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→  gennaio 21, 2000


Tre anni fa i referendum non erano neppure all’orizzonte: non è quindi ai referendum che pensavo quando scrissi e presentai il progetto di legge sulla disciplina dei licenziamenti. Ed è indipendentemente dall’incombere dei referendum che vorrei, dopo tre anni, rileggerlo.
Che cosa dice in sintesi? In caso di licenziamento per motivo economico, prevede che il lavoratore possa scegliere fra il godimento immediato di un congruo indennizzo ( sei mesi di retribuzione più un mese per ogni anno di anzianità) oppure la permanenza sul posto di lavoro per un periodo corrispondente, oppure, sempre a sua scelta, per un periodo minore con monetizzazione della parte restante.

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→  gennaio 20, 2000


Se passassero i referendum “sociali”- sostengono i sindacati – da un lato non resterebbe più nulla del sistema del welfare su cui si sono costruite le grandi democrazie europee, dall’altro le organizzazioni dei lavoratori subirebbero un colpo mortale…

Per uno dei referendum, quello sui contratti a termine, certamente sì: le aziende potrebbero assumere tutti con contratti a un anno (ma perché allora non a un mese o a un giorno?) rinnovandoli alla scadenza. Una flessibilità eccessiva, perfino dannosa per le aziende; una totale assenza di tutele, ingiusta per i lavoratori. Se la Corte lo dichiarasse inammissibile farebbe un favore agli stessi referendari.

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→  giugno 1, 1995


Confronti & Incontri

L’esito dei referendum offre l’occasione Per alcune considerazioni: la prima è l’eccezionale maturità politica dell’elettorato, che si è saputo districare tra una serie di questioni tecnicamente complesse e politicamente controverse. Per convincersene si guardino le differenze di percentuale dei si e dei no tra quesiti sullo stesso argomento, quelli sul sindacato e quelli sul commercio e soprattutto il risultato che ha permesso di sconfiggere la proposta monoturnista in uno dei referendum lini importanti e meno dibattuti nel corso della campagna.

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→  maggio 30, 1995


Ed ora, i referendum, dopo le elezioni regionali e prima di quelle generali. I referendum (e mi riferisco a quelli sulla TV) hanno valenze politiche ancora maggiori: direttamente perché toccano il cuore degli avvenimenti che hanno tenuto la scena nell’ultimo anno e mezzo; indirettamente perché influen­zeranno l’assetto del sistema delle comunicazioni in Italia. L’informazione è potere e la politica è comunicazione, da ben prima che esistesse la TV. Berlusconi è diventato un leader politi­co perché ha le televisioni. Forse per proteggere il suo impero televisivo, certo perché solo il possesso di un grande strumento di comunicazione di massa rendeva possibile aggregare un consenso tale da entrare in competizio­ne con partiti organizzati da anni su tutto il territorio nazionale.

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→  marzo 9, 1995


Il fatto che Silvio Berlusconi «abbia un monopolio virtuale della televisione privata in Italia e, attraverso coloro che il suo governo, mentre egli ne aveva la guida, ha posto alla testa dei tre canali di Stato, abbia una considerevole influenza sul resto, sembrerebbe fuori luogo in Madagascar; in una moderna democrazia occidentale è bizarre». Chi legge abitualmente l’Economist ne avrà subito riconosciuto la precisione di sintesi e il gusto per l’understatement. Di questa ‘bizzaria’ abbiamo avuto un’altra prova ieri. Il giorno prima Prodi, sul Corriere, chiedeva a Berlusconi di chiarire la posizione per cui bisognerebbe andare subito a votare per evitare i referendum sulla Tv. Ieri, e qui sta la bizzarria, chi, sempre sul Corriere, risponde a Prodi? Non Berlusconi, che Prodi chiamava in causa, ma Fedele Confalonieri, il presidente della Fininvest.

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→  gennaio 1, 1995


L’ assetto di un settore, che da un lato riguarda la più diffusa espressione del pensiero e delle opinioni, dall’altro costituisce una delle industrie forse più importante per il nostro futuro, verrà deciso in base a un sommario giudizio referendario. Mentre negli altri paesi gli assetti del settore sono la risultante di un processo cli ottimizzazione protrattosi per anni, da noi su questi temi verrà messa un pietra per mezzo di quesiti binari, dettati da esigenze di natura esclusivamente politica.

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