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Archivio per il Tag »legge Gentiloni«

→  febbraio 20, 2008

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Lettera al Direttore del Foglio

Caro Direttore,

non stupisce che Di Pietro, appena aggregato al PD con la sua bandiera, abbia voluto saggiare i limiti della propria libertà di manovra, facendolo sul terreno sicuro del populismo televisivo e con lo schermo inossidabile della legalità europea.

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→  luglio 29, 2007


Forum Corriere Comunicazioni-Thinktel. Debenedetti, Curzi, Guerci a confronto sul futuro televisivo

Va a rilento alla Camera la discussione sul disegno di legge Gentiloni. Tanto che, per evitare lo stallo, il ministro potrebbe spostare con un decreto la data dello switch-off. Ma rischia di essere la tecnologia la vera bomba che farà scoppiare gli equilibri del mercato tv in Italia. Debenedetti e Guerci: troppo dirigismo statalista nella legge del ministro. Curzi: il servizio pubbli­co va tutelato. Emilio Pucci direttore di e-Media Institute: “I contenuti premium non bastano più a trainare lo switch-over”. Antonio Sassano direttore della Fondazione Bordoni: “Dal Dtt una grande occasione: meno spettro, più canali”.

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→  novembre 14, 2006

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La nuova legge considera la pubblicità l’unica fonte d’introito. E così taglia il fatturato del gruppo di Cologno

È raro che chi scrive per criticarti, ti offra papale papale le parole per darti ragione. Ma che gli articoli siano due, di due diversi autori, su due punti diversi, è eccezionale.

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→  novembre 9, 2006

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Due i principali provvedimenti disposti dal disegno di legge Gentiloni sul riassetto del sistema televisivo.

  • Una rete Mediaset e una Rai passano al digitale; in caso di inosservanza, la sola Mediaset deve ridurre l’affollamento pubblicitario dal 18 al 16 per cento
  • Mediaset deve ridurre la propria quota dei ricavi pubblicitari di tutto il settore televisivo – analogico, digitale, via satellite o cavo – sotto il 45 per cento.
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    →  novembre 2, 2006

