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Sostengo Pereira. E vi spiego perchè i numeri della Scala gli danno ragione

Pubblicato il 18/04/2014 @ 09:48 in Giornali,Il Foglio


Gelosie e ripicche, sgambetti e vendette, lotte e battaglie nel mondo della lirica ci sono sempre stati: i castrati di Haendel a Londra, Mozart e Salieri a Vienna, Rossini e Mayerbeer a Parigi, la Callas e la Tebaldi a Milano. I nobili sentimenti di eroi ed eroine diventano acuti e colorature di tenori e soprani, finiscono nella partigianeria degli appassionati: è il mondo della lirica. Ma il gran polverone che si è alzato intorno al nuovo sovrintendente della Scala prima ancora che passasse dalla nomina alla delega presenta caratteristiche diverse, quasi che fosse mosso da forze diverse.

Alexander Pereira, nuovo sovrintendente della Scala, una carriera stellare, otto anni al Konzerthaus di Vienna, venti all’Opera di Zurigo, tre al festival di Salisburgo, come vadano le cose nei teatri celebri lo sa bene. Sa che i grandi teatri sono anche grandi istituzioni, cittadine e perfino nazionali; che il successo non dipende solo da quello che scatta tra il palcoscenico e la platea (o il loggione), ma anche da quello che promana dal teatro e si diffonde nella città; che per un sovrintendente il rapporto con chi non va in teatro è tanto importante quanto il giudizio del frequentatore assiduo. Ma la violenta polemica scoppiata su Pereira la scorsa settimana non sembra rientrare in questi meccanismi.

Al fondo ci sono ovviamente anche questioni di carattere economico. Ci sono ragioni strutturali alla base del “dilemma economico” in cui si dibattono i teatri: l’ha detto William Baumol, e ancora lo citiamo (ma era mezzo secolo fa!). Quando la nuova produzione di un’opera costa sul milione di euro, le coproduzioni sono una necessità. A far la differenza è il teatro dove l’opera viene data in prima esecuzione: perché è lì che nasce l’idea dell’opera, gli altri teatri seguono e a volte accettano a scatola chiusa.
Erano in prima esecuzione a Salisburgo l’estate scorsa due spettacoli di rara perfezione, tra i più straordinari che ricordi, il Don Carlo di Pappano e i Meistersinger di Gatti. Assistendovi, tra noi italiani ci chiedevamo se e quando avremmo potuto vederli a Milano (qualcuno, più polemico, azzardava anche un “perché non li abbiamo fatti noi?”). Di quegli spettacoli il sovrintendente è ideatore e curatore, sceglie direttore, regista, cantanti, lo segue dal progetto alle prove. Il fatto che il sovrintendente del più famoso festival del mondo diventi sovrintendente del più famoso teatro del mondo, rappresenta da questo punto di vista un’occasione unica, si ottiene una sorta di prolungamento della prima ottenuto al prezzo di una ripresa: quei due allestimenti a Salisburgo sono costati quasi 2,5 milioni, la Scala con mezzo milione li avrà entrambi. Il Lucio Silla e il Falstaff sono costati a Salisburgo 1.660.000, la Scala li avrà per 190.000. Pereira pensa di arrivare a 7 nel triennio, con un Rosenkavalier, un Trovatore e “Finale di partita” di Gyorgy Kurtag, forse il più importante compositore contemporaneo. Quest’ultimo dovrebbe essere lo spettacolo di chiusura dell’Expo, e Pereira è fiducioso di ottenere dall’autore una scena scritta apposta per l’occasione. Salisburgo è sempre stato un “fornitore” abituale della Scala, Stéphane Lissner ne ha acquistato 4 produzioni in 4 anni e mezzo.

Nel triennio 2012 – 2104 , tra opere e balletti, la Scala ha dato 13 nuove produzioni in prima rappresentazione, 20 coproduzioni, 22 lavori di repertorio, per un totale di 55 titoli. Il piano di Pereira è di salire nel triennio a un totale di 64 titoli, portando a 22 le nuove produzioni in prima esecuzione: sempre che le strutture produttive della Scala ce la facciano a reggere un aumento così rilevante. In caso contrario si dovrà supplire con maggior ricorso a nuovi allestimenti fatti da altri teatri e a riprese.

Per eseguire bisogna avere gli esecutori: grandi direttori e grandi cantanti vanno ingaggiati con largo anticipo. È il nuovo sovrintendente che deve pensare al prossimo cartellone, deve quindi partire subito a impegnarli. Massimamente deve farlo il sovraintendente in una Milano alla vigilia dell’Expo, dato che oltre a creare il nuovo cartellone dovrà presentare la città come capitale culturale del mondo. Ovunque, tranne che in Italia, il nuovo sovrintendente ha da subito i poteri per farlo: quindi alla Scala per ingaggiare più di 100 tra artisti e registi si è dovuto ricorrere a documenti firmati da Stéphane Lissner e siglati da Alexander Pereira. La burocratizzazione è malattia italiana, abbiamo sentito riconoscere di recente, alla Scala pare si raggiungano vertici di perversa perfezione.

Ma nella polemica divampata sul nuovo soprintendente di tutto questo quasi non si è parlato. Si è invece parlato di Pereira che con una mano vende e con l’altra compera gli spettacoli che ha fatto a Salisburgo: ma le lettere del Festival sono firmate dalla Presidentessa e da un membro del Direttorio e non da lui, e quelle della Scala firmate da Lissner e da lui controfirmate. Si è parlato di Pereira che mette a posto i buchi di bilancio che avrebbe lasciato: ma il bilancio del Festival è attivo per 400.000€. Si è parlato di importi favolosi con cui Milano sovvenzionerebbe Salisburgo: ma tutto deriva da un errore, evidente a prima vista, della Presidentessa del Festival che ha dato l’ammontare di tutte le coproduzioni di prosa e di lirica con tutti i teatri, e non solo di quelle con la Scala. Si è parlato di Pereira che svuota la Scala: ma in 3 anni il numero delle coproduzioni fatte da altri scendono da 20 a 19 e quelle proprie salgono da 13 a 22.

C’erano tutte le ragioni per consigliare prudenza nel raccogliere le voci, cautela nell’amplificarle, attenzione nel verificarle. Ma a qualcuno è parso vedere il conflitto d’interessi e ci si è buttato sopra: per vestire i panni del moralista, o per “buttarla in politica”? Gli interessi di solito collaborano, anzi è così che va avanti il mondo; e quando possono confliggere ci sono mezzi per evitare che facciano danni. Il moralista invece diffida dell’interesse in quanto tale, sospetta della sinergia; nel suo mondo piatto il conflitto di interessi è il marchio che distingue i giusti dagli ingiusti. Poi, da vent’anni, il “conflitto di interessi” ha preso le virgolette, si è dato un ambito semantico più specifico, a connotare l’essenza del berlusconismo: è diventato il demonificatore assoluto. Berlusconi sarà anche andato al Nazareno ma il berlusconismo è sempre tra noi, è una categoria dello spirito: il “conflitto di interessi” serve per ricordarcelo.
Chi ha altre categorie, e pensa che immorale sia cantar male, o mettere in scena spettacoli sciatti, spera solo che Pereira ci porti i suoi Don Carlo e Meistersinger. Tra loro e chi rischia di farglieli saltare non può che esserci, chiaro ed esplicito, il conflitto. Quello coi loro interessi.

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