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→  ottobre 12, 2013


di MAssimo Mucchetti

Caro direttore, una volta passi, due volte sono tante, tre volte sono troppe. Quello che si annuncia per il 2014 sarebbe il terzo passaggio di mano della partecipazione di controllo di Telecom Italia senza che i nuovi «padroni» lancino un’offerta pubblica d’acquisto rivolta ai soci di minoranza. I benefici del controllo sono riservati ai soci eccellenti della finanziaria Telco, che detiene il 22,4% dell’ex monopolio dei telefoni. Un simile esito può e deve essere criticato sia perché danneggia l’85% della compagine azionaria (contando le azioni di risparmio) sia perché Telefonica sarebbe il «padrone» meno adatto che si possa immaginare. E questo per almeno tre ragioni: a) Telefonica ha già molti debiti e una storia di feroce monopolio in Spagna, dunque non è credibile quando promette investimenti in Italia per rassicurare il nostro Governo e rabbonire Antitrust e Agcom; b) la multinazionale iberica sta già trattando lo spezzatino di Tim Brasil, la gallina dalle uova d’oro del gruppo italiano: a Vivo, la sua filiale locale, Telefonica intende riservare le attività di Tim Brasil in alcuni Stati della confederazione brasiliana, al messicano Carlos Slim le attività di altri Stati e tutto il resto al tandem Oi-Portugal Telecom, indebitato ma benedetto dalla presidente Dilma Roussef; c) l’accordo negoziato da Telefonica a suo proprio beneficio dovrà essere ratificato dal consiglio di Telecom dove gli unici non in conflitto di interessi sono ormai i consiglieri eletti dalle minoranze. Ma, per quanto lo si possa criticare, un tale esito sarebbe legale.Secondo il Testo unico della finanza, che risale al 1998, l’obbligo dell’Opa (offerta pubblica d’acquisto) scatta solo quando un investitore accumuli una partecipazione superiore al 30% della società bersaglio ovvero quando cambi la maggioranza assoluta di una scatola finanziaria o di un sindacato azionario che possiedano la partecipazione superiore al 30%. Se il cambio del controllo avviene sotto la soglia del 30%, il nuovo dominus può lasciare gli altri soci a bocca asciutta. Questo sacrificio delle minoranze azionarie venne a suo tempo giustificato con la natura pionieristica della normativa sull’Opa obbligatoria (la Germania, se ben ricordo, non l’aveva ancora) e con l’idea che il cambio del controllo facesse bene non solo ai venditori privilegiati ma anche all’azienda. Dopo 15 anni di esperienza, anche i sassi hanno capito che il cambio del controllo non è un vantaggio in sé: talvolta fa bene e talaltra fa male. In Telecom Italia, per dire, ha fatto malissimo.Si può rimediare prendendo spunto dal caso Telco-Telecom per modernizzare il mercato, pensando anche a Generali, Pirelli piuttosto che alle aziende pubbliche’ Il Senato ci sta provando. Ieri è stata depositata una mozione che impegna il governo ad aggiornare, attraverso la decretazione d’urgenza, la normativa sull’Opa obbligatoria aggiungendo alla soglia secca del 30% una seconda soglia determinata dalla partecipazione che dà il controllo di fatto, quando questa sia inferiore al 30%. La mozione, che ha raccolto consensi vastissimi e autorevoli, induce il Governo ad avere coraggio. Le possibili obiezioni, del resto, sono inconsistenti.A chi imputasse a questa riforma effetti retroattivi sul caso Telco-Telecom, il Governo potrà ricordare quanto ha appena detto in Senato il presidente della Consob, Giuseppe Vegas: il passaggio del controllo nel sistema Telco-Telecom è stato annunciato ma non ancora eseguito e dunque, fino all’attribuzione dei diritti di voto alle nuove azioni Telco in mano a Telefonica (che avverrà nel 2014), la normativa sull’Opa può essere modificata senza effetti retroattivi sul caso specifico.A chi lamentasse un effetto frenante sugli investimenti esteri, il Governo potrà osservare che un conto sono gli investimenti nelle attività reali, un altro conto sono quelli finanziari. I primi sono sempre i benvenuti, ma in questo caso non un euro va all’azienda Telecom Italia. I secondi vanno visti caso per caso. Questa volta, con 850 milioni, gli spagnoli vorrebbero prendersi una società che vale almeno 11 miliardi, danneggiando gli investitori esteri che hanno messo i loro denari direttamente in Telecom.A chi prospettasse la difficoltà di individuare le situazioni di controllo di fatto, il Governo potrà rispondere che sarà facile per la Consob accertare ogni anno quali siano gli azionisti che, da soli o in concerto tra loro, abbiano nominato per almeno due assemblee di seguito la maggioranza assoluta del consiglio di amministrazione, con ciò esercitando un’influenza dominante nella società.A chi esortasse a non avere fretta perché la materia è complessa, il Governo potrà far presente che, essendo la soluzione molto semplice, ogni rinvio favorisce Telefonica e i suoi partner, Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo. I quali potrebbero anche anticipare le decisioni in Brasile e finalizzare il contratto.A chi infine bollasse come antieuropea la doppia soglia, il Governo ricorderà che europeisti come Mario Draghi e Tommaso Padoa-Schioppa nutrivano serie riserve sulla soglia unica fin dall’origine e che la direttiva Ue 2004/25/CE lascia agli Stati la definizione della soglia medesima, unica o doppia che sia. E se a lamentarsi fosse Telefonica, le si potrebbe sempre ricordare che l’iniziativa del Senato copia la normativa spagnola.Dopo di che, se Telefonica mettesse sul tavolo i denari dell’Opa, ci toglieremo il cappello e verificheremo quanto il debito impatti sugli investimenti nella rete. Ogni cosa a suo tempo.

