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→  febbraio 11, 2006

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Il dubbio

di Piero Ostellino

A Otto e mezzo, giovedì scorso, il senatore Franco Debenedetti ha accusato Berlusconi di aver «spaccato» il Paese. Berlusconi ha ritorto l’accusa sulla sinistra. Fine della discussione. Ma che vuol dire «spaccare il Paese»? Vuol dire—a sinistra come a destra—governare, prendere delle decisioni. Per molti italiani è del tutto intollerabile che non vinca le elezioni la propria parte politica e, soprattutto, è del tutto illegittimo che il governo della parte avversa faccia poi una politica diversa da quella che farebbe la propria.
Da noi, la democrazia è una «categoria dello spirito», da professare; guai se diventa una «categoria della realtà», da vivere. Domenica scorsa, Furio Colombo ha citato, nel suo articolo di fondo sull’Unità, la lettera con la quale un lettore sosteneva testualmente che, qualora Berlusconi vincesse le elezioni, lui vivrebbe i cinque anni successivi «nel terrore» (!?). Casi analoghi si trovano a destra.Mi sarei aspettato che Colombo liquidasse l’affermazione come una colossale fesseria. Invece, l’ha presa sul serio. E se incominciassimo noi, giornalisti, a essere un po’ più seri?
Personalmente, sono dell’opinione che l’Italia democratica non sia mai stata tanto viva e fertile come quando
si è «spaccata»: dall’adesione alla Nato alla guerra in Iraq; dai tempi dei referendum sulla scala mobile, sul divorzio e l’aborto, a Tangentopoli e Mani pulite. Le «mezze riforme» del governo Berlusconi sono state — per molti fra i suoi stessi elettori — un «mezzo insuccesso»; per gli elettori del centrosinistra sono cattive. Ma a me pare che il governo di centrodestra — quale che sia il giudizio sulle riforme—abbia avuto, se non altro, un merito.
Quello di aver sollevato problemi ignorati da tutti i governi precedenti «per non spaccare il Paese». Senza l’«anomalia Berlusconi»—che sull’argomento ha davvero «spaccato» il Paese — si sarebbe mai parlato di una magistratura corporativa, autoreferenziale, professionalmente inadeguata, come ha fatto ancora di recente una fonte non sospetta, il presidente della Cassazione? Non corriamo il rischio che il centrosinistra, una volta vinte le elezioni, invece di migliorare la riforma del centrodestra, finisca con sotterrare definitivamente il problema?
Non sono fra quelli che paventano un successo del centrosinistra, ma una cosa la temo: che il Paese sprofondi
nuovamente nella palude del politicamente corretto, della concertazione, delle «questioni morali» (che mascherano le «questioni politiche»), della stabilità sociale (che giustifica la dispersione di ricchezza), dell’unanimismo inerte (che mortifica il riformismo e soffoca la modernizzazione e al riparo del quale ingrassano gli interessi corporativi). Vorrei vivere in un Paese in cui su una cosa fossimo tutti d’accordo: che la democrazia è alternanza di governi di destra e di sinistra le cui politiche differiscono nei mezzi, e sui mezzi «spaccano il Paese», ma non mettono in discussione il fine (le libertà). Vorrei una sinistra che avesse il coraggio di riformare (anche) la prima parte della Costituzione, che è frutto di un compromesso, ha a suo fondamento una serie di anacronistiche astrazioni collettive (dal lavoro all’interesse sociale, che condizionano i diritti individuali come la proprietà e la libertà di intrapresa). I nazisti non sono più alle porte, Prodi non è il capo del Cln e le Costituzioni liberali sono procedurali. I programmi di governo li decidono gli elettori.

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Economia e lavoro

La denuncia dei limiti intrinseci dei contratti collettivi di lavoro, che ne fanno strumenti inadatti a regolare i rapporti sindacali in una società moderna, esposta da Pietro Ichino sul Corriere della Sera, gli sono valsi critiche e consensi. Solo che le critiche gli son giunte da sinistra, nella settimanale riflessione politica di Eugenio Scalari, e i consensi dalla destra sociale, in un’intervista, sempre su Repubblica, del Ministro Gianni Alemanno.

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→  settembre 8, 2005

di Giuseppe Berta

La sinistra usa nei suoi discorsi “parole di nebbia”, con un linguaggio criptico rivolto agli iniziati della politica e un largo impiego di “schemisecondari” (quelli per cui un’affermazione non si spiega mai di per se stessa, ma va sempre situata in un contesto destinata a renderla accettabile o inaccettabile, a seconda delle situazioni), soppesando ogni termine sulla base della sua correttezza politica. Colpe gravi, che comportano un prezzo alto nell’efficacia della comunicazione politica, ma esasperate dal fatto che la sinistra nutre in sé il “complesso dei migliori”, ritenendo di dover parlare non già a tutto il Paese e alla massa degli elettori, quanto
alla sua parte migliore, quella piu’ rispettabile sotto il profilo etico.

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→  settembre 8, 2005


di Luca Ricolfi

Un malato d’eccezione: la sinistra italiana. Una malattia subdola: l’antipatia. Una cura possibile: prenderne coscienza e correre ai ripari. In questo libro si evidenzia come la sinistra sia antipatica non solo alla destra, ma anche ai non schierati, al vasto arcipelago degli elettori che non si sentono né di destra né di sinistra. Quattro sono le sue malattie: il linguaggio codificato (io sì che la so lunga), il politicamente corretto (tu non devi parlare come vuoi), gli schemi secondari (tu non puoi capire) e la supponenza morale (noi parliamo alla parte migliore del paese). Luca Ricolfi insegna Metodologia della ricerca psicosociale all’Università di Torino, dirige l’Osservatorio del Nord Ovest e una rivista di analisi elettorale.

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→  settembre 2, 2005


di Dino Messina

Senso di superiorità e linguaggio oscuro nell’autocritica di uno studioso schierato

Si racconta che quando Dio creò il mondo concesse a ogni popolo due virtù perché potessero prosperare: fece gli svizzeri ordinati e rispettosi delle leggi, gli inglesi perseveranti e studiosi, i francesi colti e raffinati, gli spagnoli allegri e accoglienti, ma quando arrivò agli italiani disse: «Gli italiani siano intelligenti, onesti e di Forza Italia». All’angelo che gli faceva notare di averci assegnato tre virtù invece di due il Signore rispose: «È vero, però ogni persona non potrà averne più di due». Fu così che l’italiano che è di Forza Italia e onesto non può essere intelligente. Colui che è intelligente e di Forza Italia non può essere onesto e quello che è intelligente e onesto non può essere di Forza Italia.

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→  agosto 12, 2005

il_riformista
La sinistra ha, forse più di altri, interesse a che la questione che si è aperta sul Governatore di Bankitalia si risolva con una revisione a fondo dei poteri della Banca, della sua accountability e degli obbiettivi a cui deve essere finalizzata la sua azione di controllo sul sistema delle banche italiane.
Sono ragioni che attengono alla sua storia e al suo patrimonio genetico.

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