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→  maggio 29, 2014


Asti, 18 marzo 2014
con Alberto Cavaglion e Paolo De Benedetti

Roma, 15 maggio 2014
con Enrico Mentana, Giovanni Orsina e Nathania Zevi

Milano, 29 maggio 2014
con Ferruccio de Bortoli e Emilio Ottolenghi


Presentazione a Milano,
Libreria claudiana
29 Maggio 2014


L’occasione da cui sarebbe nato questo libro, è legata a un nome. Attaccato o staccato? C’ è un fatto che ancora oggi non riesco a spiegarmi. Il censimento napoleonico del 1808 mette fine alle incertezze consentite dalla traduzione di Le Bet Baruch: i Debenedetti sono “ufficialmente” attaccati. E così restano in tutti i documenti. Finché, credo negli anni ’30, alcuni, ma non tutti, prendono a scriversi staccati. Perché? Debolezze nobiliari? Fa ridere. Nicomedismo per sfuggire alle leggi razziali? Fa piangere. Io mi son costruito l’ipotesi che derivi dall’afflusso di funzionari del Mezzogiorno, dove il De Benedetti in tutte le sue varianti è diffuso, e ha tutta l’aria di essere parente degli Espositi, Diotallevi. Oggi, se non si dice niente, Debenedetti sul computer lo scrivono staccato.

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→  maggio 20, 2014


Thomas Piketty
Le Capital au XXIème siècle
SEUIL, 2013


Alcune delle formule che hanno cambiato il nostro modo di capire il mondo sono semplici e compatte: quella di Einstein dell’equivalenza di massa ed energia, quella che definisce l’entropia, che Planck scrisse sulla tomba di Blotzmann. La formula della “diseguaglianza fondamentale”, che “in un certo senso riassume la logica complessiva” del lavoro di Thomas Piketty, quanto a compattezza è imbattibile imbattibile: “r>g”. Ma che sia la legge bronzea che spiega il funzionamento del “capitale del XXI secolo” è tutto da vedere.

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→  maggio 12, 2014


Stephen D. King
Quando i soldi finiscono
La fine dell’abbondanza in Occidente
Fazi editore, 2014


Quando i soldi finiscono è solo un gioco di parole, scrive Stephen D. King a proposito del titolo che ha dato a questo suo libro: ovvio, finché c’è una banca centrale disposta a stamparli i soldi non finiscono mai. Ma può finire la fiducia, e senza di essa la società finisce per disintegrarsi.

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→  maggio 3, 2014


di Francesco Forte

Il libro di Thomas Piketty, “Capital in the Twenty-First Century”, soprattutto dopo la sua pubblicazione in lingua inglese, ha suscitato un dibattito interessante. La sua impostazione metodologica, consistente nel mettere insieme dati plurisecolari sulla diseguaglianza dei redditi, mi insospettisce. Ciò ancorché egli sembra essere stato aiutato in tale compito da un economista competente come Anthony Atkinson. Infatti quando per il mio libro “L’economia italiana dal Risorgimento ad oggi” del 2010 ho cercato di ricostruire serie omogenee dei dati macro economici della nostra economia nei 150 anni, mi sono reso conto di quante lacune ci siano nelle fonti statistiche di un singolo paese. E non capisco come si riesca a omogeneizzarli fra una ventina di paesi, come fa Piketty. In attesa di studiare tali banche dati, esprimo molti dubbi sulla tesi di fondo per cui la elevata concentrazione della ricchezza dipenderebbe dal fatto che “r”, il tasso di remunerazione del capitale, ha la tendenza a eccedere “g”, il tasso di crescita del pil, per colpa del modo “patrimoniale” in cui è organizzato il sistema economico capitalistico.

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→  maggio 1, 2014


di Michele Magno

Al direttore.

Seguo con vivo interesse il dibattito ospitato dal Foglio sul libro di Thomas Piketty. Sebbene non l’abbia ancora letto e non sia un economista, mi consenta lo stesso un paio di considerazioni.

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→  maggio 1, 2014


di Maurizio Stefanini

In realtà, più che socialista, Thomas Piketty è il nuovo Henry George (m. 1897), segue quella linea che va da Platone a Ezra Pound e forse a Giulio Tremonti, passando per Maometto. Il titolo, “Le capital au XXIe siècle” nell’originale francese, passato quasi inosservato se non fosse stato per la traduzione in inglese, ammicca chiaramente a Marx. Anche se Piketty, figlio di genitori trotzkisti e sessantottini, dice espressamente di appartenere a una generazione che avendo compiuto 18 anni mentre cadeva il Muro di Berlino non ha rimpianti per il comunismo o l’Unione sovietica.

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