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Reti dei servizi, eterna nostalgia del ruolo pubblico
Pubblicato il 23/11/2004 @ 11:54 in Giornali,Il Sole 24 Ore
Energia, telefoni e TV
Il controllo proprietario delle reti deve essere pubblico o privato? La vendita di quote di Terna e di Snam Rete Gas, la multa comminata dall’Antitrust a Telecom, hanno riportato alla ribalta il problema delle reti, e dato vita a un singolare, preoccupante revival. Il mito della superiorità pubblica dei servizi erogati al pubblico, cacciato dalla porta con le grandi privatizzazioni, sembra rientrare dalla finestra con le reti.
Esse offrono la possibilità, a chi ne abbia interesse economico, di bloccare la concorrenza nel settore dei pubblici servizi con un impegno finanziario relativamente modesto; e a chi ne abbia interesse politico, di battersi per il controllo pubblico senza considerarsi statalista. (Quando ci si batteva per la privatizzazione dell’Enel, pensai che potesse essere tatticamente controproducente chiedere la privatizzazione anche del trasporto, che nella filiera dell’energia rappresenta solo il 4% del costo totale: è stato un errore da matita rossa).
Vale dunque la pena fare alcune riflessioni sul tema in generale. Senza liquidarlo con assunti apodittici (del tipo che dove c’è monopolio naturale, il controllo deve essere pubblico). E senza imporre, per analogia, il one size fits all, un unico schema per tutte le reti, dalle ferrovie alla televisione, dall’elettricità alla telefonia: ognuna è invece un oggetto diverso, per struttura fisica, per tecnologia, per mercati.
Generali sono solo gli obbiettivi: concorrenza ed efficienza. Il primo richiede di evitare che interessi dominanti colludano a vantaggio proprio e per escludere nuovi entranti. Il secondo richiede che si individuino in modo preciso i beni pubblici – tipicamente il livello del servizio e quello degli investimenti – che il mercato non potrebbe assicurare, in quanto esistono monopoli, naturali o di fatto. Definirli e farli rispettare è compito di authority e di ministeri: tanto nel caso in cui la proprietà è privata, quanto in quello in cui è pubblica.
Generale, e garantito da norme comunitarie e nazionali, è l’accesso non discriminatorio alle essential facility; ma, dato che certe categorie di azionisti privati avrebbero interesse a cercare di aggirarle e mettere in atto comportamenti collusivi per escludere dei concorrenti, meglio escludere dalla proprietà, con norma a statuto, chiunque sia in conflitto di intereresse. Il privato è di solito più efficiente del pubblico nel raggiungere gli obiettivi, e il pubblico è più efficiente nel sanzionare gli inadempimenti se la proprietà è privata.
Vediamo ora come queste considerazioni generali si applicano alle varie reti.
E già che parliamo di reti e di politica, di pubblico e di privato, sarà il caso di ricordare che nel nostro sistema telefonico tutto privato rimane ancora l’anomalia di Wind, controllata dal Tesoro, tramite Enel.
Un’avventura sballata, quella di Wind: frutto dell’ambizione di Franco Tatò, in contrasto con la politica di privatizzazioni portata avanti da Ciampi, diabolicamente proseguita con lo sconsiderato acquisto di Infostrada, ha richiesto all’Enel tra debiti e capitale 17 mld di euro. Oggi il valore stimato è nettamente inferiore: basta confrontare Wind con TIM che capitalizza 34 mld e che ha il 50% del mercato. Quando le differenze sono così macroscopiche non c’è da sperare di poterle colmare prendendo tempo, anzi c’è il rischio che aumentino in un mercato sempre più competitivo. L’Enel esca del tutto da Wind, lo faccia rapidamente, senza costruire papocchi per diluire l’impatto negativo sul suo bilancio. Da un’azienda pubblica si può pretendere che dia il buon esempio: anche quello ha un valore.
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