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Scarfiotti: dalla Fiat a Rossfeld

Pubblicato il 05/11/2018 @ 18:11 in Libri,Miei scritti e prefazioni


Paola Rivolta,
Scarfiotti
Dalla Fiat a Rossfeld
Liberilibri, Macerata, 2018-10-28

Presentazione
Torino, Museo dell’Automobile, 6 Ottobre 2018

“Questo libro parla di Fiat, di Agnelli, di Torino, tante cose che lei conosce: venga a presentarlo”, mi disse l’editore. Data la stima e l’amicizia che ho per Aldo Canovari, nonostante continui a crescere la montagna di libri che dovrei leggere perché trattano delle cose di cui mi occupo, ho detto di sì. Che questa chiacchierata diventi lo srotolarsi di un Amarcord era non solo previsto ma quasi voluto.
E quindi per mettere in atto una clausola di salvaguardia, come si dice, vorrei subito assolvere allo scopo di ogni presentazione: dare un giudizio sul libro e l’autore, e invogliare a compralo, leggerlo, comprarne un altro e regalarlo.
E’ un gran bel libro, preciso e appassionante. Soprattutto è scritto bene. Un esempio tra tanti:
a pag. 241, parlano della ricostruzione del Paese dopo la guerra, l’inizio di quello che sarà poi il “miracolo italiano”, Paola Rivolta ricorda:
La ricostruzione della nazione deve ricominciare dalle attività produttive indispensabili a dare una base concreta base economica alla speranza. Contemporaneamente è necessario ricostruire le abitazioni quella materiale partire.
Ed ecco l’osservazione insolita:
Ora che mancano servizi indispensabili come l’acqua e l’energia elettrica nelle città come nei casolari dispersi, ora che le strutture scolastiche e sanitarie sono insufficienti ovunque si ha generale contezza del degrado dell’Italia. Ciò che in molti territori mancava da sempre è percepito come vuoto lasciato dalla distruzione bellica. Crudele de iniqua sottrazione di ciò che non è mai stato. Sono gli esiti della guerra a rendere palesi, per la prima volta in modo inequivocabile, ritardi e povertà secolari.

Ora il paese è cresciuto, infinitamente più ricco, e strutturato; ma sembra aver perso quella determinazione, quel consenso spontaneamente formatosi su ciò che si deve fare, che le parole di Paola rendono in modo così preciso.
Lo ricordo bene lo spirito di quegli anni. Era agosto quando ritornammo in Italia dalla Svizzera che ci aveva accolti come rifugiati, le bombe avevano distrutto la fabbrica di mio padre. La ricostruzione, vendere un po’ di materiale salvato nei magazzini, e gettare i pilastri uno dopo l’altro, e riparare le macchine, e ritrovare gli operai di prima.
Le bombe avevano fortemente danneggiato anche l’alloggio che affittavamo in Corso Oporto 26, e presto diventato Matteotti 26. “Cola ca’ là cha l’ha qule colone là”, dove saremo restati fino all’inizio degli anni ’50. Umberto, compagno di classe di mio fratello al San Giuseppe (che tra l’altro frequentavano pure i ragazzi Biscaretti), e le sue moto – una Sunbeam e una BMW, su cui a volte mi dava un passaggio. Le avventure amorose di Gianni, di cui raccontava Scapolla, il parrucchiere che veniva a casa. E gli eventi tragici: il feretro di Donna Virginia nell’androne.
La storia di cui si parla nel libro è anche la storia di quegli anni, di crescita delle industrie, dei consumi, della motorizzazione. Il Cucciolo con cui Ludovico quasi vinse la sua prima gara (arrivò secondo per aver finito la benzina). Ho ancora nelle orecchie il motivett della canzoncina: “Se vuoi venir con me, ti porterò sul Cucciolo…..”. A casa nostra le moto resteranno tabù. Lui, Ludovico, ben presto correrà in montagna con le OSCA a distribuzione desmodromica, io tiravo il collo alla 600 (nata nel 1955) con marmitta Abarth in azzardati sorpassi ai camion sulle curve della Fossano – Savona per andare nella villa dei miei amici Buzzi a Celle.

E così siamo in pieno Amarcord, favorito anche da singolari “appuntamenti tra generazioni” come direbbe Benjamin. Io sono coetaneo di Ludovico, 1933, gennaio io, ottobre lui. Non solo, suo padre Luigi, figlio del Ludovico senior, il primo presidente della Fiat, è del 1891, mio padre del 1892. Entrambi al Politecnico, entrambi richiamati, si laureano da reduci nel 1921 in ingegneria meccanica.
“Appuntamenti” ancora più singolari. Dopo la laurea mio padre va a lavorare dal cav. Giovanni Martina, che nel 1895, quattro anni prima della fondazione della FIAT, costruisce la prima macchina italiana a quattro ruote con motore a scoppio bicilindrico, che chiama Wagonette, di cui ho una foto a casa. Curioso che il libro (pag34) dica la stessa cosa dell’ing Lanza, che aveva una fabbrica di candele (che fusa con la Mira, diede luogo alla Miralanza). Forse uno era il finanziatore, l’altro il fabbricante.

