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→  settembre 11, 2006

lavoce
di Carlo Scarpa

Non so se il vituperato documento di Rovati (consigliere di Romano Prodi) sia uno scandalo, ma senza dubbio è un pasticcio che testimonia di una grande confusione nel Governo su chi debba dettare gli indirizzi di politica industriale, e su quali debbano essere tali indirizzi.
Al momento della costituzione del Governo avevamo già rilevato come fosse in atto un tentativo di unificare le strategie industriali del Governo (direttamente sotto il controllo della Presidenza del Consiglio) ma come tale tentativo fosse ricco di contraddizioni. Queste contraddizioni oggi puntualmente esplodono, arricchite dalla evidente eterogeneità della maggioranza e della stessa compagine governativa.
Riassumiamo alcuni dei passi compiuti in questi pochi mesi del nuovo Governo.

Mercati “frammentati”: Il ministro Bersani riesce a far passare un decreto sulla liberalizzazione di libere professioni, sulla vendita di farmaci, ecc. (sui taxi, lasciamo perdere…).

Mercato energetico: Sono stati annunciati alcuni provvedimenti per aumentare la concorrenza per energia elettrica e gas sono ma tali interventi non ancora stati esplicitati. Per contro, si è cercato di aiutare Enel nel suo tentativo di entrare oltr’Alpe, ed Eni sul mercato russo (e fin qui niente di male), ma sempre (a quanto si è letto) offrendo alle controparti dei pezzi di mercato italiano in cambio di aperture a questi “campioni nazionali”.
Dopo mesi (forse anni) di trattative fallite, pare andare in porto la fusione tra Aem Milano e Asm Brescia con un accordo tra i sindaci di Milano (destra) e Brescia (sinistra). Il fatto che questo potrebbe limitare sostanzialmente la concorrenza nel mercato elettrico – già dominato da Enel – non sembra preoccupare nessuno.

Trasporti: Si cerca di bloccare – con argomentazioni formali del tutto speciose e argomentazioni sostanziali di difesa dell’italianità dell’impresa – l’operazione di fusione tra Autostrade e la spagnola Abertis .
Si rinnovano i vertici di pezzi importanti della presenza statale nel settore, o confermando chi ha guidato i disastri degli ultimi anni, o promuovendo ex sindacalisti e altri.
Spicca tra questi un ex dirigente IRI che negli ultimi anni ha condotto la Stretto di Messina S.p.A., massima fautrice del discusso progetto del ponte sullo stretto, che è stato posto ai vertici di Anas. Due dettagli: il primo, è che il Ponte sullo Stretto era l’unica opera esplicitamente menzionata nel Programma dell’Unione per dire che non andava fatta. Il secondo, che il neo presidente di Anas non si è ancora dimesso dalla Stretto di Messina, che dovrebbe essere quanto meno un promoter di un’opera data in concessione dalla stessa Anas. Meno male che la maggioranza vuole riprendere in mano il tema del conflitto di interessi…
Alitalia resta nei guai, ma per fortuna sulle sue alleanze interviene anche il vice-presidente del Consiglio, come se il management (appena rinnovato) dovesse agire sotto tutela e senza la fiducia del Governo.
Ma nel programma dell’Ulivo non c’era scritto che si voleva un’Autorità indipendente per il settore dei trasporti? Pare in realtà che la presenza pubblica sia in aumento, non in diminuzione…

Telecomunicazioni. Un consigliere del Presidente del Consiglio immagina un piano di pesante ristrutturazione di un’impresa privata (Telecom), lo comunica su carta intestata della Presidenza ai vertici di questa impresa, ma il Presidente del Consiglio (a quanto pare) non ne sa nulla. All’interno di questo piano si prefigura una ri-nazionalizzazione della rete telefonica tramite la Cassa Depositi e Prestiti, che già da diversi anni (soprattutto sotto Tremonti e Siniscalco) è tornata al centro delle “nuove partecipazioni statali”.
Da più parti della maggioranza si reclama l’utilizzo dei poteri speciali associati alla golden share, che dovrebbe essere riservata a casi in cui siano lesi gli “interessi vitali” del paese.
Cosa emerge da questo mosaico, a parte alcuni curiosi elementi di dilettantismo? Forse effettivamente alcune regolarità, alcune linee guida si possono dedurre.

  1. Il Governo crede (ma certo senza estremismi) nella deregulation dei settori che potenzialmente sono concorrenziali (professioni, commercio), ma le lobby (taxi) restano molto ascoltate;
  2. Il Governo cerca di dire la sua su ogni grande operazione e su ogni grande impresa, che sia all’interno del portafoglio del Tesoro (Alitalia) o meno (Telecom);
  3. Le grandi imprese (autostrade, Enel, Eni, …) vengono in primo luogo difese, soprattutto nella loro italianità;
  4. La presenza politica nell’industria non sembra destinata a diminuire, e talvolta appare in aumento;
  5. La smania di protagonismo dei diversi membri del Governo e della maggioranza prevale sul tentativo di avere una “cabina di regia” della politica industriale.

