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→  giugno 3, 2007

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Che cosa ci possiamo ragionevolmente attendere da questo Governo? La vicenda Visco – Speciale ha dimostrato il potere di condizionamento di un piccolo partito, è un altro precedente che verrà utile alla prossima occasione. Il contratto degli statali è stato chiuso 101 a zero, nulla essendo stato ottenuto sul piano del riconoscimento dei meriti, non parliamo della sanzione dei demeriti.

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→  febbraio 25, 2007

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Dire che il Governo Prodi è caduto per Rossi e Turigliatto, o per Andreotti e Pininfarina è attribuire al naso di Cleopatra il corso della storia del mondo, o a un “nail in a shoe” la perdita di un regno. Ed è un truismo dire che caduto per il risicato margine del Senato. Quel margine, al contrario, è la conseguenza aritmetica di un fatto politico: che non è possibile governare un grande Paese occidentale ad economia di mercato con una maggioranza di cui la sinistra antagonista sia parte organica.

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→  gennaio 4, 2007

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Ma noi, oggi, siamo più forti o più deboli? È stata questa la prima reazione alla notizia che Nicola Rossi ha deciso di uscire dai DS. Dove quel “noi” indica quanti sono assolutamente convinti che i mali di questo Paese sono antichi, e si possono curare solo con riforme liberali che incidano in profondità. Perché Nicola Rossi questa convinzione sa arricchirla di iniziative e argomentarla con rigore.

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→  aprile 25, 2006

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BERTINOTTI NON È IL SOLO

Bertinotti non è solo, nel pensare ciò che ha detto a proposito delle vendita coatta che la politica dovrebbe imporre a Mediaset. Lo dicono Michele Grillo e Ferdinando Targetti (Il Riformista del 22 aprile): «la proprietà delle reti [tv] va deconcentrata con atto pubblico»: e, a scanso di equivoci, levando due reti a Rai e due a Mediaset. E’ la conclusione, secca e precisa, a cui arrivano nella loro replica al mio articolo sul mercato televisivo del 6 aprile.

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→  marzo 11, 2006

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Paradossi. Ricolfi e i programmi elettorali

Mercoledì sera, a “Porta a porta”, Silvio Berlusconi, per giustificarsi di ciò che il suo governo non ha fatto, e spiegare perché è criticato per quello che ha fatto, descriveva un’Italia tutta occupata o infiltrata dalla sinistra:«6000 comuni e 13 regioni in mano a loro, i grandi giornali, la magistratura, la Rai, quel viluppo inestricabile di cooperative, municipalizzate, amministrazioni, partito». Deve aver quindi sobbalzato, la mattina dopo, leggendo Luca Ricolfi che, sulla Stampa, va oltre, e qualifica di sinistra perfino il suo governo.