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    di Antonio Sassano

    In due articoli apparsi sul Sole 240re (il 21 ed il 31 ottobre), Franco Debenedetti ha definito il ddl Gentiloni: “Una legge che guarda al passato e ritarda il futuro”, “vessatoria per Mediaste”. La mia opinione è che, invece, si tratti di una legge che inizia a smontare il passato per costruire il futuro. Cerco di spiegare il perché.
    Le critiche di Debenedetti sono suddivise tra le due questioni centrali: quella del mercato pubblicitario e quella delle frequenze. Voglio concentrarmi sulla seconda ma parto dalla prima. Debenedetti ci dice che il ddl Gentiloni trascura lutti gli “altri proventi afferenti ad un’impresa”, si concentra sulla sola pubblicità televisiva, dimentica “i modelli economici dei mercati a due versanti”. Nella sua sofisticata analisi economica sfugge però a Debenedetti che l’Antitrust ha concluso (Indagine conoscitiva 23/2004 ) che è proprio il mercato della “raccolta pubblicitaria su mezzo televisivo in chiaro” ad essere a due versanti mentre quello a pagamento è ad un solo versante. Si tratta, insomma, di mercati distinti. E dunque, il ddl è metodologicamente autorizzato a concentrarsi sul primo. La questione diviene: è giusto limitare un singolo soggetto al 45% del totale delle risorse disponibili su un singolo mercato, anche tenendo conto della sua rilevanza ai fini del pluralismo? Il ddl risponde positivamente: non mi sembra si tratti di una risposta particolarmente vessatoria.
    Per quanto riguarda le frequenze Debenedetti afferma che: “La risorsa scarsa non sono (mai state) le frequenze bensì i contenuti”. È un’affermazione sorprendente. Tutti gli esperti concordano sul fatto che quello delle frequenze e della loro occupazione inefficiente sia “il” problema. Secondo Debenedetti il ddl Gentiloni ha l’obiettivo di ritardare l’avvento delle nuove tecnologie e di limitarsi a regolare il morente mercato analogico.
    Questo tentativo è sintetizzato in tre mosse: lo spostamento della data dello switch off al 2012, il “trasferimento forzoso” dei palinsesti e l’introduzione di vincoli che “rendono impossibile a Mediaset e Telecom trasmettere i programmi che avevano promosso il digitale”, a vantaggio di Sky. L’ultima affermazione è una grave accusa di distorsione del mercato a favore dell’operatore satellitare. Grave ma infondata. Il ddl non prevede alcuna limitazione alla diffusione dei programmi pay per view. Non la prevede durante la fase di transizione, nella quale gli operatori di rete possono rimanere verticalmente integrati e dedicare ai propri conte-nuti il 60% della capacità trasmissiva dei propri multiplex. E neanche a regime (nel 2012): il limite del 20% garantirà una capacità sufficiente a trasmettere contemporaneamente fino a 14 programmi di ottima qualità. Nel 2012 ci saranno almeno cinque fornitori di contenuti in grado di trasmettere in diretta ed in alta definizione l’intero campionato di serie A e di competere tra loro e con l’operatore satellitare.
    Quanto al “trasferimento forzoso” di due reti analogiche e allo spostamento dello switch off
    Al 2012, le due obiezioni si contraddicono. Se scegliere il 2012 significa rimandare sine die, la data dello switch off può essere anticipata al 2010, diciamo. Ma se si vuole spegnere tutto nel 2010 non si può definire “forzoso” il trasferimento di due palinsesti nel 2009. Sarebbe piuttosto, un avvio tardivo del processo di transizione. Se conveniamo sull’effetto di forzamento del trasferimento dei due palinsesti in digitale, dobbiamo ammettere che la scelta del 2012 è una grande scommessa sulla capacità industriale e organizzativa del nostro Paese. Le “incertezze degli operatori e degli utenti” sono state prodotte dal continuo spostamento in avanti di scadenze che non si riusciva a rispettare. Resta la questione del “trasferimento forzoso”. La ratio dell’intervento è duplice: avviare la transizione e impedire che essa divenga una mera trasformazione 1-a-1 delle reti analogiche in digitali. Nel 2004 l’Antitrust raccomandava “misure di carattere strutturale che garantiscano una rapida ed ordinata transizione allo scenario previsto dal Piano digitale e che le precedenti posizioni detenute nelle reti analogiche (…) non si trasferiscano al futuro mercato digitale terrestre”.
    La raccomandazione è ancora valida? La risposta è nei fatti. Rai e Mediaset non hanno posto mano alle reti analogiche,con la loro struttura ridondante e l’uso inefficiente di una risorsa preziosa per il Paese come lo spettro frequenziale. Le reti digitali sono state realizzate utilizzando le poche frequenze di qualità che le tv locali mettevano a disposizione. Ora non ne esistono più. Quando l’Agcom ha chiesto un piano di transizione al digitale, la risposta di Rai e Mediaset è stata: abbiamo tre reti analogiche, le trasformeremo 1-a-1 in tre reti digitali.
    Nessun accenno al fatto che le reti analogiche di Rai e Mediaset utilizzano, ognuna, circa 1.000 impianti-frequenza ad ampio bacino di servizio contro i 260 previsti dal Piano dell’Agcom. Nè al fatto che migliaia delle nostre frequenze analogiche non sono coordinate a livello internazionale (Piano di Ginevra).
    I principali operatori, senza stimoli esterni, ignorano il coordinamento internazionale, tendono a non trasformare le reti analogiche e a non muoversi verso lo scenario digitale, il ddl Gentiloni tenta di smontare questa situazione di equilibrio stabile. Fissa l’avvio della transizione a 15 mesi dalla sua approvazione, affidando agli operatori il progetto del trasferimento, che dovrebbe essere approvato dall’Agcom e prevedere il riutilizzo di parte delle frequenze intrappolate nelle reti analogiche. Ovviamente in accordo al Piano digitale europeo di Ginevra e al Piano dell’Agcom.
    Le frequenze non utilizzate in questo progetto, grazie alla maggior efficienza delle reti digitali, tornerebbero allo Stato e, quindi, al mercato. Le frequenze e non gli impianti, che resterebbero agli operatori. E dunque, Rai e Mediaset sarebbero affiancate da eventuali nuovi entranti nel finanziare la realizzazione delle nuove reti. Più attori e più risorse per il mercato. Nè il ddl Gentiloni impedisce agli operatori di iniziare, da subito, la transizione al digitale. Potrebbe trattarsi anche dell’azione coordinata con gli altri operatori che Carlo Rognoni ha felicemente definito la “mossa del cavallo” e che per Claudio Cappon (IL Sole 24 Ore del 31 ottobre) è “coerente con gli obiettivi di apertura del mercato del ddl Gentiloni”. Il ddl Gentiloni avrebbe così ottenuto l’obiettivo strategico di accelerare la transizione con la semplice indicazione di una credibile strategia d’azione.
    Se però, com’è possibile, nel 2009, a tre anni dallo switch off, gli operatori televisivi fossero ancora immobili nel loro equilibrio stabile, Franco Debenedetti considererebbe davvero un forzamento inaccettabile quello di spegnere finalmente due reti analogiche di trasferire i rispettivi palinsesti sui multiplex digitali e di aprire il mercato delle frequenze? Sinceramente, non lo credo.

    ARTICOLI CORRELATI
    Una legge vessatoria per la sola Mediaset
    di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 31 ottobre 2003

    →  ottobre 31, 2006

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    Gli obbiettivi sono giusti, ma le norme che dovrebbero raggiungerli producono risultati opposti: che cosa è all’origine di questa contraddizioni? é possibile evitarle?
    Il ddl Gentiloni di riforma del sistema televisivo dispone che la “migrazione” alla tecnologica digitale sia per una rete Rai e una Mediaset, anticipata di un anno, ma per la totalità del sistema sia posticipato di 5; dispone inoltre che Mediaset deve ridurre i propri ricavi al disotto del 45% del totale dei ricavi pubblicitari televisivi. Ma ciò produrrà risultati in contraddizione con gli obbiettivi: si vuole più pluralismo, e lo si frena, più concorrenza, e la si riduce: “una legge che ritarda il futuro” ( Il Sole 24 ore del 21 Ottobre).

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