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Scuola, ripensare al voucher

Pubblicato il 24/08/2008 @ 12:35 in Giornali,Il Sole 24 Ore

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Il dibattito sulla proposta dei voucher si allarga

Il modello applicato in Svezia è l’unico che ha dato risultati positivi in Occidente: il cardine è la libertà delle famiglie. L’idea di una macchina fondata sull’uniformità non garantisce più la meritocrazia. A Londra c’è chi pensa di abbandonare gli A-level

Abbiamo una costituzione che devolve alle regioni poteri amplissimi, ci stiamo avviando a dar loro anche propria capacità impositiva: eppure tutti quelli che parlano di scuola la vogliono una e indivisibile e, se non eterna, lentamente mutante. L’uniformità è un assioma indiscusso sia per chi denuncia i fallimenti della scuola, sia chi indica le strade per ricostruirla. Ne è esempio un recente dibattito sul Corriere della Sera, in cui l’intellettuale esige che la scuola abbia “al suo centro un’idea, una visione generale del mondo”; il Ministro dell’Istruzione si accontenta di incominciare dal grembiule unico, quello dell’Economia vuole che il libro di testo, tramandato di fratello in fratello, sia elemento di coesione per le prolifiche famiglie italiane.

Se i lamenti si ripetono, e i rimedi risultano inefficaci, sembra logico chiedersi se ad essere sbagliato non sia proprio l’assioma di chi accusa e di chi (si) difende; se, tra le cose da smantellare, non ci sia prima di tutto l’idea che l’uniformità debba essere la caratteristica di questa immensa macchina (costa circa il 10% di tutte le Amministrazioni Pubbliche, e conta un milione e trecentomila addetti). Uniformità di comportamenti (anche esteriori come il grembiule), di insegnamenti, di criteri di valutazione.

Si era soliti prendere ad esempio l’Inghilterra e il suo sistema degli A-level, test scritti, uguali in tutto il Paese, valutati da un sistema centrale che non conosce né studenti né insegnanti. Mentre da noi c’è chi (Andrea Ichino, ad esempio) vorrebbe adottarlo, chi l’ha inventato pensa di abbandonarlo (UK Schools Need Swedish Lessons, Financial Times, 14 Agosto): infatti anche lì i risultati in termini di competenze, misurati su standard internazionali, sono miserevolmente bassi, i voti negli A level hanno smesso di differenziare: e se i risultati sono uniformi, la scuola non funziona più come ascensore sociale. Se non è la scuola a fare la selezione dei migliori, continuerà a farla l’ambiente di origine; aumenterà la distanza tra le classi di reddito; avrà dichiarato fallimento il principale strumento per garantire uguali condizioni da partenza.

E’ già un errore logico cercare una misura di efficienza unica per tutti, valida per governo e regioni che allocano le risorse, per le scuole che le usano, e per gli allievi che ne sono i destinatari. I tre soggetti sono portatori di interessi diversi, non può esserci un criterio che funzioni per tutti e tre. Bisogna partire da una scelta: al primo posto devono esserci gli allievi e le loro famiglie, che anche in campo educativo devono avere le possibilità di scelta che hanno in tutte le altre decisioni della vita. Bisogna offrire loro opzioni differenziate, informate, concretamente disponibili.

• Aumentare la varietà: chiunque voglia mettere su una scuola, e dimostra di essere all’interno di alcuni parametri minimi, dovrà poterlo fare; anche nelle scuole finanziate dallo Stato, il preside (i provveditorati scolastici non avranno più ragione di esistere) avrà completa autonomia nella definizione dei programmi, nell’assunzione degli insegnanti, nella loro retribuzione. La valutazione su metodi, contenuti, programmi la faranno le scuole di grado superiore, con test di ingresso. Bisogna passare dalla logica degli esami in uscita (la scuola che valuta), alla logica degli esami in entrata (la scuola che si fa valutare).

• Disporre di informazioni: se un bene è richiesto, ha valore, qualcuno vorrà fornirlo. Rispetto ai brandelli di informazione racimolati oggi qua e là, anche solo una “Michelin delle scuole” sembra un sogno.

• Dare possibilità di scelta: il sistema si basa sui voucher o su crediti d’imposta, che i genitori possono spendere nella scuola di loro scelta. Questo è il perno di tutta la riforma: la concorrenza non esiste se non c’è reale libertà di scelta da parte dei consumatori. Dare solo alle famiglie più disagiate la possibilità di mandare i figli in scuole private, come ha fatto le Ragione Lombardia, risponde ad obbiettivi, anche condivisibili ma diversi: è altra cosa dalla riforma del sistema.

Un sistema siffatto non sarebbe di aggravio al bilancio dello stato (la tornata di riforme costituzionali può essere l’occasione per precisare l’interpretazione corretta dell’art. 33 della Costituzione se mai qualcuno volesse brandirlo per bloccare la riforma). Non prevede brutali tagli di organico, anche se la facoltà data alle scuole di decidere gli stipendi degli insegnanti porterà a confronti con i sindacati…

Non si tratta di teorie. Quello descritto è il solo modello esistente in Occidente che ha dimostrato di funzionare: la Svezia, che l’ha adottato, ha migliorato sia il livello medio delle scuole, sia il livello assoluto delle scuole più deboli. Anche con i recenti Governi conservatori, la Svezia difende un sistema di welfare tra i più completi e generosi d’Europa: quindi il sistema dei voucher, una volta una delle bandiere del nostro centrodestra, potrebbe rimanerlo anche nell’epoca della sua involuzione socialdemocratica. La maggioranza deve chiedersi se vuole usare l’eccezionale situazione parlamentare per sopravvivere navigando nella crisi economica, o se vuole lasciare il segno di una riforma che incida alla radice su una delle cause strutturali dei modesti risultati di crescita del prodotto e della produttività dell’ultimo decennio.

Una riforma del genere ha bisogno del consenso anche del centrosinistra: infatti richiederà molti anni per dispiegare le proprie potenzialità. Ci vorranno anni per passare dal considerare un disvalore la libertà di insegnare e di apprendere, a promuoverla a pilastro dell’insegnamento; anni perché emergano le competenze necessarie ad attuarlo; anni in cui ci saranno resistenze da vincere. Come tante volte nella sua storia, il centrosinistra si trova di fronte al bivio: da un lato la strada della conservazione, a protezione degli interessi costituiti; dall’altro quella dell’innovazione, diretta a fornire a tutti i meritevoli un ascensore sociale realmente funzionante.

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