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Scelte coraggiose in tempi rapidi

Pubblicato il 02/02/1995 @ 11:07 in Giornali,La Stampa


Caro Direttore, trovo legittimo che l’opposizione cerchi di evitare il confronto in un momento particolarmente sfavorevole, come sarebbe stato se si fosse andati a votare a marzo. Ma il punto è avere ragioni chiare per farlo, che l’opinione pubblica possa comprendere come valide di fronte all’appello alle urne della destra che, ammettiamolo, ha una sua forza.
Conviene, dunque, domandarsi se per le opposizioni il proposito di spostare in avanti il Momento del confronto elettorale si riveli davvero utile per conseguire l’obiettivo strategico che, non dimentichiamolo, è in primo luogo quello di battere la destra alle prossime elezioni.

Vediamo allora che tipi di ragioni dare al rinvio.
1) Dire che occorrono tempi lunghi per consentire alle forze dell’opposizione di riannodare i loro fili. Non mi sembra che offrirebbe grandi garanzie agli elettori. Inoltre, se uno dei problemi è la scelta del ppi, non è detto affatto che il tempo aiuti, visto quello che l’onorevole Buttiglione dice con chiarezza di giorno in giorno. E visto che Fini è pronto nel tempo a battere in popolarità un Berlusconi calante.
2) Invocare superiori interessi nazionali, innanzitutto il risanamento e l’immagine dell’Italia sui mercati. E’ una ragione che una classe seria di governo dovrebbe anteporre a tutto. Attenti però: la manovra di I per cento del Pii annunciata da Dini è un puro tampone, mentre analisti americani hanno riconosciuto che effetto assai migliore verrebbe da elezioni che dessero un responso chiaro, affidando un mandato di stabilità economica a una parte coesa. E’ meglio dirlo chiaro: si metterebbe meglio in sesto il Paese se, votando prima, vincesse chi ha a cuore il tenia.
3) Veniamo all’argomento principe, le regole: senza regole diverse, si dice, non si può andare a votare. E si pensa in primo luogo alla legge elettorale ed a quella sull’emittenza televisiva. Sull’argomento sia l’elettorato sia le forze parlamentari sono divise a metà: ci si deve allora chiedere se il poter disporre di regole diverse guadagni all’opposizione più consensi di quelli che rischia di farle perdere l’accusa di voler usare in modo strumentale argomenti che dovrebbero essere ispirati solo a criteri di equità. Le regole non devono apparire mirate a mettere Berlusconi fuori gioco. Se si darà questa impressione Berlusconi si atteggerà a vittima e sino ad oggi i sondaggi dimostrano che ciò gli guadagna consensi.
Se si vogliono evitare i rischi di un tale percorso, bisogna che il tema delle riforme venga riportato al livello che gli è proprio, cioè quello di un problema la cui soluzione interessa tutte le parti politiche. Quindi in primo luogo dando assicurazioni che non si intende usare il tema delle regole come pretesto per rinviare il confronto elettorale, limitando il discorso a temi compatibili con tempi stretti.
In secondo luogo individuando i punti di una possibile convergenza di interesse per entrambe le parti. La frattura che oggi divide il mondo politico nasce da un equivoco non chiarito sulle implicazioni che il voto maggioritario ha sulla stabilità dell’esecutivo, sulle conseguenze della rottura di patti elettorali: il permanere di tali equivoci non è certo nell’interesse del Paese, ma neppure dello stesso Berlusconi, che non può essere sicuro che essi non si riproducano in futuro. Un imperfetto bipolarismo, che è lungi dall’essere bipartitismo, ha in sé le cause del riprodursi dei «tradimenti» di cui Berlusconi si lamenta.
E’ proprio illusorio pensare che si possa trovare un accordo su una delle tante varianti del doppio turno elettorale con indicazione del premier? Analogamente, Berlusconi non può ignorare il danno che il problema del conflitto di interessi ha causato alla sua immagine ed alla sua credibilità internazionale: da quando è stato eletto non c’è stata praticamente settimana che su questo tema non venisse attaccato dalla più qualificata stampa estera. Così per il problema dell’emittenza televisiva, che è oggetto di referendum, che può vedere interventi di autorità anti-trust italiane e comunitarie: è dubbio che sia preferibile per Berlusconi avviarsi su una strada non priva di incognite, piuttosto che concordare su un percorso la cui tendenza generale è sufficientemente chiara.
L’elettorato recepirà favorevolmente il tentativo di riequilibrare una disputa che vede un’eccessiva enfatizzazione del tema dei mezzi rispetto ai contenuti del messaggio, di individua-re soluzioni che riducano dal lato della maggioranza l’ossessione accaparratrice, da quello dell’opposizione la sindrome da assedio.
Si tratta, è evidente, di un sentiero strettissimo: ma è anche, a mio avviso, il solo percorribile dalla sinistra per evitare che il tema delle riforme le si ritorca contro come un boomerang. Si dirà: è puro illuminismo, la destra non abbasserà certo i toni dello scontro. In tal caso, Berlusconi dovrà però fare lui i conti con quella parte dell’elettorato moderato e ragionevole che lo ha eletto.
In conclusione, se le opposizioni si dessero una iniziativa politica chiara, cadenzata su tempi stretti, esse sarebbero meglio in grado di presentarsi agli elettori come una coalizione coesa. Che poi molto altro resterebbe da fare, se questa fosse la premessa, da una riarticolazione verso il centro-sinistra all’individuazione di un leader credibile, non mette conto qui parlare. Sarebbe già molto assumere il presupposto che si può vincere meglio facendo scelte coraggiose in tempi rapidi che annacquandole in tempi lunghi.

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