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Archivio per il Tag »Carmine Fotina«

→  maggio 24, 2015


di Carmine Fotina

Le grandi manovre sulle industrie da rilanciare possono iniziare. Il regolamento della Spa “salva imprese” prevista dal decreto banche è pronto: capitale minimo di 830 milioni per partire, garanzia statale, poteri speciali di governance agli investitori privati, uscita dalle aziende target entro 10 anni. Il decreto attuativo, ha spiegato il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi è stato firmato, registrato dalla Corte dei conti ed attende la pubblica sulla Gazzetta ufficiale: «Un veicolo utile per accompagnare di più e meglio alcune società a un’uscita rispetto ai piani di ristrutturazione. Ci auguriamo che una prima operazione possa essere Ilva».

La garanzia dello Stato

Il Dpcm è un passaggio indispensabile per far decollare la Spa di turnaround, alla quale dovrebbero partecipare Cassa depositi e prestiti, Inail, probabilmente i principali gruppi bancari, altri possibili privati da individuare ad esempio tra i fondi di investimento. Il decreto, in 11 articoli che fissano le regole di ingaggio, è stato perfezionato dopo varie ipotesi fatte con il coordinamento di Claudio De Vincenti, prima da viceministro e poi da sottosegretario a Palazzo Chigi, e Andrea Guerra, consigliere economico del premier.

La garanzia potrà scattare solo a fronte di sottoscrizione di capitale per almeno 580 milioni da parte di investitori che intendono beneficiarne e per almeno 250 milioni da parte di privati che investiranno capitali di rischio senza richiedere lo “scudo” statale. Non solo: ogni singolo investitore da garantire dovrà mettere sul piatto almeno 100 milioni e possedere un patrimonio netto non inferiore alla stessa cifra (oppure nel caso di fondi comuni e fondi pensione, dovrà gestire attività per oltre 500 milioni). Il capitale della società potrà salire – e il governo punta ad almeno 1,5 miliardi – ma ad ogni modo fino al 70% dovrà essere costituito da «investitori garantiti» e quindi almeno il 30% da «investitori non garantiti».

La garanzia – per la quale lo Stato mette a disposizione un Fondo di 300 milioni – sarà onerosa, con un prezzo a carico dei richiedenti che sarà la risultante di una quota fissa e una variabile da determinare con una gara per le migliori condizioni offerte. Potrà coprire l’80% dell’investimento (si vedano le schede accanto) e potrà essere escussa solo in fase di liquidazione della società, che dovrà avvenire entro il 2025.

Gli azionisti e i tempi

La Spa, secondo le prime ottimistiche dichiarazioni del governo, avrebbe dovuto vedere la luce già ad aprile. Ma solo adesso si aprirà la fase più calda della composizione dell’azionariato, della scelta del management e della selezione delle aziende target che, pur risultando in «squilibrio patrimoniale o finanziario», devono essere caratterizzate da «adeguate prospettive industriali e di mercato».

Su questo punto, la relazione illustrativa del Dpcm sottolinea che il contesto produttivo italiano «è caratterizzato da un’ampia presenza sul nostro territorio di medie e grandi aziende con buoni o eccellenti fondamentali industriali. Accade però che talvolta tali situazioni aziendali necessitino di interventi di sostegno e rafforzamento della situazione patrimoniale e finanziaria».

Il primo test individuato dal governo, come detto, sarà l’Ilva: la Spa (probabilmente entro ottobre) dovrebbe investire in una newco per il rilancio del gruppo siderurgico. La preoccupazione del governo, a prescindere dal delicatissimo caso Ilva, è evitare che il nuovo strumento parta con le stigmate di una nuova Iri e alcuni punti del regolamento sembrano voler rispondere a questa esigenza.

Come detto, la società dovrà sciogliersi entro dieci anni, dotarsi di uno statuto che preveda una rigida disciplina in materia di conflitti di interesse e un sostanziale potere di veto degli investitori privati non garantiti nelle deliberazioni sugli investimenti («concorso determinante della maggioranza dei componenti degli organi sociali designati dagli azionisti che non si avvalgono della garanzia»). Lo statuto dovrà inoltre contenere l’obbligo di distribuire almeno i due terzi dell’utile realizzato in ogni esercizio.

→  ottobre 26, 2010


di Carmine Fotina

Per il dividendo digitale l’Italia pensa a un’asta sul modello tedesco. All’Authority per le comunicazioni stringono i tempi in vista della consultazione pubblica che dovrebbe essere pronta entro l’anno: si va verso una gara unica, con un pacchetto misto di frequenze destinato alla telefonia mobile (800, 1.800 e 2.500 megahertz) come già avvenuto in Germania.