Alcune di queste cose sono del tutto legittime, per carità, e se è vero che l’Italia non ha mai avuto governi liberisti, anche questo non fa eccezione. In questo e in altri sensi, non si può certo dire che i segnali di discontinuità siano molto forti. Se al vertice di Bankitalia il cambiamento è stato marcato (e benvenuto!), al vertice del paese forse servirebbe lo stesso rispetto dei ruoli tra autorità pubblica e imprese che oggi contraddistingue il comportamento del Governatore Draghi.
Speriamo che eventuali discontinuità non provengano dalla nazionalizzazione delle reti: non si sente proprio il bisogno di aumentare il numero di reti in mano pubblica. Si pensi alla qualità della rete ferroviaria, alla rete idrica che perde circa il 35% dell’acqua immessa, alle infrastrutture del sistema energetico, che 3 anni fa ci ha dato il black-out e che l’anno scorso ci ha costretto ad abbassare la temperatura delle case. Vogliamo altre reti pubbliche? Per carità…
E nessuno sente veramente il bisogno che sia Palazzo Chigi a dettare i comportamenti a Telecom Italia. Le preoccupazioni sono legittime, il resto (i toni, il documento Rovati, …) lascia perplessi. Quello che veramente servirebbe, sarebbe più chiarezza per i piccoli azionisti (che ogni anno si trovano di fronte a piani industriali sempre meno credibili) e maggiore capacità degli stessi azionisti di minoranza (inclusi i fondi di investimento) di intervenire a difesa del valore dell’impresa.
Che lo Stato si occupi delle regole e di fare funzionare i mercati (e le autorità di regolazione ove strettamente necessario). Al resto dovrà pensare la responsabilità degli azionisti. Forse la riunione del CdA di Telecom che ha condotto alle dimissioni di Tronchetti Provera è un buon segno; lo vedremo nei prossimi giorni.

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“Nella riforma del patto sono usciti i ragionieri ed é entrata la politica”: nel paragonare la politica alla finanza creativa, il commento di Geronimo sul Giornale é esatto aldilà delle intenzioni dell’autore. Perché ad entrare non sarà la politica di finanziare riforme che riducano il deficit del sistema pensionistico pubblico, né di ridurre le tasse in modo tale da rilanciare l’economia, né di investire per avvicinare gli obbiettivi di Lisbona. Entrerà invece la “politica” di giustificare aumenti eccessivi agli statali o il salvataggio di Alitalia, insomma l’incapacità di controllare la spesa pubblica.

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“Dobbiamo navigare tra Scilla e Cariddi, creare competizione sul mercato del gas, ma senza danneggiare l’ENI; l’Italia aprirà il suo mercato interno se ci verranno garantite condizioni di reciprocità dai nostri partner europei.”
Questo il concetto espresso dal Ministro dell’Industria in Senato. E mentre ascoltavo le sue parole pensavo – spero che Enrico Letta non mi giudichi irrispettoso – ai taxi di Roma. Perché è chiaro che il cittadino si avvantaggerebbe se il comune liberalizzasse concessioni orari e tariffe: ma i taxi a Roma sono 6000, controllano probabilmente 20.000 voti, quale politico può permettersi di ignorarli?

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Le reazioni al report della Commissione Ue a un anno dal giudizio finale sulla moneta unica sono state di due segni tanto diversi da indicare il fossato che l’attuale Governo ha di fronte a sé. La reazione ufficiale di maggioranza, Governo e Quirinale è stata di insofferenza e di rigetto. Come era avvenuto dopo lo schiaffo spagnolo, dopo le analisi di Confindu­stria, dopo i numerosi segnali che arrivavano dall’Euro­pa. Le reazioni di tutti gli osservatori indipendenti inve­ce — perfino di testate molto “comprensive” nei riguardi della maggioranza — sono state di segno opposto: al centro delle critiche è stata posta l’improprietà di una reazione che, nell’infelice riferimento a contabili e ragio­nieri, finisce per suonare ingenerosa innanzitutto verso chi, al Tesoro, ogni giorno è impegnato in un compito — far quadrare i numeri — che proprio chi ha reagito peggio a Bruxelles gli rende più difficile.

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La brusca flessione registrata’ ieri dai titoli Sip e Stet è un segnale di allarme che sarebbe superficiale sottovalutare. Esso è tanto più eloquente se rapportato al reale contenuto della notizia: l’ipotesi di un accordo futuro e parziale (perché limitato alla sola trasmissione dati) tra France Telecom e la tedesca Telekom, con le apertura all’americana At&t. Questa reazione certo si inserisce nel generale nervosismo dei mercati. Ma a questo tono di fondo si è sovrapposta ieri la preoccupazione che alla fine ci si trovi a privatizzare un bene (il monopolio delle telecomunicazioni) che ha perduto il suo valore.

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