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Ricordiamoci dell’Euro

Pubblicato il 11/10/1998 @ 16:10 in Giornali,Il Sole 24 Ore


E adesso un grazie a Fazio sarà pure il caso di dirlo, dopo tutte le accuse cui è stato sottoposto per non aver voluto ridurre il tasso di sconto. Accuse diventate valanga dopo la riduzione operata dalla Banca spagnola e che a maggior ragione varrebbero dopo i tagli operati venerdì da Portogallo e Irlanda. Senonchè, a differenza di quei Paesi, in Italia proprio venerdì il Governo è stato fiduciato.

Certo, a favore del taglio c’erano anche buone ragioni, ed era legittimo sostenerle. Lo sbaglio è stato prima di esagerare le conseguenze di una riduzione del Tus sui conti della finanza pubblica e delle imprese; e poi di interpretare la decisione di Fazio come un voto contro il Governo.
Invece, col tasso di sconto la Banca centrale comunica ai mercati la sua visione globale sull’andamento dei prezzi e dell’economia, di cui l’azione del Governo è un elemento importante, ma non certo l’unico. In realtà la Banca d’Italia stava anche pagando un’assicurazione sull’euro: un’assicurazione poco costosa per un rischio assai remoto.

Si calcola infatti che la riduzione di un punto del tasso di sconto si traduca in una riduzione di qualche decimo sui tassi di mercato. Poca cosa, considerando che si applica solo per pochi mesi. E’ un curioso paradosso che al Governatore venga rimproverato un (supposto) euroscetticismo dei mesi passati proprio mentre affronta l’impopolarità per mettere in cassaforte il cambio con l’euro.

All’aprirsi di una crisi di governo che molte ragioni inducono a ritenere non facile, il cambio è rimasto stabile e la Borsa ha potuto recuperare lo scossone dei primi minuti.
L’euro è una certezza, che solo scenari dirompenti potrebbero far vacillare. Ma non c’è solo l’alternativa binaria, euro sì euro no, le cose sono un po’ più complesse. In Germania il nuovo Governo non è ancora formato, non si sono ancora assestati in Europa i nuovi equilibri, dopo quelli che hanno reso possibile l’implementazione degli accordi di Maastricht.
La Banca centrale europea non ha ancora reso pubblici i propri obiettivi, tra mantenimento del potere d’acquisto e creazione di massa monetaria. I meccanismi decisionali per il governo della moneta non hanno ancora passato la prova del fuoco.

Avremo un euro forte o un euro debole? La querelle sull’argomento è già stata vivacissima: adesso la crisi che ha toccato molti mercati per le nostre esportazioni e il brusco calo del dollaro degli ultimi giorni rendono ancora più difficili le scelte di fondi che stanno di fronte alle autorità monetarie: favorire gli esportatori con un euro debole, o proteggere i consumatori (e i risparmiatori) con un euro forte? La scelta incide in modo diverso sui vari Paesi, in ragione delle loro diverse strutture produttive, ma anche in ragione di diversi orientamenti e preferenze dei cittadini.
Che l’euro si faccia il 4 gennaio 1999 è – praticamente – certo; altrettanto lo è che la sua nascita sia accompagnata da torsioni e tensioni. A produrle, assai più delle deboli affinità politiche su cui il Governo sembrava fare conto, peseranno le nostre singolarità. Lo stock del debito è la più macroscopica, ma non la sola: a ricordarcelo valga la reazione di Bruxelles, che ha imposto di modificare anche l’ultimo decreto Burlando e di annullare il tetto del 70% per i collegamenti da Linate agli altri hub, uno schiaffo forse non a caso giunto poco dopo il voto di Montecitorio.

Se guardiamo alle scadenze e ai rischi, prudenza vorrebbe che, come già dopo la crisi di Amato e i rimpasti di Ciampi, con un rapido incarico si consolidasse immediatamente la reazione dei mercati, lira ferma e Borsa stabile. Ma questa crisi ha svelato problemi di sistema cui si dovrà iniziare a metter mano. Anche perché ci dà qualche giorno in più dobbiamo dire grazie a Fazio. Ma chiunque sia l’uomo e qualunque la soluzione che, speriamo presto, verrà a risolvere la crisi, sarà bene che abbia l’occhio fisso alla scadenza del 4 gennaio, e ai giorni immediatamente successivi. E sarà bene che abbia, nei confronti di Bankitalia, un atteggiamento diverso da quello che, negli ultimi tempi, è affiorato nel Governo e che non ha contribuito al buon rating dell’Italia sui mercati.

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