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Se Telecom non si fa catturare dalla rete della politica

Pubblicato il 18/02/2009 @ 11:31 in Articoli Correlati

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di Orazio Carabini

Per il momento la domanda di servizi che hanno bisogno della banda da ioo mega non esiste. E per molti anni ancora tutto quello che serve alle famiglie e alle imprese si potrà fare con la banda da 20 mega. Investire adesso nella rete di nuova generazione non avrebbe senso». Franco Bernabè ha spiegato così, a chi l`ha incontrato nei giorni scorsi, la sua secca presa di posizione sull`ipotesi di scorporare la rete di telefonia fissa di Telecom Italia.

Il Ceo del gruppo telefonico era infatti convinto che l`accordo raggiunto con l`Autorità delle Comunicazioni (Agcom) su Open Access, la divisione di Telecom Italia che gestirà autonomamente la rete, segnasse la fine del dibattito.

Che invece ha ripreso quota con le iniziative del Popolo della Libertà, corroborate dall`intervista al Sole 24 Ore di Angelo Rovati, ex-consigliere di Romano Prodi. Perché proprio ora? «Scavare le buche e riempirle», consigliava John Maynard Keynes per battere la recessione.

E non è un caso se Bernabè, che ha una formazione da economista, ha evocato Keynes. Il suo sospetto è che a premere per la rete di nuova generazione siano soprattutto le imprese che dovrebbero costruire e attrezzare la In questa fase di congiuntura negativa la prospettiva di realizzare un`opera colossale raccoglie facilmente il sostegno entusiasta di chi combatte tutti i giorni con budget sempre più striminziti e ordini in calo.

Ma i propugnatori dello scorporo, che non sono solo di centrodestra (vedere l`articolo diFranco Debenedetti sul Sole 24 Ore del 13 febbraio), raccontano un`altra storia.

Per loro il problema vero è che, indebitata com`è, Telecom Italia non avvierà mai il progetto Ngn, la rete di nuova generazione. Occorre pertanto guardare oltre e dare una prospettiva sia alla società sia alla rete, per il bene dell`economia italiana.

Lo scorporo risponde, in quest`ottica, al duplice obiettivo.

Telecom incasserebbe dei soldi e potrebbe attrezzarsi per competere al meglio e per espandersi sui mercati internazionali.

La rete, conferita a una società autonoma, potrebbe investire nelle tecnologie del futuro.

E normale che la politica si interessi di un`infrastruttura importante come la rete delle telecomunizioni. Non c`è nulla di sconveniente se esponenti del Pdl, nei convegni e nei dibattiti parlamentari, sostengono la necessità di scorporarla da Telecom Italia per farne una società autonoma.

Così come era legittimo nel 2006 che ministri del centrosinistra si ponessero lo stesso problema.

Va tutto bene. Purché si parta dal presupposto che Telecom Italia è una società privata (al ioo%), che è quotata in Borsa e che la rete di telefonia fissa è di sua proprietà.

Può essere stato un errore, dieci anni fa, privatizzarla così com`è, con una rete che, finito il monopolio, è utilizzata da tutti i concorrenti. Ma questa è la realtà di oggi.

E la reazione di Bernabè è comprensibile. Per lui la partita è chiusa. Lo scorporo della rete lo può solo imporre l`Agcom che però ha appena accettato gli impegni di Telecom Italia su Open Access. A questo punto può essere soltanto la società, quindi l`ad e il consiglio di amministrazione, a prendere una decisione di questo tipo. Che, eventualmente, dovrebbe essere ratificata anche dall`assemblea degli obbligazionisti, oltre che dagli azionisti.

Ma Bernabè ha altri progetti.

La sua idea è di estendere la copertura dell`Adsl a 20 Mega e di introdurre la Ngn man mano che si renderà necessario.

Sempre, però, con un vincolo: raggiungere le aree dove la domanda giustifica l`investimento.

La partita tuttavia non si può considerare chiusa. Nei prossimi giorni Francesco Caio presenterà il suo piano per la banda larga. Che, secondo le indiscrezioni finora circolate, suggerisce lo scorporodi una parte dell`infrastruttura di telefonia fissa di Telecom Italia.

Finora il governo non si è esposto. Di sicuro nessun ministro ha voglia di spendere qualche miliardo di curo, sia pure attraverso la Cassa depositi e prestiti, per “nazionalizzare” la società della rete in questa fase congiunturale.

Il presidente dell`Antitrust Antonio Catricalà ha già fatto capire, in un`audizione parlamentare, di non vedere di buon occhio una Rete spa in cui fornitori e gestori si ritrovano tutti insieme e magari ne approfittano per “coordinarsi”.

Bernabé ripete che l`epoca delle Partecipazioni statali è finita e che ogni intrusione della politica nelle scelte della società va respinta. Ma le parole d`ordine quali italianità, ammodernamento e indipendenza della rete torneranno all`ordine del giorno.

Con il rischio che l`azienda debba scontrarsi, come è già accaduto in passato, con la politica. E che tocchi ai maggiori azionisti una difficile mediazione.

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