Ritardi e debolezze del sistema politico

novembre 1, 1995


Pubblicato In: Varie


Lo vuole la destra, lo vuole la sinistra, lo vuole il mercato, lo vuole il governo: ma non si fa. Privatizzare. intendo. Perchè?L’ovvia risposta è che privatizzare in sé non significa nulla se non si dice come; schematizzando al massimo. in un parlamento in cui il 45 per cento volesse privatizzare le aziende come sono, un altro 45 per cento volesse totale liberalizzazione, e un 10 per cento si opponesse comunque, non si può formare una maggioranza favorevole.

Questa semplice meccanica non basta però a spiegare il fenomeno. Scontate sono le resistenze da parte delle strutture delle aziende da privatizzare, ovvio che le privatizzazioni mettano in gioco enormi interessi economici, che contrapponendosi producono stallo: ma le tecnostrutture non potrebbero opporsi a una volontà compatta, e gli interessi economici a un certo punto devono pur trovare una mediazione.
Converrà allora esaminare separatamente i settori: credito, assicurazioni, grandi imprese di pubblica utilità, aziende di Stato.
Incominciamo dal credito. Qui le privatizzazioni effettuate (Credit e Comit, Ina, Imi) sono avvenute tutte fuori dal controllo politico, le prime due con esiti addirittura in contrasto con la volontà di chi all’epoca rappresentava il potere politico. Per le fondazioni bancarie non vi sono neppure i progetti. Eppure in passato il credito era il settore maggiormente controllato dal potere politico, che spartiva le cariche e influenzava indirizzi gestionali; non così oggi.
La delicatezza del settore e la debolezza del potere politico consigliano di modificare il meno possibile l’esistente. di non ingaggiare una guerra con le tecnostrutture che governano il credito. Così, Comit e Credit finiscono nell’orbita di Mediobanca, le fondazioni proclamano la propria autonomia, Ina e Imi risultano di conseguenza finte privatizzazioni. Non è tanto la vittoria del sistema politico contro chi vuole il mercato, quanto piuttosto una resa che ne sancisce la subalternità verso chi fisicamente controlla il flusso del credito. Conscio della propria debolezza, il sistema politico conclude un armistizio in cambio della sicurezza che gli promette chi sta nelle banche, nelle assicurazioni, nelle fondazioni.
Enel e Stet sono il tipico caso di stallo tra chi vuole la liberalizzazione dei servizi e chi il mantenimento dei monopoli. Questo schiude ai vertici delle grandi aziende la possibilità di emanciparsi, e di raggiungere l’immortalità; concederglielo segnala anche qui una debolezza, solo in parte riconducibile alla potenza di tecnostrutture che hanno rapida mente aggiornato i propri legami politici, e dispongono di giganteschi budget di relazioni esterne. La debolezza è questa volta sfiducia verso il nostro capitalismo. Anziché adeguarne le regole e potenziarlo proprio con la liberalizzazione, si preferisce cedere alla (costosa) retorica dell’azienda nazionale, procedere con cambiamenti omeopatici, sotto l’ombrello protettivo della golden Share.
Restano infine le altre aziende, Finmeccanica, Fs, Autostrade, Alitalia. Dove è solo per distrazione che sembra non succeda nulla: invece nel frattempo le Ferrovie acquistano Finmare; Finmeccanica ottiene inopinatamente l’approvazione di una mozione – tra la fiducia alla finanziaria e le critiche a Mancuso – che ne sancisce l’inviolabilità, mentre il suo rafforzamento nel settore aeronautico anziché con dismissioni viene finanziato con altro danaro del contribuente; l’agonia di Alitalia viene prolungata con la vendita infragruppo degli Aeroporti di Roma. Proprio il caso Alitalia è emblematico: di fronte al dilemma, licenziare personale o licenziare Schisano, l’Iri ha avuto poche esitazioni. Così era già capitato con Schimberni alle ferrovie. E così forse avverrà per il presidente Riverso domani, in una continua girandola di sacrifici umani alle pretese sindacali. Qui è per difendere i livelli occupazionali che non si privatizza: anziché attendersi occupazione da imprese nuove in mercati nuovi, si preferisce mantenere in vita le aziende come sono.
Privatizzare, come l’esempio dell’Inghilterra insegna, richiede grande forza e determinazione da parte dell’esecutivo. Le debolezze che si sono delineate spiegano, meglio che la divisione dell’assemblea, le difficoltà e i ritardi che il processo sta incontrando.

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