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→  aprile 16, 2013


Al direttore

A coloro che, incuranti del fatto che i calambour sui cognomi non sono eleganti, usano il titolo del già famoso romanzo di Jerome K. Jerome per almanaccare sulle nomenclature pd, suggerisco di non dimenticarne un pezzo: per non parlar del cane. Parentesi e punti esclamativi compresi.

→  marzo 7, 2013


Erano “discorsi seri a uomini faceti” quelli che Palmiro Togliatti rivolgeva al leader dell’Uomo Qualunque, Guglielmo Giannini, nel dicembre del 1946: “Qualcuno mi ha detto che [a lui] non conviene rispondere […] perché si tratta d’un commediografo e non di un uomo politico”. Altri tempi, altri comici, deve pensare il segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani. Lui, per tenere insieme il partito, deve stare cocciutamente attaccato allo scoglio del suo esiguo vantaggio di voti, e non ammettere altre alternative: o me o si rivota. Il che, visto come stanno le cose, in realtà equivale a dire “o Grillo o si rivota”. Bersani è persona concreta e navigata, non può credere che offrendo di introdurre il reato di tortura o una legge sull’eutanasia – queste alcune delle proposte del produttore cinematografico Procacci – Beppe Grillo gli dia i voti che gli mancano: avrà invece cercato di rappresentarsi quali sono gli interessi veri del leader di M5s e immaginato come soddisfarli.

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→  marzo 1, 2013


Intervista di Matteo Rigamonti

Intervista a Franco Debenedetti, che analizza il voto: «Bersani? Se l’obbiettivo è solo “smacchiare il giaguaro”, si fa la fine della “gioiosa macchina da guerra”».

«Il verdetto delle urne dimostra che se l’obbiettivo è solo “smacchiare il giaguaro”, si fa la fine della “gioiosa macchina da guerra”». Secondo Franco Debenedetti, a pesare nella disfatta del Pd è stata soprattutto la gestione un po’ “vecchio stile” del partito e delle primarie. Ma a fronte dell’affermazione decisa del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, a uscire con le ossa rotte dalle urne sono stati anche Berlusconi («c’è un limite a quello che si può ottenere con gli strumenti della comunicazione») e soprattutto Monti, che difficilmente avrà «la possibilità di rientrare nei giochi». Il premier uscente, afferma Debenedetti a tempi.it, ha commesso anche un “peccato capitale”, per dirla con il linguaggio del suo ultimo libro (Il peccato del professor Monti, edito da Marsilio Editori): inseguendo a tutti i costi la sostenibilità dei conti pubblici ha coltivato il suo «pregiudizio negativo verso la vita politica».

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→  febbraio 28, 2013


Se campagna elettorale ed elezioni sono il momento culmine in cui si riassume il funzionamento della democrazia, quelli che pensano che la democrazia sia un metodo per la selezione delle élite hanno un motivo in più per provare sconcerto di fronte al risultato di queste elezioni. Non è solo che i sondaggi sembra non servano più a orientarci, che in questo Parlamento sembra impossibile formare una maggioranza, e che alla Camera il primo partito sia un movimento anti partito. Le ragioni di choc vanno molto più in profondità, toccano il meccanismo stesso di formazione del consenso democratico.

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→  febbraio 14, 2013


di Paolo Cirino Pomicino

L’appassionato dibattito acceso sul bel libro di Franco Debenedetti (“Il peccato del professor Monti”) e di cui Il Foglio ha dato eco con un confronto a più voci non può che essere musica per le orecchie di un professionista della politica. E tanto per mettere subito i piedi nel piatto, con il termine “professionista della politica” indico una precisa “competenza” che non si esaurisce in una conoscenza tecnica e il cui cuore pulsante è la capacità di mettere in un progetto comune interessi diversi presenti nelle società moderne cogliendone le complementarietà e raccogliendo intorno a esso il più largo consenso popolare.

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→  febbraio 12, 2013


di Marco Valerio Lo Prete

Quello scontro tra “competenza” e “volontà popolare”. Il dibattito del Foglio visto da un fondatore del Pd, Salvati.

“La democrazia è un metodo di selezione delle élite”. Se non si accetta questo assunto, storicamente e scientificamente fondato, non si capisce fino in fondo la rivoluzione del sistema politico di cui Mario Monti è portatore. Non solo: senza riconoscere che quello è l’assunto di partenza, non si spiega la vistosa ritrosia di ampi spezzoni della classe dirigente italiana all’idea di sostenere l’ex presidente della Bocconi che ha fatto arretrare il paese dall’orlo del precipizio finanziario. E’ quanto sostiene Michele Salvati, docente di Economia politica all’Università di Milano, direttore della storica rivista il Mulino ed editorialista del Corriere della Sera.

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