Sull’ineleggibilità di Berlusconi e il Quirinale

marzo 24, 2013


Pubblicato In: Giornali, Huffington Post


Perché tirarla fuori adesso? La tesi della ineleggibilità di Berlusconi è in circolazione da diciannove anni, è stata confutata in diritto, respinta in Parlamento, superata nell’urna. In 7 elezioni politiche, milioni e milioni di italiani hanno trovato il nome di Berlusconi sulla scheda, e circa la metà di loro l’ha votato: tirarla fuori oggi è come accusare Romita dei brogli nel referendum del 1946. Se fossero solo gli irriducibili sodali di Micromega, li si guarderebbe come gli orleanisti dei salotti du coté des Guermantes. Ma quando si legge che anche un personaggio come Luigi Zanda si è unito all’appello, vien da chiedersi: perché adesso? Perché una persona come lui, abbastanza moderata e molto navigata, appena nominato capogruppo del PD al Senato, si sente in dovere di aderire a una proposta così bislacca?

Che l’antiberlusconismo con l’elmetto sia il collante che tiene insieme “i vari riformismi”, come li si chiama dall’epoca della gioiosa macchina da guerra, è risaputo: ma questo valeva quando c’era da convincere la sinistra del partito a votare personaggi un po’ indigesti, non dovrebbe essere necessario col PD di Bersani, che nelle sue alleanze e nella sua dirigenza si presenta arcigno e compatto come un partito socialdemocratico vecchio stampo. E’ per il timore provato con il recupero di un Berlusconi dato per spacciato? Ma chi la propone ben sa che la tesi è vacillante, e se il colpo va a vuoto, invece di piantare un chiodo nel cuore del vampiro e chiudere una volta per tutte la partita, si rischia di avvantaggiarlo.

Per ammorbidire i grillini? Questa, come la legge sul conflitto di interessi, è musica per le loro orecchie. Ma per loro la partita è delegittimare insieme “i due PdL”, quello con e quello senza la l. Per funzionare la battaglia in parlamento devono condurla su entrambi i due fronti, colpendo entrambi, senza favori e senza preferenze.

Ma questo vale quando si devono approvare o bocciare le leggi in Parlamento, vale quando si vota la fiducia al governo: vale meno quando, nel segreto del “confessionale”, si vota il nome del prossimo Capo dello Stato. Questa legislatura non durerà a lungo, invece chi va al Quirinale ci sta per 7 anni. L’obbiettivo della sinistra, intesa in senso lato, quella che ha il PD come sua espressione partitica, è di mantenere i reticolati a protezione della trincea che deve isolarli dalla specie antropologica berlusconiana. Per gli inventori dell’ “inciucio”, il pericolo da scongiurare a tutti i costi è che al Quirinale vada l’”inciucista” par excellence, Massimo D’Alema. Meglio Giuliano Amato, ma pur sempre un socialista, non si sa mai. Romano Prodi darebbe garanzie, ma considera molti come suoi nemici, così molti gli sono nemici, non è detto che passi. Bisogna evitare sorprese, trovare qualcuno che dia assoluta garanzia che la trincea non verrà smantellata.

E qui vien bene l’iniziativa di Micromega: tirata fuori dall’armadio, la vecchia questione dell’ineleggibilità è ottima per creare il clima in cui esaltare la maestà della legge e l’intangibilità della Costituzione, e quindi la richiesta di una persona che abbia questi riferimenti. Una persona fuori dal gioco politico per un clima antipolitico. Un PM alla presidenza del Senato è stata la prova generale, adesso si tratta di preparare la scena per la prima (e unica) rappresentazione. I nomi di Stefano Rodotà e di Gustavo Zagrebelski corrispondono perfettamente a questo profilo, non per nulla sono stati fatti per la prima volta proprio da Grillo. E allora li si faccia girare.

Sembrerà che sia per ammorbidire le posizioni dei grillini, per concedere loro qualcosa in cambio di un appoggio o di una non ostilità preconcetta al nascendo governo Bersani. In realtà è l’opposto: si tratta di ottenere quello che la loro antipolitica, il loro giustizialismo, offre gratuitamente. Se va bene, servirà a consentire a Bersani di staccarsi dalla riva e di iniziare il suo più o meno breve cabotaggio. Se va male, tra 20 giorni comunque si vota: per chi durerà 7 anni.

Che cosa poi succeda al Paese, come si riesca, con quella trincea che lo attraversa, a tirarlo fuori dal disastro in cui stiamo, è una questione che sembra non interessare.

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