→ Iscriviti

Archivio per il Tag »Federico De Rosa«

→  marzo 24, 2015


Intervista di Federico De Rosa

La scelta di China National Chemical Corporation «era la migliore per la Pirelli». Marco Tronchetti Provera lo aveva capito tre anni fa, quando ha incontrato per la prima volta Ren Jianxin, e adesso che è stata avviata la svolta, con la firma degli accordi che sanciscono l’alleanza, è soddisfatto per essere riuscito ad assicurare il futuro del gruppo milanese imbarcando un socio con le spalle larghe e un accesso privilegiato a un mercato sterminato. «Cuore e testa resteranno in Italia» assicura Tronchetti, al quale il nuovo socio cinese ha chiesto di rimanere alla guida per altri cinque anni insieme all’attuale management. «ChemChina – racconta – si è dimostrata molto aperta nel considerare un valore il radicamento di uomini e tecnologie in Italia, valore che è stato garantito con apposite clausole negli accordi».

Eppure c’è chi lamenta che l’Italia ha perso un pezzo pregiato della sua industria
«Questa è un’operazione che rende Pirelli più forte, ne ribadisce il radicamento e rafforza il ruolo del management. Continuiamo a guidare noi, portando avanti i piani di sviluppo stabiliti e senza alcun rischio per l’occupazione, né in Italia né negli stabilimenti esteri».

Qualcuno si è chiesto se il Fondo strategico o F2i non potessero rappresentare delle alternative per tenere Pirelli italiana.
«Non ha molto senso in questo caso invocare l’intervento di fondi pubblici per garantire l’italianità. Uomini, tecnologie e sede in Italia sono garantiti dagli accordi e il partner cinese ci rafforza in un mercato enorme».

I sindacati dicono che se in Italia ci fosse stata una politica industriale Pirelli non avrebbe scelto un partner cinese.
«Mi preoccupano certi sussulti che sanno di antico. La vera politica industriale si fa creando le condizioni per attrarre investimenti, che creano posti di lavoro, dando spazio alla formazione e allo sviluppo di tecnologie per far leva sulle eccellenze che fortunatamente ancora esistono nel Paese. Se guardo fuori dall’Italia vedo che le case automobilistiche vanno a produrre in Gran Bretagna, in Germania e in Spagna. Solo ultimamente, per fortuna, Fca ha ripreso a creare posti di lavoro. Perché queste difficoltà in Italia? La risposta non può essere certo un nazionalismo di maniera che parla in modo superficiale di politica industriale».

E la sua risposta qual è?
«In Italia è mancato un progetto per il futuro dell’industria. Oggi abbiamo la possibilità di diventare il Paese delle opportunità per gli italiani e gli stranieri. Se abbiamo perso competitività per molti anni è proprio perchè le scelte di politica industriale del passato hanno impoverito il Paese. Per decenni abbiamo sentito dire che piccolo è bello, ma il piccolo per crescere ha bisogno della dimensione, che porta a ragionare in grande tutti gli attori del mercato creando una società più aperta. L’Italia invece non ha creato le condizioni per attrarre i grandi e per far crescere le aziende medie. Quando un’azienda decide di uscire dall’Italia ci si dovrebbe chiedere perché. Certo, a pensarci i “lacci e lacciuoli” invocati da Guido Carli, erano nulla. Oggi c’è un nodo gordiano, di cui ha beneficiato chi conosceva le scorciatoie per evitare i nodi e la corruzione è dilagata. Troppo spesso, di fronte a un problema, si è fatta una nuova legge senza guardare a quelle che andavano eliminate perché la nuova potesse funzionare. E tutto è diventato sempre più complesso».

Questo governo ha visione di politica industriale?
«Ha lo sguardo giusto sul mondo e l’agenda giusta. Il Jobs act è un atto di vera politica industriale».

Renzi era stato messo al corrente che stava negoziando con ChemChina. Ci sono state interferenze?
«Nessuna. Alla vigilia della firma ho spiegato al premier il progetto industriale. Ha colto che per Pirelli è una grande opportunità».

Perché proprio ChemChina?
«Abbiamo scelto ChemChina perché non c’è sovrapposizione e ci consente di avere un accesso diretto al mercato cinese dei pneumatici giganti. La nostra intenzione era di stabilizzare il segmento “industrial” che in Pirelli ha una dimensione non ottimale. Il futuro per questo mercato, e non solo, è l’Asia e dunque è lì che stavamo guardando. Pirelli ha la tecnologia, prodotti competitivi e una redditività elevata, che potrà dare valore grazie anche alla capacità produttiva e alla presenza sul mercato di Aeolus (la controllata di ChemChina negli pneumatici, ndr ). Raddoppiamo da subito la produzione. A fianco di questo proseguirà la strategia di sviluppo nel segmento premium, che ha una crescita tripla rispetto al consumer, e in cui abbiamo investito molto in questi anni aprendo nuove fabbriche. Il mio compito sarà occuparmi del processo di riorganizzazione, rendere Pirelli più forte e solida e creare i presupposti per la continuità costruendo il percorso di successione».

Successione che slitta al 2021. Ha già individuato chi la sostituirà?
«In Pirelli sono importanti due caratteristiche: visione e capacità di gestione e oggi ci sono tante persone capaci nel gruppo. Io farò ciò che è utile all’azienda perchè continui su questo percorso, avendo il dovere, e in base agli accordi anche il diritto, di indicare il mio successore».

Cosa cambia adesso nell’alleanza in Russia?
«Pur diventando cinese il primo azionista, gli accordi in Russia sono tutti confermati. La Russia è importante per il mercato dei prodotti “winter” ed è diventata una base produttiva molto competitiva».