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→  marzo 9, 2006

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Programmi

di Luca Ricolfi

Esattamente dieci anni fa, all’inizio del 1996, usciva un libro di Marco Revelli intitolato «Le due destre». Era il periodo in cui Prodi e il Pds inventavano l’Ulivo, e Berlusconi e Fini guidavano il Polo delle libertà senza la Lega. La tesi di Revelli era che nell’Italia della seconda Repubblica lo scontro politico non era fra una sinistra e una destra, bensì fra due differenti tipi di destra: quella populista e plebiscitaria di Fini e Berlusconi, e quella elitaria e tecnocratica di Prodi e D’Alema.
Si può sottilizzare sui dettagli, ma – a dieci anni di distanza – è difficile non riconoscere che Revelli aveva visto giusto: nel quinquennio 1996-2001 il centro-sinistra fece ben poche cose di sinistra, e molto di quel che fece – privatizzazioni, liberalizzazioni, flessibilizzazione del mercato del lavoro – è precisamente quel che tradizionalmente ci si aspetta da un governo di destra (detto per inciso, è questa la vera ragione per cui Bertinotti fece lo sgambettto a Prodi, e dal suo punto di vista non saprei come dargli torto).
Dunque è vero: nel 1996 l’elettore fu chiamato a scegliere fra due destre, e preferì quella liberista a quella populista. Ma oggi? Oggi, a mio parere, la scelta non è più fra due destre ma fra due sinistre. Nel frattempo, infatti, sono successe due cose molto importanti, che hanno completamente sconvolto l’offerta politica.
La prima è che la sinistra è riuscita a formare un’alleanza larghissima, che va da Mastella a Bertinotti, e a mettere a punto un programma che è convintamene sostenuto innanzitutto da Bertinotti stesso. Per quanto vago e pieno di formule ambigue, il programma dell’Unione è chiaramente più di sinistra dei programmi del 1996 e del 2001, ed è per questo che Bertinotti lo difende e lo difenderà a spada tratta, bloccando ogni tentativo di darne un’interpretazione eccessivamente modernizzatrice. Quando Bertinotti dice che i pericoli per la governabilità verranno da quello che lui chiama il centro ha perfettamente ragione: se l’Unione vincerà, i primi a trovarsi a disagio non saranno i «comunisti» del Prc e del Pdci, marginalizzati da un partito democratico che non c’è, bensì i liberisti annidati nella Rosa nel pugno, nella Margherita, nella destra Ds. Insomma la prima vittima dell’Unione non sarà l’ala sinistra dell’Unione stessa ma la cosiddetta «agenda Giavazzi», ossia il programma di scongelamento del sistema proposto qualche mese fa dall’economista milanese. Dunque Revelli ha ragione per il passato, ma la sinistra di oggi sembra aver ascoltato non pochi dei suoi consigli, e si presenta (finalmente?) davanti all’elettorato con un classico programma di sinistra, molto attento a restituire il maltolto al lavoro dipendente e a rinforzare lo stato sociale.
Ma c’è una seconda novità, meno visibile della prima. Da allora anche la destra è cambiata, e molte delle cose che ha fatto in questi anni sono cose «di sinistra». Ha aumentato le pensioni dei lavoratori più deboli. Ha fatto crescere il peso della spesa sociale sul Pil, che invece l’Ulivo aveva tenuto costante. Ha deprecarizzato il mercato del lavoro, che invece l’Ulivo aveva flessibilizzato. Ha fermato le privatizzazioni e le liberalizzazioni, che invece l’Ulivo aveva portato avanti.
Ecco perché dicevo, un po’ provocatoriamente, che oggi l’alternativa non è più fra due destre, come dieci anni fa, ma fra due sinistre. Da una parte l’Unione, ossia la vera sinistra, che promette di liberarci da Berlusconi e di ridistribuire reddito dai ceti medio-alti a quelli medio-bassi. Dall’altra la Casa delle libertà, ossia la falsa destra, che promette di conservarci Berlusconi e di finire il lavoro neo-statalista iniziato cinque anni fa.
Non è questo il luogo per esaminare le differenze fra le soluzioni degli uni e quelle degli altri, che sono indubbiamente notevoli sia sul piano economico sia sul piano sociale. Ma è difficile sfuggire all’impressione che entrambe capitalizzino sulle paure degli elettori, sul bisogno di protezione, sulla difesa di interessi perfettamente legittimi ma settoriali. Insomma, visti da vicino il programma dell’Unione e il programma della Casa delle libertà appaiono profondamente conservatori, terribilmente preoccupati di blandire le rispettive basi sociali, tragicamente incapaci di verità e di coraggio, irresponsabilmente omissivi sullo stato dei conti pubblici e sulle scelte (anche dolorose) che sarebbero necessarie per rilanciare lo sviluppo. Eppure se la torta non crescerà non ci sarà niente da distribuire, e ci ritroveremo come sempre a incolpare la mala sorte, l’opposizione, il terrorismo, l’avversa congiuntura internazionale.
Con questo non voglio suggerire che la scelta fra Casa delle libertà e Unione non sia importante. Quella scelta determinerà in che tipo di democrazia vivremo nei prossimi anni, e lungo quali sentieri verrà incanalato il declino dell’Italia, insomma la velocità e la direzione della nostra «argentinizzazione». Ma come elettore preferirei poter pensare di avere una terza chance.

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Non due sinistre, ma due statalismi: populista (Berlusconi), sociale (Prodi)
di Franco Debenedetti – Il Riformista, 11 marzo 2006