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Archivio per il Tag »Barnabé«

→  febbraio 18, 2009

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di Orazio Carabini

Per il momento la domanda di servizi che hanno bisogno della banda da ioo mega non esiste. E per molti anni ancora tutto quello che serve alle famiglie e alle imprese si potrà fare con la banda da 20 mega. Investire adesso nella rete di nuova generazione non avrebbe senso». Franco Bernabè ha spiegato così, a chi l`ha incontrato nei giorni scorsi, la sua secca presa di posizione sull`ipotesi di scorporare la rete di telefonia fissa di Telecom Italia.

Il Ceo del gruppo telefonico era infatti convinto che l`accordo raggiunto con l`Autorità delle Comunicazioni (Agcom) su Open Access, la divisione di Telecom Italia che gestirà autonomamente la rete, segnasse la fine del dibattito.

Che invece ha ripreso quota con le iniziative del Popolo della Libertà, corroborate dall`intervista al Sole 24 Ore di Angelo Rovati, ex-consigliere di Romano Prodi. Perché proprio ora? «Scavare le buche e riempirle», consigliava John Maynard Keynes per battere la recessione.

E non è un caso se Bernabè, che ha una formazione da economista, ha evocato Keynes. Il suo sospetto è che a premere per la rete di nuova generazione siano soprattutto le imprese che dovrebbero costruire e attrezzare la In questa fase di congiuntura negativa la prospettiva di realizzare un`opera colossale raccoglie facilmente il sostegno entusiasta di chi combatte tutti i giorni con budget sempre più striminziti e ordini in calo.

Ma i propugnatori dello scorporo, che non sono solo di centrodestra (vedere l`articolo diFranco Debenedetti sul Sole 24 Ore del 13 febbraio), raccontano un`altra storia.

Per loro il problema vero è che, indebitata com`è, Telecom Italia non avvierà mai il progetto Ngn, la rete di nuova generazione. Occorre pertanto guardare oltre e dare una prospettiva sia alla società sia alla rete, per il bene dell`economia italiana.

Lo scorporo risponde, in quest`ottica, al duplice obiettivo.

Telecom incasserebbe dei soldi e potrebbe attrezzarsi per competere al meglio e per espandersi sui mercati internazionali.

La rete, conferita a una società autonoma, potrebbe investire nelle tecnologie del futuro.

E normale che la politica si interessi di un`infrastruttura importante come la rete delle telecomunizioni. Non c`è nulla di sconveniente se esponenti del Pdl, nei convegni e nei dibattiti parlamentari, sostengono la necessità di scorporarla da Telecom Italia per farne una società autonoma.

Così come era legittimo nel 2006 che ministri del centrosinistra si ponessero lo stesso problema.

Va tutto bene. Purché si parta dal presupposto che Telecom Italia è una società privata (al ioo%), che è quotata in Borsa e che la rete di telefonia fissa è di sua proprietà.

Può essere stato un errore, dieci anni fa, privatizzarla così com`è, con una rete che, finito il monopolio, è utilizzata da tutti i concorrenti. Ma questa è la realtà di oggi.

E la reazione di Bernabè è comprensibile. Per lui la partita è chiusa. Lo scorporo della rete lo può solo imporre l`Agcom che però ha appena accettato gli impegni di Telecom Italia su Open Access. A questo punto può essere soltanto la società, quindi l`ad e il consiglio di amministrazione, a prendere una decisione di questo tipo. Che, eventualmente, dovrebbe essere ratificata anche dall`assemblea degli obbligazionisti, oltre che dagli azionisti.

Ma Bernabè ha altri progetti.

La sua idea è di estendere la copertura dell`Adsl a 20 Mega e di introdurre la Ngn man mano che si renderà necessario.

Sempre, però, con un vincolo: raggiungere le aree dove la domanda giustifica l`investimento.

La partita tuttavia non si può considerare chiusa. Nei prossimi giorni Francesco Caio presenterà il suo piano per la banda larga. Che, secondo le indiscrezioni finora circolate, suggerisce lo scorporodi una parte dell`infrastruttura di telefonia fissa di Telecom Italia.

Finora il governo non si è esposto. Di sicuro nessun ministro ha voglia di spendere qualche miliardo di curo, sia pure attraverso la Cassa depositi e prestiti, per “nazionalizzare” la società della rete in questa fase congiunturale.

Il presidente dell`Antitrust Antonio Catricalà ha già fatto capire, in un`audizione parlamentare, di non vedere di buon occhio una Rete spa in cui fornitori e gestori si ritrovano tutti insieme e magari ne approfittano per “coordinarsi”.

