe avvitarsi in una depressione, ma se accadrà sarà solo responsabilità nostra, cioè dei nostri governanti. Il mondo non è radicalmente diverso oggi da quanto fosse un anno fa, tranne che si è persa la fiducia. È da questa osservazione che deve partire l’opera di ricostruzione.

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