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Sui licenziamenti sfido i tabù del Sindacato

Pubblicato il 22/07/1997 @ 17:59 in Giornali,Il Sole 24 Ore


Il piu’ definitivo e’ stato Cremaschi che, sulla proposta da me depositata in Senato in tema di licenziamenti, ha chiuso la discussione proponendo di radiarmi dalla maggioranza. Ma anche Trentin non scherza: mi accusa di “perfidia, volontaria o involontaria”.

Altre risposte sono indirette: parlare di licenziamenti sarebbe, per il Capo dello Stato, un’iniziativa “infelice”; per Cofferati rievocherebbe il Medioevo. Indirette perche’ la proposta di legge per una revisione delle norme sul licenziamento, che ho avanzato avvalendomi dei lavori di Pietro Ichino, ha coinciso con proposte piu’ incisive avanzate da alcuni esponenti di Confindustria: e la coincidenza non ha favorito la distinzione tra le proposte.
La coincidenza dovrebbe invece indurre a qualche riflessione: quando le norme non corrispondono piu’ alla natura dei rapporti sociali che le avevano dettate, quando si confrontano con crisi drammatiche, volerle considerare immutabili le trasforma in tabu’. Ed e’ nel destino dei tabu’ essere un giorno o l’altro travolti: quel giorno e’ tardi per aggiornarle razionalmente.
Questo e’ quello che Pietro Ichino ed io ci siamo proposti. Noi non introduciamo la “liberta’ di licenziare” per la semplice ragione che gia’ la norma attuale prevede il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, cioe’ per ragioni tecnico-organizzative. Queste consistono sempre nella previsione che il rapporto di lavoro sia destinato a produrre per l’impresa una perdita anziche’ un utile. Ma la legge non dice a quanto questa perdita debba ammontare perche’ il licenziamento sia giustificato, lasciando che sia il giudice a stabilirlo caso per caso. Noi proponiamo che questa soglia sia sottratta all’incertezza e sia stabilita per legge, in misura differenziata a seconda delle dimensioni dell’azienda e dell’anzianita’ del lavoratore. In particolare nella nostra proposta questa soglia e’ fissata ad un livello che e’ mediamente lo stesso previsto nei due ordinamenti piu’ severi d’Europa, quello spagnolo e quello tedesco: sei mensilita’ piu’ una per ogni anno di anzianita’ di servizio, riferite all’ultima retribuzione.
Sostenere che cio’ equivale alla liberta’ di licenziare e’ piu’ che una forzatura: significa non voler affrontare il problema. La nostra proposta da un lato richiede alle aziende di pianificare in anticipo le proprie esigenze, quantitative ma soprattutto qualitative, di manodopera; dall’altro offre al lavoratore una posizione piu’ certa e piu’ vantaggiosa per affrontare la crisi. Certa perche’ garantita dalla legge, e non solo dal prevalente orientamento giurisprudenziale. Vantaggiosa perche’ noi introduciamo il “preavviso lungo”: il lavoratore ha il diritto, se preferisce, di godere parte dell’indennizzo ( fino a 12 mesi) continuando a lavorare, ricercando una nuova occupazione in condizioni psicologiche e negoziali assai piu’ favorevoli.

Nella nostra proposta inoltre la tutela e’ estesa, sia pure in forma ridotta, ai lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, che oggi ne sono totalmente sprovvisti. Cosa di cui non sembrano essersi accorti gli autonominatisi campioni di solidarieta’ che ci hanno criticato.
Bisogna peraltro ricordare che accanto alle prese di posizione negative si sono registrate molte manifestazioni di interesse: una fra tutte quella di Gino Giugni, il padre dello statuto dei lavoratori; e come testimonia il dibattito sull’Unita’. Che la nostra proposta sia controversa e’ dovuto al fatto che essa non solo proviene dal centro sinistra, ma e’ condotta in nome di principi che attingono alle aspirazioni ideali del centro sinistra. Il principio di equita’, dato che noi proponiamo una redistribuzione delle tutele a vantaggio di chi oggi non ne dispone.
Il principio di razionalita’, dato che noi proponiamo di determinare la soglia su elementi oggettivi. Il principio di trasparenza e di democraticita’, dato che noi proponiamo che la determinazione della soglia consegua ad una decisione politica, e non sia demandata ad un giudice senza responsabilita’ politica.
Una forza politica che si vuole maggioritaria deve, per definizione, cercare di rappresentare l’interesse della maggioranza dei cittadini, non solo della minoranza dei tutelati. E’ un principio di legittimita’ democratica, non solo di calcolo elettorale.

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