Bernabé ripete che l`epoca delle Partecipazioni statali è finita e che ogni intrusione della politica nelle scelte della società va respinta. Ma le parole d`ordine quali italianità, ammodernamento e indipendenza della rete torneranno all`ordine del giorno.

Con il rischio che l`azienda debba scontrarsi, come è già accaduto in passato, con la politica. E che tocchi ai maggiori azionisti una difficile mediazione.

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Torna il progetto di evoluzione in fibra ottica e si apre l’ incognita dei soci

di Massimo Mucchetti

Nell’autunno del 2006, il progetto di staccare da Telecom Italia l’infrastruttura di rete per attribuirla a una nuova società partecipata dalla Cassa depositi e prestiti (Cdp) venne accolto con critiche sdegnate da parte dell’opposizione di centro-destra, dell’intellettualità liberista e dei vertici della Confindustria. Il progetto, che Angelo Rovati, consigliere economico di Prodi, aveva inviato in via confidenziale all’allora presidente di Telecom, Marco Tronchetti Provera, fu eletto a simbolo del ricatto statalista contro la libertà dell’impresa. Nella primavera del 2009, la stessa idea viene riproposta con incalzante pubblicità dal responsabile economico di Forza Italia, Pierluigi Borghini, senza che i censori di ieri elevino analoghe proteste. Eppure, anche adesso, Telecom è una società privata guidata da un amministratore delegato, Franco Bernabé, contrario al piano Rovati comunque riverniciato. Potremmo finirla qui sottolineando come, per l’ennesima volta, l’Italia si riveli un Paese senza memoria votato alla polemica strumentale. Ma oggi c’è dell’altro. L’Italia ha interesse a far evolvere la rete telefonica in rame in una nuova e assai più potente rete in fibra ottica. Prima si fa e meglio è: per modernizzare il Paese e sostenere keynesianamente l’economia.

A Telecom, invece, conviene diluire nel tempo l’investimento per poter via via intercettare la nuova domanda di banda larghissima e non appesantire troppo il debito ereditato dalle vecchie gestioni. Paese e azienda potrebbero avvicinarsi riducendo l’onere dell’investimento grazie all’utilizzo delle frequenze radio che, con il passaggio dall’analogico al digitale, non saranno più necessarie alle tv, e dunque dovrebbero tornare nella disponibilità del Tesoro. In Europa e Usa questo è il dividendo digitale che i governi reinvestono a favore dell’intera economia. Nell’Italia, dove Mediaset considera le frequenze proprietà privata, non avviene. Vogliamo parlarne? L’attribuzione della rete a una nuova società può migliorare la concorrenza? Bene. Non abbiamo mai pensato che bastasse evocare il fantasma dell’Iri per bocciare un’idea. La svolta pro-concorrenziale di Forza Italia non può far che piacere. Purché non celi il diavolo nei dettagli. L’azionariato ideale della nuova società, riferisce il Sole 24 Ore, comprenderebbe Telecom, la Cdp, il fondo F2i, Mediaset, Fastweb e i fornitori. In un simile schema i conflitti d’interesse sono evidenti: i fornitori che, da soci, concorrerebbero a fare il prezzo delle forniture; il supercliente, la tv del premier, che, forse deluso dalla sperimentazione sarda sul digitale terrestre, guadagnerebbe con poca spesa l’accesso privilegiato alla Ip television.

Il cavo Telecom che porta Internet consentirà, in prospettiva, di personalizzare gli spot con un sensibile miglioramento dei ricavi pubblicitari. Un conto è se Mediaset accede a questa piattaforma in regime di par condicio con i concorrenti attuali e potenziali. Un altro conto è se lo fa da azionista comunque più influente della società della rete, visto che Berlusconi presiede un governo che ha il 70% della Cdp e detta le regole per Mediobanca, Intesa, Generali e Autostrade, azionisti eccellenti della stessa Telecom.

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La separazione sarà una delle proposte del Rapporto governativo

di Carmine Fotina

Tra poco più di due settimane Francesco Caio, il superconsulente incaricato dal Governo, presenterà il suo piano per il rilancio della banda larga e per il riassetto della rete di telecomunicazioni. Tra le proposte che sottoporrà al sottosegretario alle comunicazioni Paolo Romani, al ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola e probabilmente direttamente al premier Silvio Berlusconi ci sarà anche lo scorporo dell’infrastruttura fissa di Telecom Italia per creare una società delle reti aperta a nuovi investitori.

