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Rifondare il patto politica-giustizia. Il Polo non ce la fa, ce la farà l’Ulivo?

Pubblicato il 13/08/2003 @ 14:54 in Giornali,Il Riformista

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b>Lettera ad Antonio Polito, direttore de Il Riformista

Caro Direttore,

me lo lasci dire con la solita franchezza: più ci ripenso e meno sono d’accordo con il suo editoriale sulla sentenza IMI-SIR. La sua tesi è che quella è stata – se lo è stata – una vicenda di privati che comprano giudici grazie ai buoni uffici di “studi legali” provvisti delle necessarie conoscenze; una corruzione per così dire “ordinaria”, e quindi ancora più grave di Tangentopoli, questione invece politica, dove il finanziamento dei partiti era il fiume principale, e gli interessi privati i canali derivati.

Assicurare la giustizia, garantire la validità dei contratti è una delle prerogative dello stato: questa è la ragione di fondo per cui corruzione privata e corruzione pubblica non sono separabili. A parte il fatto che anche nello specifico la distinzione non è così evidente: IMI all’epoca non era forse pubblica, e non erano pubblici i soldi dei finanziamenti grazie a cui la piccola Rumianca era diventata l’immensa SIR? Se ci sono giudici che si fanno comperare, il problema è pubblico. Perché lo Stato, Ministero e CSM, non intervenne disponendo ispezioni e indagini sulle voci che circolavano? Domanda speculare all’altra, tante volte sentita ripetere: perché la magistratura solo dopo l’arresto di Mario Chiesa ha scatenato Tangentopoli?
A ‘sta storia della società cattiva e della politica buona, o a quella intercambiabile a “bontà” rovesciate, direttore mio, io adesso non ci credo più. Oltretutto a quale conclusione utile porta? In questa visione manichea si perdono sia i fatti specifici – e quindi le responsabilità individuali, ciò che è ingiusto – sia quelli sistemici. Ed è su questi che ho l’arrogante proposito di aggiungere due parole al gran fiume che se ne è fatto e non si cessa di fare.

Questo paese ha un gigantesco problema giudiziario: la scarsa efficienza, la durata dei processi, l’impunità per molti delitti, ne è solo un aspetto, neppure il più grave; la mancata separazione delle carriere, l’assolutismo dell’obbligatorietà dell’azione penale sono due problemi ardui, ma non risolutivi. Il vero problema è il rapporto tra magistratura e politica, e precede di decenni Tangentopoli. Rifondare questo rapporto è un compito di portata immane, richiede spirito costituente. Chiusa la finestra della Bicamerale, tra politica e magistratura si è aperta una partita mortale: uno dei due contendenti probabilmente finirà per soccombere, ma neppure allora la storia troverà conclusione. Se anche Berlusconi facesse la sua commissione di indagine, forse che chiuderebbe la partita? Ci sarebbe una relazione di maggioranza e una di minoranza, le tracce del passato non saranno mai del tutto cancellate. E se, per converso, a scrivere la storia dovessero essere le sentenze della magistratura, avremmo con questo trovato rapporti tra potere politico e ordine giudiziario funzionali allo sviluppo di una moderna economia di mercato?
Questo è il problema del paese. E quanto più sembra vicino il giorno in cui sarà il centrosinistra a governare, quindi a doversene far carico, tanto più bisogna tenerlo presente quando si riflette su fatti come la sentenza Previti. Qualcuno, un giorno o l’altro, questo nuovo patto dovrà scriverlo: toccasse al centrosinistra, come farebbe? Questa è la ragione di fondo per cui il giustizialismo è incompatibile con una sinistra di governo. Viste da questa angolazione, leggi come la Cirami e il lodo Schifani avrebbero meritato un diverso tipo di opposizione: perché creare condizioni per scrivere questo patto è per il paese più importante della contingenza processuale. Questo patto non si può scriverlo contro la corporazione dei magistrati; e non si deve scriverlo sotto la loro dettatura. E invece sembra che non ci riesca a schiodare da queste due alternative: Giuliano Ferrara ( Il Foglio di sabato) “esige” che Ezio Mauro ammetta che contro Berlusconi c’è stato accanimento giudiziario; Eugenio Scalfari (Repubblica di domenica) “esige” che Sergio Romano dica se la sentenza Previti gli appare giusta o no.

A scrivere il patto non ci riuscirà Berlusconi, questo è evidente. Ma non è evidente che ci riuscirà il centrosinistra. Anzi, a dirla tutta, si stanno mettendo le premesse perché non ci riesca. E quando leggo le distinzioni tra società civile e classe politica e tra tutte e due e la magistratura, ho l’impressione che neppure questa sia la strada giusta da imboccare.

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