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→  febbraio 13, 2009

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La separazione sarà una delle proposte del Rapporto governativo

di Carmine Fotina

Tra poco più di due settimane Francesco Caio, il superconsulente incaricato dal Governo, presenterà il suo piano per il rilancio della banda larga e per il riassetto della rete di telecomunicazioni. Tra le proposte che sottoporrà al sottosegretario alle comunicazioni Paolo Romani, al ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola e probabilmente direttamente al premier Silvio Berlusconi ci sarà anche lo scorporo dell’infrastruttura fissa di Telecom Italia per creare una società delle reti aperta a nuovi investitori.

Sarà solo una delle diverse soluzioni messe sul tavolo per varare un grande piano di investimenti nelle tic, ma è anche quella che piace di più a un’ampia area della maggioranza e del Governo. Il convegno organizzato ieri a Roma dal Popolo della Libertà ha riportato la questione in primo piano dopo le esternazioni favorevoli allo scorporo fatte dall’ex consulente di Prodi Angelo Rovati e dal presidente della Commissione Trasporti e tic della Camera Mario Valducci (entrambe pubblicate su questo giornale) e dopo la risposta a distanza, la settimana scorsa, dell’amministratore delegato di Telecom Franco Bernabè: «L’operazione non è in agenda». Il pressing non cessa: alla finestra ci sono i fornitori di tecnologie, che chiedono una svolta per trovare nuove commesse, gli altri operatori del settore ma anche possibili outsider di lusso. Fastweb potrebbe conferire la sua rete nelle nuova società e Mediaset, il gruppo che fa capo alla famiglia del presidente del Consiglio, potrebbe tentare il grande salto nelle tic e nella tv via internet. Anche se su quest’ultima ipotesi Bernabè sembra subito mettere le cose in chiaro: «Telecom non vuole fare la media company. E non c’è possibilità per Mediaset, Sky o Rai di diventare proprietaria esclusiva di una rete a banda ultralarga. La rete è una sola, di proprietà di Telecom Italia che intende farne una piattaforma per la Ip television aperta a tutti».

Ieri, attraverso Pierluigi Borghini, coordinatore del Dipartimento Attività produttive di Forza Italia, il partito del premier ha lanciato la sua proposta per lo scorporo e anche in questo caso Bernabè ha risposto con tono deciso: «Qualsiasi intervento di tipo dirigistico sarebbe illegittimo e inappropriato. Per fortuna siamo a un convegno del Popolo della Libertà e non di Gosplan». Eppure, secondo le indicazioni che filtrano da ambienti finanziari e politici, in casa Telecom l’opzione della separazione societaria della rete, da aprire a nuovi investitori per contribuire alla riduzione dell’indebitamento e al piano di investimenti sul network di nuova generazione, non è mai tramontata. Anzi, il piano potrebbe realizzarsi anche in tempi brevi se si concretizzeranno alcune condizioni. Innanzitutto dovrà essere una pura operazione industriale, con una soddisfacente valorizzazione dell’asse per gli azionisti e nessuna implicazione sotto il profilo delle regole, già adeguate secondo Bernabè grazie agli impegni assunti con l’Authority.

In secondo luogo, anche se tra i soci italiani di Telco sono saliti i consensi per l’operazione, restano da superare le riserve di Telefonica. Infine, ma non è un punto secondario, c’è da fare chiarezza sulla gestione e il management della ipotetica nuova società, che le indiscrezioni periodicamente accostano a Stefano Parisi, a.d. di Fastweb, o addirittura allo stesso Caio.
Rispetto a questo mosaico incompleto la proposta di Forza Italia è decisamente più avanti. Lo schema delinea una società separata, «Telecom Larga Banda», in cui l’ex monopolista avrebbe la maggioranza mentre il 40% sarebbe ceduto a nuovi azionisti a partire da Cassa depositi e prestiti e il fondo F2i. I grandi fornitori di tecnologie – Siemens, Ericsson, Zte, Alcatel – farebbero la loro parte fornendo un miliardo di euro ciascuno in attrezzature con pagamento differito. Chiamato in causa, il presidente della Cdp Franco Bassanini ricorda che sarà l’azionista ministero dell’Economia a decidere se lanciarsi in quest’operazione e che se ne saprà di più tra poche settimane, quando sarà emanato l’elenco dei settori in cui la Cassa, sulla base della recente riforma voluta da Tremonti, potrà investire le risorse del risparmio postale.

Davanti alla platea il sottosegretario Romani prova a ridimensionare la portata della proposta e invita alla cautela, ma dell’ipotesi scorporo ha già abbondantemente parlato con il consulente Caio. Tutto ovviamente sarà subordinato al definitivo via libera degli azionisti Telecom, come in serata, dopo il clamore suscitato dal convegno, ha precisato il ministro dello Sviluppo Scajola: «Sulla base del rapporto Caio, e nel confronto con tutti gli operatori interessati, il Governo assumerà le opportune decisioni. Per quel che riguarda la reteTelecom ribadisco che nessuna eventuale iniziativa potrà essere assunta senza il pieno consenso della società».

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di Antonella Olivieri – Il Sole 24 Ore, 13 febbraio 2009