Sarà solo una delle diverse soluzioni messe sul tavolo per varare un grande piano di investimenti nelle tic, ma è anche quella che piace di più a un’ampia area della maggioranza e del Governo. Il convegno organizzato ieri a Roma dal Popolo della Libertà ha riportato la questione in primo piano dopo le esternazioni favorevoli allo scorporo fatte dall’ex consulente di Prodi Angelo Rovati e dal presidente della Commissione Trasporti e tic della Camera Mario Valducci (entrambe pubblicate su questo giornale) e dopo la risposta a distanza, la settimana scorsa, dell’amministratore delegato di Telecom Franco Bernabè: «L’operazione non è in agenda». Il pressing non cessa: alla finestra ci sono i fornitori di tecnologie, che chiedono una svolta per trovare nuove commesse, gli altri operatori del settore ma anche possibili outsider di lusso. Fastweb potrebbe conferire la sua rete nelle nuova società e Mediaset, il gruppo che fa capo alla famiglia del presidente del Consiglio, potrebbe tentare il grande salto nelle tic e nella tv via internet. Anche se su quest’ultima ipotesi Bernabè sembra subito mettere le cose in chiaro: «Telecom non vuole fare la media company. E non c’è possibilità per Mediaset, Sky o Rai di diventare proprietaria esclusiva di una rete a banda ultralarga. La rete è una sola, di proprietà di Telecom Italia che intende farne una piattaforma per la Ip television aperta a tutti».

Ieri, attraverso Pierluigi Borghini, coordinatore del Dipartimento Attività produttive di Forza Italia, il partito del premier ha lanciato la sua proposta per lo scorporo e anche in questo caso Bernabè ha risposto con tono deciso: «Qualsiasi intervento di tipo dirigistico sarebbe illegittimo e inappropriato. Per fortuna siamo a un convegno del Popolo della Libertà e non di Gosplan». Eppure, secondo le indicazioni che filtrano da ambienti finanziari e politici, in casa Telecom l’opzione della separazione societaria della rete, da aprire a nuovi investitori per contribuire alla riduzione dell’indebitamento e al piano di investimenti sul network di nuova generazione, non è mai tramontata. Anzi, il piano potrebbe realizzarsi anche in tempi brevi se si concretizzeranno alcune condizioni. Innanzitutto dovrà essere una pura operazione industriale, con una soddisfacente valorizzazione dell’asse per gli azionisti e nessuna implicazione sotto il profilo delle regole, già adeguate secondo Bernabè grazie agli impegni assunti con l’Authority.

In secondo luogo, anche se tra i soci italiani di Telco sono saliti i consensi per l’operazione, restano da superare le riserve di Telefonica. Infine, ma non è un punto secondario, c’è da fare chiarezza sulla gestione e il management della ipotetica nuova società, che le indiscrezioni periodicamente accostano a Stefano Parisi, a.d. di Fastweb, o addirittura allo stesso Caio.
Rispetto a questo mosaico incompleto la proposta di Forza Italia è decisamente più avanti. Lo schema delinea una società separata, «Telecom Larga Banda», in cui l’ex monopolista avrebbe la maggioranza mentre il 40% sarebbe ceduto a nuovi azionisti a partire da Cassa depositi e prestiti e il fondo F2i. I grandi fornitori di tecnologie – Siemens, Ericsson, Zte, Alcatel – farebbero la loro parte fornendo un miliardo di euro ciascuno in attrezzature con pagamento differito. Chiamato in causa, il presidente della Cdp Franco Bassanini ricorda che sarà l’azionista ministero dell’Economia a decidere se lanciarsi in quest’operazione e che se ne saprà di più tra poche settimane, quando sarà emanato l’elenco dei settori in cui la Cassa, sulla base della recente riforma voluta da Tremonti, potrà investire le risorse del risparmio postale.

Davanti alla platea il sottosegretario Romani prova a ridimensionare la portata della proposta e invita alla cautela, ma dell’ipotesi scorporo ha già abbondantemente parlato con il consulente Caio. Tutto ovviamente sarà subordinato al definitivo via libera degli azionisti Telecom, come in serata, dopo il clamore suscitato dal convegno, ha precisato il ministro dello Sviluppo Scajola: «Sulla base del rapporto Caio, e nel confronto con tutti gli operatori interessati, il Governo assumerà le opportune decisioni. Per quel che riguarda la reteTelecom ribadisco che nessuna eventuale iniziativa potrà essere assunta senza il pieno consenso della società».

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Il tema della proprietà della rete Telecom Italia é riemerso, sabato scorso grazie a un nuovo intervento di Angelo Rovati, ieri con uno di Pierluigi Borghini. Franco Bernabé ha risposto immediatamente a ciascuno dei due, chiudendo ad ogni ipotesi di scorporo della rete Telecom. Ma la banda larga é un acceleratore di sviluppo, e resta aperto il problema di come debba essere fatta, in quanto tempo eseguita, e da chi finanziata. Un problema solo dello Stato, ma anche di Telecom.

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