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Stet cabli pure l’Italia, ma sul cavo niente televisione

Pubblicato il 18/06/1995 @ 16:56 in Giornali,Il Messaggero


La proposta di Ricardo Levi (‘Da aquila selvaggia un’idea per la Stet’, sul Messaggero), induce a riflettere sui lenti e tortuosi passaggi attraverso cui questo paese si sta abituando all’idea di mercato e di concorrenza. Non sono passati molti anni da quando il ministro Guarino proponeva di privatizzare vendendo azioni di Iri e di Eni; solo pochi anni fa l’idea che lo Stato (o i Comuni) potessero scendere sotto la fatidica soglia del 51 per cento era considerata eresia. Scegliamo il mercato per necessità: quando l’Iri è vicina alla bancarotta, quando abbiamo difficoltà a sottoscrivere il debito pubblico.

Giovedì scorso, in un convegno all’Università di Roma il presidente dell’Antitrust, Amato, affermava che oggi quella della liberalizzazione delle reti-cavo è questione decisiva per il futuro delle telecomunicazioni. Motivo di soddisfazione per chi nell’ autunno dello scorso anno, tra i primi credo, se ne accorse, ma anche di amara constatazione: la strada alla coscienza dei vantaggi dei mercati competitivi passa anche attraverso i disagi, i piccoli drammi personali delle migliaia di passeggeri colpiti da Aquila malata.
Levi giustamente ricorda che, quando la tecnologia apre un nuovo mercato, in questo caso la convergenza tra telefono e televisione, questo deve essere riservato ai nuovi entranti: se si lascia che lo occupi chi è già forte (o addirittura monopolista), non si avrà mai concorrenza. È ciò che si chiama regolazione asimmetrica. Ma questo vincolo non può durare in eterno: 10-15 anni pare un termine ragionevole.
Levi suggerisce che siano le aziende municipalizzate ad avere le concessioni (meglio autorizzazioni): e qui occorre qualche precisazione. Prima di tutto, che il territorio delle grandi città dovrebbe essere suddiviso in più aree, e le relative autorizzazioni affidate a più soggetti. E poi che l’operatore cavo non ha solo da realizzare gli impianti: deve inventarsi i bouquets di programmi, svolgere un sofisticatissimo marketing, acquisire i diritti di distribuzione dei contenuti (e magari promuoverne la realizzazione). Le aziende municipalizzate, che non si vede perché avrebbero dovuto sviluppare competenze di questo tipo, saranno partner interessanti e interessati a unirsi a operatori specializzati.
Quanto a impegnare Stet a stendere un secondo cavo, non mi sembra il tipo di decisione di cui si deve occupare il legislatore. Una volta stabilito che (per un certo numero di anni) Stet fornirà solo il servizio telefonico, e gli operatori cavo sia quello telefonico che quello televisivo (o multimediale), la decisione su quale sia il mezzo tecnico più adatto a svolgere il servizio nel modo migliore rientra nell’ambito delle scelte tecniche di ogni azienda.
E infine, con l’occasione, qualche ulteriore considerazione. Il progetto Stet di procedere al cablaggio delle città non impedisce solo la liberalizzazione dei servizi di Tlc, ma anche la privatizzazione di Stet.
Completato che fosse il cablaggio delle maggiori città, Stet sarebbe proprietaria dell’intero sistema nervoso del paese (ancor più se le fosse riuscito di acquisire anche qualche sistema di dorsali alternative, Fs o Autostrade): come è pensabile di trasferirne la proprietà a dei privati, quando praticamente nessuno altro avrebbe più convenienza a costruirsi reti alternative?
Stet sia investendo oltre 10 mila Mld in un’operazione che ha il solo scopo di proteggere il proprio monopolio oltre il 1998, la fatidica data in cui l’Unione europea ci obbligherà a liberalizzare. Questi investimenti sono finanziati dalla bolletta telefonica di tutti, mentre ne beneficeranno solo quelli che compreranno i nuovi servizi. Siamo obbligati a finanziare un investimento rischioso, senza che siano mercato e concorrenza a selezionare le scelte tecnicamente più valide ( in realtà sotto il nome generico di impianti cavo ci sono numerosissime varianti tecniche). Stet ci obbliga a scommettere sul fatto di riuscire a ‘blindare’ il monopolio.
Ci riuscirà? Perché un bel giorno viene un fatto apparentemente scollegato, il ‘mal di testa’ di qualche pilota; la consapevolezza che solo la concorrenza ci può dare servizi migliori a costi minori fa un altro passo avanti. L’accostamento che fa Levi, tra servizio telefonico e servizio aereo, merita di essere meditato: non solo dal comune lettore.

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