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Archivio per il Tag »Gentiloni«

→  febbraio 1, 2018


Le campagne elettorali, di solito, non godono di buona stampa. Quella in corso, però, qualche merito l’ha pur avuto: in tema Europa, i toni di chi proclamava o di voler uscire dall’euro o di volerne sfidare le regole, si sono attutiti; e in tema di promesse elettorali, è tutta una corsa a dimostrarne la sostenibilità.  Se da un lato alcune idee – che l’uscita dall’euro sarebbe uno schianto, e che le riforme senza “coperture” sarebbero un’agonia – sembrano diventate opinioni acquisite, dall’altro ci sono equivoci che continuano a circolare nei discorsi pre-elettorali.

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→  maggio 9, 2017


Nella crisi Alitalia si è verificata una marcata discontinuità, che è importante rilevare per le conseguenze che avrà sul modo in cui essa verrà gestita.

Prima del referendum tra i dipendenti Alitalia del 24 Aprile, il presidente Gentiloni era stato esplicito: “non ci sono alternative, dovete votare sì al referendum”, li aveva ammoniti. Appena se ne conoscono i risultati, i ministri sono unanimi nell’esprimere rammarico e sconcerto. Ma è chiara la posizione: agli azionisti decidere che cosa fare, al governo ridurre al minimo i costi per i cittadini italiani e per i viaggiatori.

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→  dicembre 17, 2016


Al direttore.

Succede un fatto che suscita emozioni e preoccupazioni; si chiede al potere pubblico di porvi rimedio; e i mezzi con cui si chiede di farlo sono quelli che, usati in passato, ne sono stati la causa. Succede anche nella vicenda Mediaset-Vivendi: anch’essa riguarda il presente ma non può dimenticare il passato, e per questo “non è legata semplicemente alla conquista di una delle più grandi aziende italiane”, come scriveva giovedì il direttore. Si determinano quindi due ambiti di discorso, che conviene tenere separati: uno dei fatti che “semplicemente” sono, e uno di quelli che “non semplicemente” potrebbero essere e forse saranno: e del perché lo sono. Il discorso del “semplicemente” è quello che sta facendo il presidente Gentiloni, e di cui è doveroso dargli atto: questa operazione, ha detto a Class Cnbc, non coinvolge lo Stato.

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→  settembre 18, 2010

di Giovanni Valentini

Gli uomini del centrosinistra hanno commesso gravi errori che hanno agevolato l’ ascesa di Berlusconi. (da “Berlusconi e gli anticorpi” di Paolo Sylos Labini Laterza, 2003 – pag. 28) Diversi lettori hanno scritto piuttosto allarmati al Sabato del Villaggio, dopo aver letto la rubrica della settimana scorsa intitolata “Se il Cavaliere compra il Corriere della Sera”, in cui si annunciava che il 31 dicembre prossimo scadrà il divieto stabilito a suo tempo dalla legge Mammì di acquisire il controllo di quotidiani per chi possiede già tre reti televisive. E si ricordava contemporaneamente che giace in Parlamento una proposta di legge, di cui il primo firmatario è l’ ex ministro Paolo Gentiloni, per prorogare ulteriormente questa eventualità al 2015. L’ articolo non è piaciuto, invece, all’ ex senatore Franco Debenedetti che in una lettera esprime il suo “netto disaccordo”.

E l’intervento merita un chiarimento e una replica: non solo perché proviene da un personaggio che è stato parlamentare per tre legislature (1994, ‘ 96 e 2001), prima nelle liste del Pds e poi in quelle dei Ds. Ma soprattutto perché, al di là delle migliori e più rispettabili intenzioni, rivela una sconcertante disinformazione e una sostanziale indifferenza sul tema nevralgico del conflitto di interessi, entrambe diffuse purtroppo anche in una parte dell’opinione pubblica di sinistra. “Dalla Mammì – scrive Debenedetti – sono passati 20 anni, nel mondo dei media è successo di tutto. Che la Repubblica Italiana anno 2010 stabilisca per legge che il matrimonio tra televisione e giornali non s’ ha da fare, mai, in nessun caso, mi pare un’idea assai poco illuminata, proprio da non andarne fieri”. In realtà, la legge Mammì non stabiliva affatto un divieto assoluto di incrocio fra tv e giornali. Quella legge, approvata dal Caf (Craxi-Andreotti-Forlani) dopo l’occupazione selvaggia dell’ etere da parte Di Sua Emittenza, era una legge-fotografia che si limitava a ratificare l’esistente, cioè il fatto compiuto. Tuttavia, per un minimo di pudore o di decenza, all’articolo 15 introduceva un “Divieto di posizioni dominanti”, fissando appunto una griglia nell’incrocio fra tv e carta stampata: chi deteneva già il 16 per cento della tiratura complessiva dei quotidiani italiani, non poteva avere neppure una concessione televisiva nazionale; chi deteneva l’8 per cento della tiratura dei quotidiani, poteva avere una sola concessione tv; e infine chi deteneva una quota di tiratura inferiore, poteva averne al massimo due. A quell’epoca, come si ricorderà, la Fininvest possedeva già Canale 5, Italia Uno e Retequattro. Per cui, non solo non avrebbe potuto ottenere una terza concessione nazionale, come la Corte costituzionale ha più volte sancito in nome del pluralismo e della libera concorrenza: tant’è che siamo arrivati fino al cosiddetto “decreto salva-reti” nel 2004 e alla legge-vergogna che porta la firma dell’ ex ministro Gasparri. Ma, proprio in forza di quella timida normativa anti-trust, il Cavaliere non poteva mantenere la proprietà del Giornale, ceduto infatti al fratello Paolo con gli esiti che sono ormai sotto gli occhi di tutti. Sorprende e sconcerta, perciò, che un ex parlamentare del centrosinistra non conosca o non ricordi bene il testo della legge Mammì. Certo che il “matrimonio fra televisione e giornali”, come lo chiama Debenedetti, s’ha da fare: tanto più nell’ era della convergenza e della multimedialità. Il punto non è questo, bensì il livello di concentrazione che si realizza nel campo dell’informazione e della raccolta pubblicitaria, a danno di tutti gli altri media. Ma ancor più sorprende e sconcerta che un ex parlamentare del centrosinistra difenda perfino la legge Gasparri che, dietro il paravento del digitale terrestre, di fatto ha consolidato e rafforzato il duopolio di Rai e Mediaset nel settore della televisione generalista, in chiaro, quella che più fa opinione e influisce più ampiamente sulla formazione del consenso. Eppure, una recente indagine del Censis documenta che i telegiornali restano il mezzo principale per orientare il voto, soprattutto fra le casalinghe (74,1%), i meno istruiti (76%) e ancor più trai pensionati (78,7%). Per l’ex senatore Debenedetti, una concentrazione come quella che si realizzerebbe nell’ipotesi che Berlusconi comprasse il Corriere della Sera, o qualsiasi altro quotidiano, “non è neppure fantapolitica, è surreale”. E comunque sarebbe impedita dal decreto legislativo del 31 luglio 2005 (n. 177 – art. 43). Ma abbiamo già visto fin troppo in passato come si aggirano o si eludono le leggi anti-trust in questo campo. La proposta presentata dall’ex ministro Gentiloni resta perciò quantomai valida e attuale.