→  aprile 28, 2011


di A. PI.

Il mercato ha dato un titolo al caso Parmalat: il nuovo Papocchio. Senza voler togliere nulla all’esordio da regista di Renzo Arbore negli anni 8o, gli sviluppi politico-finanziari della scalata al gruppo di Collecchio sarebbero perfetti per la trama di un film tragicomico. Si voleva impedire ai francesi di conquistare la Parmalat, ma invece di bloccarli al loro 29% li si costringe a prendere il 100%. Si voleva creare una cordata industriale italiana alternativa a Lactalis, e invece nella migliore delle ipotesi si costringerà la Cdp a convivere con il gruppo francese in una holding franco-italiana senza logica industriale e soprattutto nazionale. Non solo: se passerà, come si dice, l`idea che i francesi dovrebbero lanciare ‘Opa non a 2,6 euro, ma a 2,8 euro perchè questo è il prezzo più alto pagato perglí acquisti di titoli, allora oltre al danno ci sarà anche la beffa.

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→  aprile 28, 2011


di Paolo Bricco

Ai francesi i brevetti e i segreti industriali del gruppo di Parma

Mani francesi sulle tecnologie italiane.
In caso di successo dell’Opa, Lactalis controllerà un’azienda ristrutturata dalle fondamenta da Enrico Bondi, con un ciclo di investimenti ultimato e un mix di segreti industriali e di brevetti depositati che la rendono un boccone prelibato. Molto prelibato. Più di quanto non sembri a un occhio superficiale, che si fermi alla natura di commodity del latte e che associ una scarsa forza innovativa all’agroalimentare.

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→  aprile 27, 2011


E adesso, come si giustificheranno quelli che si sono tanto accaniti contro Lactalis? Che quella dei Besnier, degli oscuri Besnier, fosse, dal punto di vista industriale, la migliore soluzione sul tappeto, era chiaro: il gruppo è presente in Italia da anni, con aziende che fatturano oltre un terzo più di Parmalat in Italia, occupano il 50% di addetti in più, comperano latte italiano in misura superiore (60% contro il 50%). Il problema di Parmalat è di avere un margine troppo basso, perché la percentuale di latte ad alto valore aggiunto sul totale è poco più del 10%, mentre Lactalis l’ha portata al 40% in Francia e addirittura all’80% in Spagna.

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→  luglio 29, 2007

larepubblica_logo ‘Ci sono dei politici che hanno appoggiato questi avventurieri della finanza?’, questa ‘la vera questione’ secondo Francesco Saverio Borrelli.

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→  febbraio 25, 2006

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Le idee e il dibattito

Enel vorrebbe acquisire la francese Suez: per bloccarla si muovono Jaques Chirac e Dominique de Villepin. Enel allora ci riprova con la spagnola Endesa: e Zapatero mette il veto. Dopo l’OPA lanciata dalla tedesca E.On su Endesa, si è aperta una nuova ondata di maxiconsolidamenti nel settore energetico: ma a Madrid e Parigi si studiano soluzioni di giganti nazionali ancora maggiori, e per l’Enel restare fuori significa restare solo a casa nostra.

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