I soci di Camfin venderanno o resteranno?
«Chi crede nel progetto ci seguirà in questo nuovo tratto di viaggio della Pirelli. Al momento tutti hanno deciso di proseguire».

Lei però non sarà più presidente della Pirelli in questo viaggio. Le dispiace?
«Mi fa sentire più giovane. Dopo una certa età diventano tutti presidenti».

→  novembre 13, 2007

corrieredellasera_logo
Partecipazioni

di Federico De Rosa

MILANO — Tornano in alto mare le nomine al vertice di Telecom Italia. Il nuovo giro d’orizzonte fatto da Mediobanca e Intesa Sanpaolo dopo l’incontro di mercoledì scorso tra Cesare Geronzi e Giovanni Bazoli non avrebbe prodotto risultati. L’accoppiata Gabriele Galateri di Genola-Franco Bernabè, su cui sono orientati i sondaggi, continua a incontrare resistenze sia dentro sia fuori Telco, e per uscire dall’impasse i soci della cassaforte avrebbero iniziato a valutare altre alternative.
Ma la possibilità di scelta sono ridotte e al momento non si vede ancora una via d’uscita. Anche l’unico punto fermo, almeno così sembrava finora, quello di Galateri alla presidenza, è tornato in discussione e si sta facendo sempre più largo l’ipotesi di confermare Pistorio fino alla fine del mandato. Una scelta gradita a Intesa Sanpaolo e condivisibile per Mediobanca. Da sola, tuttavia, non basterebbe a sbloccare l’impasse. Manca infatti il nome dell’amministratore delegato che, vuoi per i giochi di posizione vuoi per i veti, difficilmente potrebbe essere sempre Bernabè. Fonti vicine al dossier parlano di sondaggi in corso su Paolo Dal Pino. Il nome dell’ex amministratore delegato di Wind, in passato numero uno di Telecom in America Latina, era già circolato nelle scorse settimane incontrando, secondo le voci, resistenze da parte di Intesa Sanpaolo, più orientata a cercare un accordo su Bernabè. Ora sarebbe stato riproposto in ticket con Pistorio.
Tra le possibili alternative è circolata anche quella di ampliare le deleghe dell’attuale presidente e di superare l’impasse sull’amministratore delegato facendo crescere i due manager interni, Luca Luciani e Stefano Pileri, Lo schema, tuttavia, non convince soprattutto chi tra i soci di Telco ritiene sia necessario un segnale di discontinuità con il passato. E tra questi ci sarebbero gli spagnoli di Telefonica, che pur non avendo formalmente voce in capitolo sulle nomine seguono con grande attenzione le mosse dei compagni di cordata. Per la società spagnola, d’altra parte, la partita Telecom è fondamentale. Proprio ieri il direttore generale Julio Linares ha parlato di possibili sinergie con la società milanese per 500 milioni l’anno, rivelando che i due gruppi ne stanno parlando già da tempo, «sono in corso dall’inizio dell’anno discussioni esplorative con Telecom per identificare le potenziali aree e il loro ammontare», e che insieme «abbiamo identificato fino a 500 milioni le sinergie annue per entrambe le compagnie. Ora, dopo che si è finalizzato l’accordo, si andrà più in profondità».

E saranno Cesar Alierta e Linares a occuparsene. I due manager, rispettivamente numero uno e due di Telefonica, sono infatti appena entrati nel consiglio di Telecom, sebbene con qualche difficoltà «tecnica». Il loro arrivo ha costretto gli altri soci di Telco a regolarsi di conseguenza per le nomine. Con due dei migliori manager mondiali del settore nel board, infatti, chi guiderà Telecom dovrà essere all’altezza e tener testa agli spagnoli. Cosa non facile, soprattutto dopo aver visto i numeri di Telefonica che, unica tra le società telefoniche europee, ieri ha rivisto al rialzo i target per l’intero anno dopo aver annunciato 7,9 miliardi di utile nei primi nove mesi, con una crescita del 51% grazie soprattutto all’effetto Endemol, a fronte di 42 miliardi di ricavi (+8,6%).
I soci di Telco hanno dunque la necessità di trovare interlocutori «autorevoli». Non solo per Telefonica, ma anche per gestire le altre partite che il nuovo vertice si troverà di fronte. A partire dallo scorporo della rete. Proprio ieri il presidente dell’Authority per le comunicazioni, Corrado Calabrò, ha esortato dì nuovo Telco a fare in fretta: Telecom «deve uscire dall’attuale guado in cui si trova perché siamo arrivati al capolinea», ha detto Calabrò, spiegando che adesso che si è concluso il confronto tecnico «servono le scelte politiche che solo il management della società può fare».

ARTICOLI CORRELATI
Telecom a governance duale
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 13 novembre 2007

→  ottobre 22, 2004

corrieredellasera_logo
Intervista di Federico De Rosa

«Condizione indispensabile perché un bene sia venduto, è che chi ce l’ha voglia venderlo. La Rai è controllata dalla politica, e non esiste una maggioranza politica disposta a perdere questo controllo». Il senatore Franco Debenedetti non ha dubbi. Pur essendo favorevole alla privatizzazione della tv pubblica, dietro il percorso tracciato dalla Legge Gasparri vede un rischio: «La Gasparri mantiene il controllo della politica sulla Rai, lo scherma dalle critiche maggiori, lo perpetua per sempre».

leggi il resto ›

→  luglio 4, 2004

corrieredellasera_logo
Intervista di Federico De Rosa

Il Senatore Franco Debenedetti, pur sedendo nelle file del centrosinistra, ammette che Giulio Tremonti ha fatto un buon lavoro e «il centrosinistra dovrebbe riconoscerglielo».

leggi il resto ›