Sinistra silente

febbraio 18, 2004


Pubblicato In: Giornali, Il Foglio

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Bersani, Letta e Debenedetti spiegano perché l’Ulivo non cade nella “trappola” di Maranghi

Roma – Né sulla lettera di Vincenzo Maranghi. Né sulla replica di Antonio Fazio.
Come non ci fossero mai state, per il centrosinistra. Non una delle figure di spicco dell’Ulivo ha ritenuto di commentarle. In alcun modo. Ma perché?

Pierluigi Bersani non ha esitazioni. “Ci siamo dati una linea precisa. La vera partita oggi è scrivere regole chiare affinché non si ripetano vicende come Parmalat e Cirio. E’ quella la priorità. Aprire processi su una vicenda chiusa, sia pure rilevante come quella che riguarda Mediobanca, rischia di sviare. Se non addirittura di essere per taluni una foglia di fico”. Ma come, non ha rilievo appurare se il governatore ha mentito, proprio su un punto centrale delle sue prerogative come un presunto attacco straniero? “Se qualcuno chiede un approfondimento, si faccia. Ma ho l’impressione che il succo sia che Maranghi tentò di scalarsi, per liberarsi dei pessimi rapporti che aveva con alcuni suoi azionisti. E che questi allora scalarono lui, mettendolo alla porta. Rispetto a questo, le regole da scrivere a tutela del mercato e del risparmio vengono prima. E devono essere regole condivise, bipartisan, intervenire nell’intera materia dei controlli interni alle imprese, nella corporate governance, sui revisori, sui conflitti d’interesse tra banche e imprese. Il progetto di legge che abbiamo presentato come Ds ha uno spettro molto più ampio del disegno di legge del governo. Ma siamo pronti a un confronto serio con la maggioranza. Per dire, sui poteri delle Autorità noi siamo perché anche in materia bancaria le concentrazioni spettino all’Antitrust. Sopprimiamo Isvap e Covip. Ma le tre Autorità restanti devono cooperare, serve come interlocutore una commissione parlamentare bicamerale. Non serve invece il Cicr che propone il governo, che porta a indebite intromissioni. Quanto al governatore, siamo per l’incarico a tempo, ma stabilito nell’ambito dell’autonomia statutaria di Bankitalia. Su questo siamo pronti a discutere appena finisce l’indagine parlamentare”. Enrico Letta conferma. Meglio non cadere nelle contrapposizioni. Né in quella Maranghi- Fazio né in quella Fazio-Tremonti. Ma rispetto a Bersani aggiunge una preoccupazione, e azzarda un pronostico. La preoccupazione è che il sopraggiungere delle elezioni renderà impossibile la convergenza bipartisan sulle nuove regole da scrivere. E il pronostico è che sia in fondo proprioSilvio Berlusconi, a preferire così. “Berlusconi ha seguito una linea diversa da quella del ministro dell’Economia. Una Sarbanes-Oxley italiana, che tornasse a indurire le pene e rendesse più penetranti controlli e garanzie, al premier è estranea per natura e vocazione. Per questo ha bloccato ogni ipotesi di decreto legge. Oggi, adottando in prima persona toni aspri da campagna elettorale, mira evidentemente a impedire ogni possibilità che in Parlamento di qui ad aprile possa maturare quella convergenza tra maggioranza e opposizione senza della quale nuove regole non si scrivono”.

Le simpatie uliviste di molti banchieri
Franco Debenedetti, senatore ds ma libero battitore, può permettersi qualche libertà di analisi in più. “Bersani e Letta hanno ragione. Ma se la sinistra tace su Mediobanca e non è interessata a riaprire la partita pro Maranghi ci sono anche ragioni che sarebbe sciocco negare. La prima è che in quel filone erede degli amici del Mondo e più attento alle regole del mercato, Mediobanca non era più da tempo la gloriosa trincea opposta alle indebite intromissioni della politica. Era la sintesi di tutto ciò che nel capitalismo italiano restava di antimoderno, il salotto buono, i patti di sindacato e le grandi famiglie. La seconda ragione è che alla sinistra non piacque per nulla, esploso il contrasto con le banche sue azioniste, l’arrocco che piazzetta Cuccia tentò sull’asse Mediolanum-Generali. Ennio Doris è socio di Berlusconi, non è che la cosa potesse piacere. E c’è poi una terza ragione, ancora più penetrante. In fondo, quella decisiva”. Sarebbe? “Non mettiamo la testa sotto la sabbia. Alcuni dei banchieri che hanno avuto un ruolo di primo piano nell’attacco a Mediobanca non nascondono le proprie simpatie per l’Ulivo. Altri, penso a Roma, hanno una storia e una parabola propria, ma alla sinistra conviene tenere buoni rapporti. L’attacco a Mediobanca può benissimo essere avvenuto secondo le circostanze rivelate da Maranghi. Ma quel che conta è che la Mediobanca di Cuccia da tempo non era più quella di prima. Il suo potere si era diffuso in tutte le maggiori banche italiane. Tanto è vero che gli industriali italiani negli anni Novanta sono entrati nei consigli d’amministrazione di tutte le banche che poi alla fine fecero lega contro Maranghi”. Ed è stato Fazio, il regista di questo nuovo potere? “A giudicare dai sì e dai no decisivi che ha pronunciato negli anni è diventato Fazio il nuovo Cuccia. Con la differenza che il governatore di Bankitalia gode di prerogative assai più vaste, rispetto a Cuccia. Perciò se ora anche questo capitolo si chiuderà e si andrà verso un sistema meno opaco, sarà per effetto di regole nuove, non per un processo su Mediobanca”.

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