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Archivio per il Tag »azienda«

→  maggio 21, 2011


Che cosa deve fare un’azienda per essere in regola con la legge in tema di infortuni?

E’ un problema rilevante, sul piano giuridico e su quello economico, quello che la vicenda Thyssen pone, oltre alla commozione per un fatto così atroce, e alle polemiche per una sentenza così controversa.

La legge (art 2087 CC) che definisce l’obbligo a carico dell’imprenditore di garantire la sicurezza del lavoro é una norma «aperta»: l’obbligo si arricchisce via via di tutte le misure che la tecnologia offre e l’esperienza suggerisce, facendo riferimento allo standard più elevato praticato in un Paese dell’Unione, come ora precisa la norma comunitaria.

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→  aprile 2, 2011


Facciamo cordate e non cordoni.
Al sistema Italia serve un capitalismo più dinamico e meno protetto.


Che danni provoca all’economia del Paese una sua azienda che cambia passaporto? Evocata dalla vicenda Parmalat, la domanda richiama problemi di fondo del nostro capitalismo. Senza farsi scoraggiare dalle iniziative di un Governo che, ormai alla caccia di qualsiasi populismo, “libera la CdP su Parmalat”, vale la pena discuterne con quanti ne hanno ancora a cuore il futuro.

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→  maggio 1, 2007

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Tante erano state, nella vicenda Telecom, le preoccupazioni espresse, i pericoli prospettati, le tensioni prolungate, che si capisce il sospiro di sollievo che ha accolto un finale col sapore del déjà vu. Ma i turiboli no, quelli son proprio fuori luogo. Ora che il fumo dell’incenso si è un po’ dissipato, si può provare a trarre qualche conclusione.

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→  novembre 28, 2003

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Per evitare malintesi è meglio utilizzare «alienazione»

“La nuova agenda delle privatizzazioni”: sopra l’articolo di Franco Locatelli sul Sole di sabato, il titolo campeggiava a piena pagina. Con animo che mentirei se dicessi aperto alla speranza, mi accingo a leggere: e trovo che si parla della Cassa Depositi e Prestiti, della sua trasformazione in Spa, di “partecipazioni stabili” delle Fondazioni bancarie, di invito agli investitori istituzionali, di trasferimento di partecipazioni di Eni Enel e Poste. Si deve arrivare oltre i due terzi dell’articolo per trovare il min. Marzano che “ipotizza una progressiva riduzione delle partecipazione” in Snam rete e in Terna “fino a perderne il controllo”.

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→  aprile 18, 1999


Quando un aereo è in scandaloso   ritardo, quando un treno è im­provvisamente annulla­to, quando la burocrazia oppo­ne la sua stanca ottusità, in­somma quando un servizio non funziona, penso che l’u­tente debba adottare l’atteg­giamento di considerare chi gli sta di fronte – l’impiegato die­tro lo sportello, il controllore, l’assistente di volo – non come un dipendente ma come il rap­presentante dell’azienda, non l’ultimo anello della catena organizzativa, ma la personifica­zione del vertice.

La reazione dell’utente, di­cono i teorici dell’organizza­zione, è il solo mezzo per migliorare il servizio: quindi il cliente che «reagisce» svolge un ruolo socialmente utile. Bisogna dunque non prestare orecchio quando, di fronte a proteste di cui è impossibile non riconoscere la ragionevo­lezza, il poveretto o la malcapi­tata si difende protestando che la colpa non è sua…, che anche lui…, che il superiore…, che il regolamento… Come se l’utente, oltre a subire gli inconve­nienti del malservizio, dovesse anche perdere il suo tempo nei meandri delle responsabilità, nei labirinti delle matrici orga­nizzative.

Così quando il ministro Piero Fassino, intrappolato per ore in un aereo, ha protestato con­tro Alitalia in modo colorito («una bettola» secondo quanto riferiscono) ho applaudito. E quando l’altro ieri l’ammini­stratore delegato di Alitalia, ci­fre alla mano, indicava nel controllo del traffico aereo il principale responsabile del disservizio di cui ogni viaggia­tore è testimone e vittima, ho avuto conferma della mia teo­ria: protestare è un dovere ci­vico e più la catena di comando è lunga più forte bisogna grida­re. Alcune spiegazioni sono complicate: separazione verti­cale ed orizzontale, procedure e manovre di riattacco, angoli degli svincoli e interassi piste. Ma altre sono assai comprensi­bili anche ai profani: come quando veniamo a sapere che il controllo del traffico aereo è un ente pubblico, i cui dipen­denti sono inquadrati in 14 or­ganizzazioni sindacali.

Quando infine apprendiamo che questo ente risponde al mi­nistero dei Trasporti, quello stesso che, sempre per ragioni di rapporti sindacali, ha boc­ciato il piano di Claudio De-matte, presidente delle Ferro­vie dello Stato, per ridurne le perdite scandalose, allora tutto diventa assolutamente chiaro.

E sorge dalla memoria un ri­cordo, il famoso scontro che oppose proprio i controllori di volo al presidente Reagan nel 1981, all’inizio del suo primo mandato; per averla vinta Rea­gan non esitò a licenziarli tutti.

Nessuno auspica che da noi si applichino misure così dra­coniane, ma varrà la pena ri­cordare ai nostri governanti, ministro Treu in testa, che pro­prio con quel braccio di ferro iniziò una presidenza di ecce­zionale successo, in cui si mi­sero le basi dello straordinario boom economico americano, che ancora’oggi continua.

→  febbraio 1, 1993


Li chiamavano “scatole da scarpe”: erano grattacieli, i templi delle grandi corporations americane. Vertiginosamente alti, le modanature verticali a sottolinearne lo slancio ascensionale. Arditi, eppure solidi. Ma soprattutto monolitici, come monolitica era l’organizzazione che racchiudevano; organizzazione verticale, da salire piano dopo piano, nell’ambizione di “make it to the top”. Autosufficienti: tutto è dentro l’organizzazione, tutto il sapere e tutto il potere di decidere: quali prodotti fare, come venderli. Pareti riflettenti; da dentro si vede il mondo, ma il mondo, il mercato resta fuori: il mercato è una realtà che si può studiare, che si può conoscere ma che resta fuori dall’azienda. L’azienda ed il mercato sono due mondi distinti, il mercato è l’altro da sé. Le decisioni, soprattutto quelle del giorno per giorno, riguardavano essenzialmente la fabbricazione, erano basate sulle conoscenze che al palazzo arrivavano dalle fabbriche, ‘su ciò clic si riteneva di sapere sui costi di produzione.

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