Si parla naturalmente tanto di Fiat. La crisi del 2007 e il famoso processo per aggiotaggio che vide incriminato e poi assolto Ludovico Scarfiotti e Giovanni Agnelli (entrambi senior), è qui per la morte tragica del primo. Perché all’origine e alla fine di questa storia stanno due morti tragiche. Il nonno suicida e il nipote che va incontro alla morte, entrambe per una sorte di coerenza alla propria natura.
Ma anche della cultura, della razionalità tecnologica necessaria per la produzione di serie, che si inserisce nella cultura disciplinata di un ducato, poi regno. Quello si arricchisce vendendo cavalli e fornendo generali, questo con auto e ingegneri.
Cultura anche in un senso più specificamente tecnico, cultura dell’organizzazione del lavoro (fordista, appunto). E qui ritorna l’Amarcord: perché quando, nel 1964, fu necessario costruire per la Compagnia Italiana Tubi Metallici Flessibili il nuovo stabilimento all’imbocco dell’autostrada Torino Milano, per la progettazione ci rivolgemmo alla Fiat Costruzioni, quella di Bonadè Bottino. Fu il mio PhD, la prima della dozzina circa di fabbriche che costruii. Progettazione dell’edificio e delle lavorazioni che vi si svolgevano: e quindi “tempi e metodi” controllo statistico di qualità, la prima automazione.
Cultura in senso sociologico, la formazione di una piccola aristocrazia di imprenditori, fornitori FIAT (come prima si diceva della real casa). Carlo De Benedetti che diventa Amministratore della FIAT ne è il simbolo. Come la sua uscita dopo 100 giorni è dimostrazione di una (non comune….) autonomia e voglia di indipendenza. E come lo sono per me, per altri versi, i due anni che passai in FIAT, i migliori della mia via lavorativa.
Di quanto sia stato complesso e multiforme il rapporto con la FIAT è testimonianza anche la diffidenza di Enzo Ferrari verso Scarfiotti per la lontana parentela, via i Bourbon del Monte, con gli Agnelli, e con uno che non doveva lavorare per vivere.

Il libro si snoda tra due morti, e la morte vi è sempre presente: lo stillicidio degli incidenti fatali, i nomi degli idoli delle folle, quasi tutti morti. Morti anche tra chi andava a vederne le gesta: 80 persone nel solo disastro di Le Mans del 1955. In seguito all’incidente, molte gare della stagione furono cancellate. Non si disputarono  il Gran Premio di Germania, la Coppa Acerbo e il Gran Premio di Svizzera. La Svizzera introdusse una legge per vietare le gare automobilistiche sul suo territorio (una normativa in vigore ancora oggi) mentre la Mercedes, dopo aver vinto il campionato di F1 con Fangio, si ritirò dalle corse in segno di rispetto per le vittime, e vi fece ritorno solamente 32 anni dopo, nel 1987. Negli Stati Uniti l’American Automobile Association il più prestigioso automobile club della nazione, decise di chiudere qualunque attività sportiva. Nonostante un’inchiesta ancora oggi non si conoscono con chiarezza la dinamica e le colpe di quella strage. Di certo il disastro di Le Mans ‘55 resta una delle pagine più nere della velocità che, anche a 60 anni di distanza, qualunque appassionato e addetto ai lavori non deve mai dimenticare. E non fu l’unica, anche la Mille Miglia fu sospesa. Intervenne anche la Chiesa. Ma la popolarità delle corse non venne mai meno: per il gusto cruento che porta ancor oggi la gente alla corrida, o fu per una sorta di ubriacatura tecnologica, una competizione nazionalistica, in residuo dei veleni militaristi ereditati dal fascismo?

Il libro documenta anche come sia evoluto il rapporto tra l’automobilismo da corsa e l’industria correlata, ben condita da nazionalismo: traino per le auto normali (AutoUnion, Mercedes, Alfa Romeo, Ford), esteso poi a pneumatici, benzine, fino alle pure sponsorizzazioni di oggi. E i piloti, sovente pedine in un gioco più grande di loro. I rapporti tra Enzo Ferrari e Giovanni Agnelli, tra Ferrari e Fiat, sono continuati anche quando che Ferrari era interamente delle FIAT.

Ma torniamo al libro, e alla qualità della scrittura di Paola. Alla pagina 458 dove immagina le lettere che Ludovico avrebbe forse voluto lasciare
Non fate che tutto finisca nel nulla come è accaduto a mio nonno, che i miei figli crescano senza sapere che io sia stato, che il mio nome, così come il so, sparisca dalla storia famigliare. Non fate che il silenzio possa divenire, per noi, un ineluttabile destino.

Certamente il libro, e forse anche la vostra presenza oggi in questo luogo ad ascoltare questa modesta presentazione avranno contribuito ad esaudire questo inespresso ultimo desiderio.

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